Sante Messe in rito antico in Puglia

lunedì 5 ottobre 2015

Sinodo: perché rileggere il Liber Gomorrhianus dopo il “coming out” del monsignore vaticano

Da sabato 3 ottobre i mass-media sono praticamente completamente catalizzati dalla vicenda “pruriginosa” del “coming out” del  “monsignore” dell’ex Sant’Uffizio e docente di teologia dogmatica in alcuni prestigiosi atenei pontifici della Capitale, autore di numerose ed impeccabili pubblicazioni (tra queste una significativa e perfettamente ortodossa sull'immutabilità di Dio: v. qui), sbandierata ai quattro venti da una sua intervista al Corriere della sera (v. qui) e poi da una sua “conferenza stampa”, nel corso della quale ha anche presentato il suo partner convivente (v. quiqui, qui e qui), che non ha mancato di rilasciare - c'era da aspettarselo - un'intervista sempre al Corriere (v. qui). Sulla vicenda, v. anche il commento di S. Em.za il card. Ruini (v. qui, qui e qui).
Krysztof Charamsa durante una messa
La vicenda, come facile intuire, ha conosciuto un clamore mediatico davvero senza pari (v. qui, quiqui, qui, quiqui, qui, quiqui e qui) ed è servito anche da improvvida “cassa di risonanza” ad un altro evento, parallelo e vigiliare del Sinodo, che probabilmente sarebbe passato in sordina e dedicato appunto al tema de quo, vale a dire una conferenza a porte chiuse, svoltasi a Roma, di “cattolici” LGBT (vqui; qui e, per la traduzione inglese, qui).
La Santa Sede, tramite il Direttore della Sala Stampa, P. Lombardi, pur esprimendo rispetto per «le vicende e le situazioni personali e le riflessioni su di esse», lamentava come la stessa rappresentasse un’indebita pressione sul Sinodo giusto alla vigilia della sua apertura (alcuni hanno avanzato l'ipotesi che trattasi addirittura in "golpe omosessualista": v. qui, il cui scopo è quello di trasformare il Sinodo in un evento gay-friendly: v. qui); dichiarava peraltro che il predetto prelato non potesse più svolgere alcun incarico presso la Congregazione per la dottrina della fede e presso le università pontificie, rimettendo ogni altra valutazione al vescovo della diocesi presso cui il monsignore era incardinato (v. qui testo della dichiarazione di P. Lombardi).
Krysztof Charamsa con il suo partner
Tale dichiarazione è stata un’occasione mancata per la Sala Stampa, che, lungi dall’esprimere “rispetto” (????), avrebbe, al contrario, dovuto esprimere tutto il suo disappunto e rammarico per questa vicenda di tradimento del celibato sacerdotale ed al contempo esprimere l’assoluta incompatibilità tra omosessualità e sacerdozio cattolico, richiamando ad es. l’Istruzione della Congregazione per l’educazione cattolica «circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri» del 31.8.2005-4.11.2005 (v. il testo qui. V. qui anche l'intervista al card. Zenon Grocholewski) e tutto il relativo magistero (v. qui). Un’occasione persa, peraltro, proprio in relazione al Sinodo, che si stava aprendo, ed a cui il clamore mediatico della vicenda del monsignore sembra chiaramente preordinato ad esercitare indebite pressioni. Un’occasione persa, ancora, anche per chiarire il magistero della Chiesa alla luce delle uscite recenti di alcuni prelati e partecipanti al Sinodo e non, che, non senza scandalo, con dichiarazioni estemporanee ed improvvide, hanno tentato di “normalizzare” o “compatire”, anche all’interno della Chiesa, le relazioni omosessuali (v. le recenti dichiarazioni del “card.” Kasper, v. qui e qui; del “vescovo” di Modena, Castellucci, v. qui e qui, e quelle del rag. Bianchi, che abbiamo già trattato qui). Un’occasione chiarificatrice mancata, inoltre, anche per denunciare come, oggigiorno, come ricordava in epoca non sospetta lo stesso scrittore cattolico Vittorio Messori, nei seminari vengano ammessi, o per lo meno tollerati, candidati al sacerdozio, che presentino tendenze omosessuali profondamente radicate (v. intervista a V. Messori del 2007, qui), che si manifestano, con grave scandalo per la Chiesa, sovente anche dopo l’ordinazione presbiterale a suon di vicende scandalistiche rilanciate puntualmente dai media.
Krysztof Charamsa con il suo partner
durante la conferenza stampa
Un’occasione persa anche per denunciare la totale assenza di fede – non intesa in senso sentimentalistico, ma come virtù teologica e teologale – in molti candidati al sacerdozio, che, privi del sacro timore di Dio, del Suo giudizio (prima ancora della riprovazione degli uomini!), della possibilità di una condanna eterna, compiono azioni contrarie al loro status o mancano, nella migliore delle ipotesi, della necessaria gravitas sacerdotale e della responsabilità che hanno, dinanzi al gregge affidato, quali ministri di Dio.
Per questo, è bene rileggere con attenzione e con la dovuta pietà, come suggerisce l’autore del contributo che segue, il testo di san Pier Damiani, il Liber Gomorrhianus, nel quale viene mostrata chiaramente come la Chiesa debba curare questa grave situazione del clero: non certo a suon di “rispetti” quasi conniventi e giustificativi o di false “misericordie” attente alla felicità ed ai piaceri terreni piuttosto che al destino eterno dell’uomo. Al contrario, ribadendo con maggior forza e giusto rigore la santa legge di Dio, ripristinandolo dei suoi diritti, da cui, stoltamente e con superbia diabolica, l’uomo ha pensato di distoglierlo.

Sinodo: perché rileggere il Liber Gomorrhianus dopo il  “coming out” del monsignore vaticano

di Giulio Ginnetti

Krysztof Charamsa con il compagno Eduard
(Ansa/Del Castillo)
«Se questo vizio assolutamente ignominioso e abominevole non sarà immediatamente fermato con un pugno di ferro, la spada della collera divina calerà su di noi, portando molti alla rovina», scrive san Pier Damiani nel Liber Gomorrhianus, riferendosi alla sodomia diffusa tra il clero del suo tempo. Queste parole hanno un’impressionante attualità alla luce delle dichiarazioni rilasciate, alla vigilia del Sinodo, al “Corriere della Sera” da monsignor Krzysztof Charamsa, ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede e segretario aggiunto della Commissione Teologica Internazionale vaticana, oltre che docente alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum.
Il prelato polacco ha dichiarato tra l’altro: “Voglio che la Chiesa e la mia comunità sappiano chi sono: un sacerdote omosessuale, felice e orgoglioso della propria identità. Sono pronto a pagarne le conseguenze, ma è il momento che la Chiesa apra gli occhi di fronte ai gay credenti e capisca che la soluzione che propone loro, l’astinenza totale dalla vita d’amore, è disumana”. La sodomia è stata purtroppo praticata nel corso dei secoli, ma nessun sacerdote, della Curia Romana è mai arrivato a vantarsene pubblicamente e nessuna assemblea di vescovi ha mai messo all’ordine del giorno dei suoi lavori la comprensione e la “misericordia” verso le coppie omosessuali. E’ questa una buona ragione per rileggere le pagine infuocate del Liber Gomorrhianus, (Edizioni Fiducia, Roma 2015, euro 10), con un’introduzione di Roberto de Mattei.
Nel suo coming out il teologo vaticano si rivolge esplicitamente ai padri sinodali invitandoli a rivedere le loro posizioni nei confronti dell’ampia comunità LGBT: “(…) vorrei dire al Sinodo che l’amore omosessuale è un amore familiare, che ha bisogno della famiglia. Ogni persona, anche i gay, le lesbiche o i transessuali, porta nel cuore un desiderio di amore e familiarità. Ogni persona ha diritto all’amore e quell’amore deve essere protetto dalla società, dalle leggi. Ma sopratutto deve essere curato dalla Chiesa”.
Charmasa giustifica quindi la liceità del comportamento omosessuale, rivendicando l’esistenza di una presunta natura omosessuale: “(…) una coppia di lesbiche o di omosessuali deve poter dire alla propria Chiesa: noi ci amiamo secondo la nostra natura (…). La Bibbia non parla mai di omosessualità. Parla invece degli atti che io definirei “omogenitali”. Possono essere compiuti anche da persone eterosessuali, come succede in molte prigioni. In questo senso potrebbero essere un momento di infedeltà alla propria natura e quindi un peccato. Quegli stessi atti compiuti da una persona omosessuale esprimono invece la sua natura. Il sodomita biblico non ha niente a che fare con due omosessuali che oggi in Italia si amano e vogliono sposarsi”.
In tale prospettiva, secondo il teologo vaticano, non vi è una natura umana oggettiva ma esisterebbero tante nature quante sono le soggettive tendenze sessuali e in questo senso, stravolgendo a proprio piacimento l’insegnamento cattolico, il peccato non consiste nel tradire la suprema legge naturale ma nel tradire la propria personale natura.
Charmasa dopo aver, come se nulla fosse, reso noto di “avere un compagno che lo aiuta a trasformare le ultime paure nella forza dell’amore”, conclude la sua intervista, sottolineando come “su questi temi la Chiesa sia in ritardo rispetto alle conoscenze che ha raggiunto l’umanità. E’ già successo in passato: ma se si è in ritardo sull’astronomia le conseguenze non sono così pesanti come quando il ritardo riguarda qualcosa che tocca la parte più intima delle persone. La Chiesa deve sapere che non sta raccogliendo la sfida dei tempi”.
Tuttavia, se la società ha mutato il suo giudizio e atteggiamento nei confronti dell’omosessualità nel corso dei secoli, lo stesso non è avvenuto per la Chiesa cattolica in quanto essa è sempre rimasta fedele al suo immutabile Magistero dottrinale. In questo senso, la Chiesa ha incessantemente insegnato che la pratica dell’omosessualità è un abominevole vizio contro natura, che provoca non solo la corruzione spirituale e la dannazione eterna degli individui, ma anche la rovina morale della società, colpita da un germe mortale che avvelena le radici stesse della vita civile. Nel corso dei secoli tale insegnamento è stato trasmesso e confermato interrottamente dalla Sacra Scrittura, dai Padri della Chiesa, dai santi Dottori e dai Pontefici.

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