Sante Messe in rito antico in Puglia

venerdì 1 luglio 2016

Le Osservazioni sull’Amoris laetitia di don Alfredo Morselli

Torniamo sul tema dell’esortazione Amoris laetitia: un documento che pone seri problemi, presentando delle criticità sia laddove preso nel suo complesso sia nelle sue singole parti.
Tra l’altro curiosamente sinora ci si è soffermati quasi esclusivamente, nei commenti, sul cap. VIII dell’esortazione – quello afferente l’accesso alla Comunione dei c.d. divorziati  risposati – ma esso è seriamente problematico anche altrove.
A titolo esemplificativo valga questa “pillola”, tratta dal § 149 di AL:
«Alcune correnti spirituali insistono sull’eliminare il desiderio per liberarsi dal dolore. Ma noi crediamo che Dio ama la gioia dell’essere umano, che Egli ha creato tutto “perché possiamo goderne” (1 Tm 6,17). Lasciamo sgorgare la gioia di fronte alla sua tenerezza quando ci propone: “Figlio, trattati bene […]. Non privarti di un giorno felice” (Sir 14,11.14). Anche una coppia di coniugi risponde alla volontà di Dio seguendo questo invito biblico: “Nel giorno lieto sta’ allegro” (Qo 7,14). La questione è avere la libertà per accettare che il piacere trovi altre forme di espressione nei diversi momenti della vita, secondo le necessità del reciproco amore. In tal senso, si può accogliere la proposta di alcuni maestri orientali che insistono sull’allargare la coscienza, per non rimanere prigionieri in un’esperienza molto limitata che ci chiuderebbe le prospettive. Tale ampliamento della coscienza non è la negazione o la distruzione del desiderio, bensì la sua dilatazione e il suo perfezionamento».
Il paragrafo è inserito nella parte relativa all’«Amore appassionato» e segnatamente nella sezione «Dio ama la gioia dei suoi figli», immediatamente prima di quella concernente «La dimensione erotica dell’amore». Dunque, il tema considerato dal § 149 attiene propriamente alla dimensione di piacere del rapporto di coniugale.
Tuttavia, nel discorso si vede emergere una categoria insolita per la teologia cattolica, vale a dire quella dell’«allargamento della coscienza»; una categoria poco comprensibile nell’ottica del Cristianesimo, ma che trova la sua collocazione perfetta all’interno delle filosofie indù ed in quelle di stampo New Age (salvo il supporre malignamente che qui si sia voluto far riferimento al pensiero di Jung o a personaggi come Jim Morrison dei Doors, che era notoriamente “maestro” nella pratica dell’«allargamento della coscienza»). Sta di fatto che nel menzionato paragrafo si accolgono di fatto queste pratiche, legate al tantra o al kama-sutra o al taoismo, il cui fondamento ultimo non è nella fede cristiana bensì nella Gnosi e nella tradizione esoterica orientale. L’aspetto drammatico, e per certi versi paradossale, è che vengano suggerite da un lato – alle coppie cristiane – tali pratiche per uscire quasi dalla “noia della quotidianità” o, come si legge nel testo, per “non rimanere prigionieri in un’esperienza limitata” («… si può accogliere la proposta di alcuni maestri orientali che insistono sull’allargare la coscienza, per non rimanere prigionieri in un’esperienza molto limitata che ci chiuderebbe le prospettive …») e, dall’altro, tali pratiche volte all’ampiamento della coscienza sarebbero quasi perfezionamento e coronamento dello stesso piacere di coppia («tale ampliamento della coscienza non è la negazione o la distruzione del desiderio, bensì la sua dilatazione e il suo perfezionamento»).
Affermazioni che, prese nel loro significato, destano non pochi interrogativi circa la loro compatibilità con il depositum fidei.
Accogliamo volentieri perciò le osservazioni di don Morselli, il quale esorta al ritiro del documento.
Nella festa del Preziosissimo Sangue di N. S. G. Cristo e nell’Ottava della Natività del Battista rilanciamo volentieri questo contributo.

Anonimo fiammingo, Fons vitae, 1515-17,  Museu da Misericórdia do Porto, Porto

Jean Bellegambe, Trittico del Bagno mistico, XV sec., Palais des Beaux-Arts de Lille, Lille

Cristo eucaristico nella coppa di salvezza



Le Osservazioni sull’Amoris laetitia di don Alfredo Morselli

di Emmanuele Barbieri

Mentre si moltiplicano le dichiarazioni sconcertanti di papa Francesco, si vanno moltiplicando le analisi critiche dei suoi principali documenti. Tra gli studi più seri e interessanti, va segnalato quello di don Alfredo M. Morselli, un dotto e pio sacerdote bolognese che sarebbe improprio catalogare come “tradizionalista”.
Il 29 settembre 2015 don Morselli firmò con l’abbé Claude Barth e mons. Antonio Livi, una serrata critica dell’Instrumentum Laboris predisposto per la XIV Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi (http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351141). Successivamente è intervenuto con delle accurate Osservazioni su alcuni punti controversi dell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, apparse nel mese di maggio sul blogMessainlatino (http://blog.messainlatino.it/2016/05/osservazioni-su-alcuni-punti_43.html).
Dopo un’ampia introduzione, in cui espone l’attuale  stato di dubbio e di disorientamento dei fedeli, don Morselli ribadisce una serie di verità irrinunciabili, proposte a credere in modo definitivo dal Magistero della Chiesa.
La prima e la più importante è che esistono atti intrinsecamente cattivi che nessuna circostanza e nessuna situazione possono rendere buoni, e che quindi, se compiuti con piena avvertenza e deliberato consenso, sono sempre peccato grave. Su questo assioma si fonda l’oggettività della legge naturale e morale.
Papa Francesco afferma, al § 304 di Amoris laetitia, che «è vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari». Alla luce dei testi tomistici citati dallo stesso Pontefice, don Morselli dimostra che, se è vero che dai princípi della morale non si possono dedurre a priori tutte le valutazioni di ogni minima situazione particolari, è pur vero che gli stessi princípi consentono di valutare in ogni caso come intrinsecamente cattive determinate azioni, quali l’adulterio e la fornicazione: chi compie questi atti con piena avvertenza e deliberato consenso pecca mortalmente.
Nel § 301 di Amoris Laetitia si afferma che  «un soggetto… si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa». Don Morselli ribatte che «un soggetto… non potrà mai trovarsi in condizioni concrete che lo obblighino a prendere decisioni senza una nuova colpala via di uscita c’è: è una via divina però, non una soluzione umana che, ammettendo ai sacramenti dei vivi chi è in stato di peccato, distrugge contemporaneamente la dottrina cattolica del matrimonio, dell’Eucarestia, della confessione e i fondamenti della morale naturale e cristiana». L’uomo, infatti, non può essere né tentato sopra le proprie forze, né essere lasciato in una situazione dove non abbia altra scelta che peccare.
Don Morselli affronta quindi la questione centrale: un cattolico che sceglie di convivere more uxorio, senza che tale convivenza sia stata benedetta dal sacramento del matrimonio, può ricevere validamente l’assoluzione sacramentale? La risposta è negativa, per fede divina e cattolica. La Chiesa ha sempre proposto a credere che non si può ricevere l’Eucarestia in stato di peccato mortale; di conseguenza, chi convive con una persona che non sia il proprio legittimo coniuge, vivendo in stato di peccato mortale, non può accostarsi all’Eucarestia. Infatti come dice il Catechismo della Chiesa cattolica (§ 1650): «Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione».
Difficilmente accettabile è anche l’affermazione contenuta nel § 301 di Amoris laetitia, secondo cui «…non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante». Le persone che vivono nelle situazioni difficili o irregolari – a meno che non si astengano dagli atti propri del matrimonio – sono sempre in stato di peccato. Di conseguenza, l’unica condizione per cui diventa accettabile l’affermazione di Amoris laetitia presa in esame è: le persone in situazione difficile o irregolare possono restare in stato di grazia se vivono come fratello e sorella.
«Posto dunque che 1) la fornicazione e l’adulterio sono sempre peccati mortali, 2) che le circostanze non ne possono attenuare la malizia, 3) che non manca mai l’aiuto di Dio per non peccare, 4) che non esiste una situazione in cui non ci sia altra possibilità che peccare, 5) che non si ammette ignoranza in materia (o, se ci fosse, va immediatamente rimossa), possiamo concludere – scrive don Morselli – che le persone che vivono nelle situazioni difficili o irregolari – a meno che non si astengano dagli atti propri del matrimonio – sono sempre in stato di peccato».
L’unica condizione per cui diventa accettabile l’affermazione di Amoris laetitia presa in esame è che le persone in situazione difficile o irregolare possono restare in stato di grazia se vivono come fratello e sorella, ma non sembra questo  il senso del documento.
Sul piano pastorale, non è possibile assolvere chi non ha il vero e fermo proposito di emendarsi, né  è lecito ammettere alla recezione della SS.ma Eucarestia chiunque si trovi in stato di peccato mortale. Il desiderio della grazia sacramentale, l’impossibilità di interrompere la convivenza a motivo dei figli o di altri gravi fattori, l’affetto consolidatosi nel tempo, la fedeltà reciproca dei conviventi, il matrimonio civile già celebrato, l’impossibilità di ricevere la dichiarazione di nullità del precedente matrimonio rato e consumato, la convinzione soggettiva che il precedente matrimonio sacramentale fosse invalido, conclude l’autore dello studio, «non sono circostanze che rendano legittima e valida l’assoluzione sacramentale».
Di conseguenza, il sacerdote che negasse l’assoluzione sacramentale ai conviventi more uxorio, nonostante l’insistenza del penitente, e il dolore di quest’ultimo per l’assoluzione negata, non può in alcun modo esser considerato come un “duro di cuore” e, perciò, rimproverato per la sua mancanza di misericordia e, magari, punito dal suo Ordinario. Al contrario, il sacerdote che, commosso per la sofferenza del penitente, o per altri motivi, concedesse l’assoluzione, compie un atto sacrilego, e perciò è meritevole di rimprovero e, di  provvedimenti correttivi, da parte del suo Vescovo.
Le affermazioni di don Morselli sono ampiamente argomentate e si fondano sui testi di san Tommaso d’Aquino, sulla enciclica Veritatis Splendor e altri documenti di Giovanni Paolo II, sui Catechismi della Chiesa cattolica  e sui più sicuri moralisti. La sua analisi costituisce un’eccellente antidoto alla “morale della situazione” condannata da Pio XII e Giovanni Paolo II e oggi riemergente, dietro la maschera della “misericordia divina”.
«La morale oggettiva, che dichiara la realtà del peccato, non occultandolo nella situazione e nelle circostanze, ne rende possibile l’accusa e quindi ne rende possibile il perdono», osserva don Morselli, è la vera «mano tesa della misericordia divina»L’etica della situazione «è invece la negazione della misericordia, perché, con falsa compassione, lascia l’uomo nel pantano del suo peccato; la nuova morale non ha niente da farsi perdonare; anzi, nasconde a Dio proprio ciò che Dio vuole perdonare».
Le Osservazioni su alcuni punti controversi dell’Esortazione apostolica Amoris Laetitia del sacerdote bolognese costituiscono un atto coraggioso e coerente che sembra suonare come una risposta all’appello del filosofo tedesco Robert Spaemann: «Ogni singolo cardinale, ma anche ogni vescovo e sacerdote è chiamato a difendere nel proprio ambito di competenza l’ordinamento sacramentale cattolico e a professarlo pubblicamente».

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