Sante Messe in rito antico in Puglia

mercoledì 24 dicembre 2014

25 dicembre, una data storica

Già alcuni anni fa, questo blog aveva dedicato al tema un piccolo saggio. Mi sembra opportuno, tuttavia, pubblicare questo studio, che, sebbene datato, è assai utile specie in questi nostri anni nei quali si prospettano da più parti spiegazioni mitologiche del Natale, che, in verità, esso è un avvenimento storico reale, ben inquadrato nel tempo e nello spazio, come ci ricorda il Martirologio tradizionale: Anno a creatióne mundi, quando in princípio Deus creávit cœlum et terram, quínquies millésimo centésimo nonagésimo nono: A dilúvio autem, anno bis millésimo nongentésimo quinquagésimo séptimo: A nativitáte Abrahæ, anno bis millésimo quintodécimo: A Moyse et egréssu pópuli Israël de Ægypto, anno millésimo quingentésimo décimo: Ab unctióne David in Regem, anno millésimo trigésimo secúndo; Hebdómada sexagésima quinta, juxta Daniélis prophetíam: Olympíade centésima nonagésima quarta: Ab urbe Roma cóndita, anno septingentésimo quinquagésimo secúndo: Anno Impérii Octaviáni Augústi quadragésimo secúndo, toto Orbe in pace compósito, sexta mundi ætáte, Jesus Christus ætérnus Deus, æterníque Patris Fílius, mundum volens advéntu suo piíssimo consecráre, de Spíritu Sancto concéptus, novémque post conceptiónem decúrsis ménsibus, in Béthlehem Judæ náscitur ex María Vírgine factus Homo: NATÍVITAS Dómini nostri Jesu Christi secúndum carnem.

25 dicembre, una data storica

Non fu una scelta arbitraria per soppiantare antiche feste pagane. Quando la Chiesa celebra la nascita di Gesù nella terza decade di dicembre, attinge all’ininterrotta memoria delle prime comunità cristiane riguardo ai fatti evangelici e ai luoghi in cui accaddero. Tommaso Federici, professore emerito di teologia biblica, fa il punto su indizi e recenti scoperte che confermano la storicità della data del Natale

di Tommaso Federici

Un preambolo
In genere si assumeva e si assume senza discutere la notizia già antica secondo cui la celebrazione del Natale del Signore nella prima metà del secolo IV fu introdotta dalla Chiesa di Roma per motivi ideologici. Infatti sarebbe stata posta al 25 dicembre per contrastare una pericolosa festa pagana, il Natale Solis invicti (fosse Mitra, come è probabile, o fosse una titolatura di un imperatore romano). Tale festa era stata fissata al solstizio invernale (21-22 dicembre), quando il sole riprendeva il suo corso trionfale verso il suo sempre maggiore risplendere. Quindi in ambito cristiano, risalendo di 9 mesi, si era posta al 25 marzo la celebrazione dell’annuncio dell’Angelo a Maria Vergine di Nazareth, e la sua Immacolata Concezione del Figlio e Salvatore. In conseguenza, sei mesi prima della nascita del Signore si era posta anche la memoria della nascita del suo precursore e profeta e battezzatore Giovanni. 
L’abside centrale della chiesa di Sancta Maria Foris Portas a Castelserpio, in provincia di Varese (VII-VIII secolo). Conserva i resti di un affresco, ispirato ai Vangeli apocrifi
D’altra parte, l’Occidente cristiano non celebrava l’annuncio della nascita di Giovanni al padre, il sacerdote Zaccaria. Che invece, e da lunghissima data, è commemorato nell’Oriente siro alla prima domenica del “Tempo dell’Annuncio (Sûbarâ)”, che comprende in altre cinque domeniche l’annunciazione a Maria Vergine, la visitazione, la nascita del Battista, l’annuncio a Giuseppe, la genealogia del Signore secondo Matteo. 
L’Oriente bizantino, e sempre da data immemoriale, celebra invece al 23 settembre anche l’annuncio a Zaccaria. 
Si hanno in successione quattro date evangeliche che inseguendosi si intersecano, ossia I) l’annuncio a Zaccaria e II) sei mesi dopo l’annunciazione a Maria, III) rispettivamente nove e tre mesi dopo le prime due date, la nascita del Battista, e IV) rispettivamente sei mesi dopo quest’ultima data, e naturalmente nove mesi dopo l’annunciazione, la Nascita del Signore e Salvatore. 
Il referente per così dire “liturgico” di tutto questo sarebbe quindi il Natale del Signore, al 25 dicembre, sulla cui base, si assume, furono disposte le feste dell’annunciazione nove mesi prima, e della nascita del Battista sei mesi prima. Gli storici e i liturgisti su questo svolgono diverse ipotesi più o meno accolte. Il problema è che già nei secoli II-IV erano state avanzate diverse datazioni, che tenevano conto di computi astronomici, o di idee teologiche. 
Una data “storica” esterna, ossia che non fosse biblica, patristica e liturgica, e che portasse una conferma agli studiosi, non era ancora conosciuta. 

Un riferimento: l’annuncio a Zaccaria 
Luca ha una certa sua cura di situare la storia. Così ad esempio cita «l’editto di Cesare Augusto» per il lungo censimento di Quirino (circa il 7-6 a. C.), durante il quale avvenne la nascita del Signore (Lc 2, 1-2). Inoltre rimanda all’anno quindicesimo di Tiberio Cesare (circa il 27-28 d. C.), quando Giovanni il Battista cominciò la sua predicazione preparatoria del Signore (Lc 3, 1). E annota: «E lo stesso Gesù era cominciante [il suo ministero dopo il Battesimo, Lc 3, 21-22] quasidi anni 30» (Lc 3, 23), di fatto avendo circa 33 o 34 anni. 
Secondo la sua suggestiva narrazione evangelica, lo stesso Angelo del Signore, Gabriele, sei mesi prima dell’annunciazione a Maria (Lc 1, 26-38), alla conclusione della solenne celebrazione sacrificale quotidiana aveva annunciato nel santuario all’anziano sacerdote Zaccaria che la sua sposa, sterile e anziana, Elisabetta, avrebbe concepito un figlio, destinato a preparare un popolo a Colui che doveva venire (Lc 1, 5-25). Luca si preoccupa di situare questo fatto con una precisione che rimanda a un dato conosciuto da tutti. Così narra che Zaccaria apparteneva alla «classe [sacerdotale, ephêmería] di Abia» (Lc 1, 5), e mentre gli appare Gabriele «esercitava sacerdotalmente nel turno [táxis] del suo ordine [ephêmería]» (Lc 1, 8). 
Così rimanda a un fatto generale senza difficoltà, e a uno specifico e puntuale, che presenta un problema. Il primo fatto, noto a tutti, era che nel santuario di Gerusalemme, secondo la narrazione del cronista, David stesso aveva disposto che i «figli di Aronne» fossero distinti in 24 táxeis, ebraico sebaot, i “turni” perenni (1 Cr 24, 1-7.19). Tali “classi”, avvicendandosi in ordine immutabile, dovevano prestare servizio liturgico per una settimana, «da sabato a sabato», due volte l’anno. L’elenco delle classi sacerdotali fino alla distruzione del tempio (anno 70 d. C.) secondo il testo dei Settanta era stabilito per sorteggio, così: I) Iarib, II) Ideia, III) Charim, IV) Seorim, V) Mechia, VI) Miamin, VII) Kos, VIII) Abia, IX) Giosuè, X) Senechia, XI) Eliasib, XII) Iakim, XIII) Occhoffa, XIV) Isbaal, XV) Belga, XVI) Emmer, XVII) Chezir, XVIII) Afessi, XIX) Fetaia, XX) Ezekil, XXI) Iachin, XXII) Gamoul, XXIII) Dalaia, XXIV) Maasai (l’elenco, in 1 Cr 24, 7-18). 
Il secondo fatto è che Zaccaria quindi apparteneva al «turno di Abia», l’VIII. Il problema che pone questo è che Luca scrive quando il tempio è ancora in attività, e quindi tutti potevano conoscere le sue funzioni, e non annota “quando” stava in esercizio il «turno di Abia». Inoltre, non dice in quale dei due avvicendamenti annuali Zaccaria ricevette l’annuncio dell’Angelo nel santuario. E sembra che lungo i secoli nessuno abbia avuto cura di riportare la memoria, o di fare qualche ricerca. La stessa Comunità madre, la Chiesa di Gerusalemme, giudeo-cristiana di lingua aramaica, che tradizionalmente (almeno per due secoli) era guidata dai parenti di sangue di Gesù, Giacomo e i suoi successori, non sembra che si curasse di questo particolare, che per i contemporanei andava da sé. 

Il «turno di Abia» con data certa 
Nel 1953 la grande specialista francese Annie Jaubert, nell’articolo Le calendrier des Jubilées et de la secte de Qumran. Ses origines bibliques, in Vetus Testamentum, Suppl. 3 (1953) pp. 250-264, aveva studiato il calendario del Libro dei Giubilei, un apocrifo ebraico assai importante, che risaliva alla fine del sec. II a. C. Ora numerosi frammenti di testo di tale calendario, ritrovati nelle grotte di Qumran, dimostravano non solo che esso era stato fatto proprio dagli Esseni che lì vivevano (circa sec. II a. C.-sec. I d. C.), ma che esso era ancora in uso. Detto calendario è solare, e non dà nomi ai mesi, ma li chiamava con il numero di successione. La studiosa aveva pubblicato poi su questo diversi altri articoli importanti; vedi anche la sua voce Calendario di Qumran, inEnciclopedia della Bibbia 2 (1969) pp. 35- 38. E in una celebre monografia, La date de la Cène,Calendrier biblique et liturgie chrétienne, Études Bibliques, Paris 1957, aveva anche ricostruito la successione degli eventi della settimana santa, individuando in modo convincente (salvo dissensi di qualcuno) al martedì, e non al giovedì, la data della cena del Signore.
Da parte sua, anche lo specialista Shemarjahu Talmon, dell’Università Ebraica di Gerusalemme, aveva lavorato sui documenti di Qumran e sul calendario dei Giubilei, ed era riuscito a precisare lo svolgersi settimanale dell’ordine dei 24 turni sacerdotali nel tempio, allora ancora in funzione. I suoi risultati erano consegnati nell’articolo The Calendar Reckoning of the Sect from the Judean Desert. Aspects of the Dead Sea Scrolls, in Scripta Hierosolymitana, vol. IV, Jerusalem 1958, pp. 162-199; si tratta di uno studio accurato e importante, ma, si deve dire, passato pressoché inosservato dal grande circuito, ma non ad Annie Jaubert. Ora, la lista che il professor Talmon ricostruisce indica che il «turno di Abia (Ab-Jah)», prescritto per due volte l’anno, ricorreva così: I) la prima volta, dall’8 al 14 del terzo mese del calendario, e II) la seconda volta dal 24 al 30 dell’ottavo mese del calendario. Ora, secondo il calendario solare (non lunare, come è l’attuale calendario ebraico), questa seconda volta corrisponde circa all’ultima decade di settembre. 
Come annota anche Antonio Ammassari, Alle origini del calendario natalizio, in Euntes Docete 45 (1992) pp. 11-16, Luca, con l’indicazione sul «turno di Abia», risale a una preziosa tradizione giudeo-cristiana gerosolimitana, che da narratore accurato di storia (Lc 1, 1-4) ha rintracciato, e offre la possibilità di ricostruire alcune date storiche. 
Così il rito bizantino al 23 settembre fa memoria dell’annuncio a Zaccaria, e conserva una data storica certa, e pressoché precisa (forse con un decalco di uno o due giorni). 

Date storiche del Nuovo Testamento 
La principale datazione storica sulla vita del Signore verte sull’evento principale: la sua resurrezione nel resoconto unanime dei quattro Evangeli (e del resto della Tradizione apostolica del Nuovo Testamento, vedi 1Cor 15, 3-7) avvenne all’alba della domenica 9 aprile dell’anno 30 d. C., data astronomica certa, e quindi quella della sua morte avvenne circa alle 15 pomeridiane del venerdì 7 aprile del medesimo anno 30. 
Secondo i dati ricavati dall’indagine recente come sopra accennata, viene un intreccio impressionante di altre date storiche. 
Il ciclo di Giovanni il Battista ha la data storica accertata (circa) del 24 settembre del nostro calendario gregoriano dell’anno 7-6 a. C. per l’annuncio divino concesso a suo padre Zaccaria. Nel computo attuale, sarebbe nell’autunno dell’1 a. C., ma si sa che dal VI secolo vi fu un errore di circa sei o cinque anni sulla data reale dell’anno della nascita del Signore. 
La nascita di Giovanni il Battista nove mesi dopo (Lc 
1, 57-66), (circa) il 24 giugno, è una data storica. 
Ma allora, nel ciclo di Cristo Signore, che Luca pone in forma di un dittico speculare con quello del Battista, l’annunciazione a Maria Vergine di Nazareth «nel mese sesto» dopo la concezione di Elisabetta (Lc 1, 28) risulta come un’altra data storica. 
E in conseguenza, e finalmente, è una data storica la nascita del Signore al 25 dicembre, ossia 15 mesi dopo l’annuncio a Zaccaria, nove mesi dopo l’annunciazione alla Madre semprevergine, sei mesi dopo la nascita di Giovanni il Battista. 
La santa circoncisione otto giorni dopo la nascita, secondo la legge di Mosè (Lev 12, 1-3), è una data storica. 
E così, quaranta giorni dopo la nascita, il 2 febbraio, la “presentazione” del Signore al tempio sempre secondo la legge di Mosè (Lev 12, 4-8), che segna l’hypapantê, l’Incontro con il suo popolo, è una data storica.

“Problemi liturgici” 
Il viaggio verso Betlemme
La data del Natale ha intorno un nugolo di problemi. Anzitutto viene il fatto che in alcune Chiese si cumulò e talvolta si confuse il 25 dicembre con il 6 gennaio, giorno che cumulava la memoria degli eventi che contornavano la nascita del Salvatore. 
Poi, soprattutto, la non chiara distinzione tra memoria di un fatto, che può durare generazioni, la devozione intorno a questo fatto, che si può esprimere con un culto non liturgico, e l’istituzione di una festa “liturgica” con data propria e con una vera e propria ufficiatura, che comprende la liturgia delle ore sante e quella dei divini misteri. 
Qui va tenuto conto, come invece in genere si trascura, dell’incredibile memoria delle comunità cristiane quanto a eventi evangelici, e ai luoghi che videro il loro verificarsi. 
L’Annunciazione, ad esempio, era entrata nella formulazione di alcuni “Simboli battesimali” più antichi già nel secolo II. Essa nella medesima epoca fu rappresentata nell’arte cristiana primitiva, come nella catacombe di Priscilla. A Nazareth stessa, come ormai ha dimostrato splendidamente l’archeologia, il luogo dell’Annunciazione fu conservato e venerato senza interruzione dalla comunità locale, e fu visitato da un ininterrotto afflusso di pellegrini devoti, che lungo i secoli lasciarono anche graffiti e scritte commoventi, fino ai giorni nostri. Quando si avviò il culto “liturgico” della Madre di Dio, nel V secolo inoltrato, si ebbe la grande festa “liturgica” dell’Euaggelismós, l’annunciazione a Maria. Questa acquistò tale straordinaria risonanza che in Occidente i Padri la annoverarono tra i «primordi della nostra redenzione» (con il Natale, i Magi e le nozze di Cana), e in Oriente fu considerata così solenne e quasi soverchiante, che la sua data nel rito bizantino abolisce la domenica e perfino il giovedì santo, cede solo al venerdì santo, e se cade alla domenica della Resurrezione divide la celebrazione così che si celebra metà del Canone pasquale e metà del Canone dell’Annunciazione. 
A Betlemme già prima della costruzione della Basilica costantiniana (primo trentennio del IV secolo), la comunità cristiana aveva conservata la memoria e la venerazione ininterrotte del luogo della nascita del Signore. 
In Egitto la Chiesa copta conserva con ininterrotta devozione la memoria dei luoghi dove la santa famiglia sostò nella sua fuga (Mt 2, 13-18), dove furono costruite chiese ancora officiate. 
Si può parlare qui dei luoghi santi della Palestina, in specie quelli di Gerusalemme: dell’Anástasis, la Resurrezione (così riduttivamente chiamato “santo sepolcro”) e del Golgota, del Cenacolo, del “Monte della Galilea” che è quello dell’Ascensione, del Getsemani, di Betania, della piscina probatica (Gv 5, 1-9), dove fu costruita una chiesa, del luogo della “Dormizione” della Madre di Dio nel Cedron, e così via. Su tutti questi luoghi esiste una documentazione preziosa, impressionante e ininterrotta lungo i secoli fino a noi, dei pellegrini che li visitarono sempre con gravi sacrifici e pericoli, e lasciarono descrizioni e resoconti scritti della venerazione di cui erano oggetto, e degli usi della devozione degli abitanti e degli altri visitatori. 
Il problema di grande interesse qui è la scelta delle date per le celebrazioni “liturgiche” vere e proprie. Quanto alla celebrazione “liturgica”, nel senso visto sopra, del Signore, della sua Madre Semprevergine, di Giovanni il Battista, si trattò di scelte arbitrarie, provenienti da ideologie o da calcoli ingegnosi? Non pare. Il 23 settembre e il 24 giugno per l’annuncio e la nascita di Giovanni il Battista, e il 25 marzo e il 25 dicembre per l’annunciazione del Signore e per la sua nascita, non furono arbitrarie, e non provengono da ideologie di riporto. Le Chiese avevano conservato memorie ininterrotte, e quando decisero di renderle celebrazioni “liturgiche” non fecero che sanzionare un uso immemoriale della devozione popolare. 
Va tenuto conto anche del fatto poco notato che le Chiese si comunicavano le “date” delle loro celebrazioni, e così ad esempio quelle delle «deposizioni dei martiri», che chiamavano il «natale dei martiri» alla gloria dei cielo. Per le grandi ricorrenze, come le feste del Signore, degli apostoli, dei martiri, dei santi vescovi delle Chiese locali, e dal secolo V anche di quelle della Madre di Dio, le Chiese adottarono volentieri le proposte delle Chiese sorelle. In pratica, pressoché tutte le grandi feste del Signore e della Madre di Dio vengono dall’Oriente palestinese, e, furono accettate con grande entusiasmo dalle Chiese dell’Impero, e prima dei grandi scismi del V secolo, anche dall’immensa cristianità dell’Impero parto. Il Natale, come sembra, venne da Roma, e fu accettato, sia pure con qualche esitazione, da tutte le Chiese. 
Con questo, si vuole dire che le Chiese avevano la possibilità di controlli e di verifiche, e va detto che gli antichi padri nostri non erano affatto creduloni, ma spesso giustamente diffidenti, così da respingere ogni tentativo illecito e illegittimo di culto «non provato». 
L’evangelista Luca in tutto questo ha una parte non piccola, quando con opportuni e abili accenni rimanda a luoghi ed eventi e date e persone. 

Il clan di Caino 
La Chiesa madre dei giudeo-cristiani aveva conservato molte altre memorie sul suo Signore, l’ebreo Gesù, il «Diacono della circoncisione» (Rm 15, 8), che la ricerca moderna con pazienza e con fatica si incarica di riportare alla luce dopo tanti secoli di affossamento. Alcune di esse sono intense e splendenti di luce. Una riguarda la scelta della Madre di Dio. Dopo la rovinosa caduta di Adamo, i Tre fecero urgente consiglio. Il Padre comunicò che per ripartire da zero aveva scelto Maria, la Vergine di Nazareth, e aveva deciso di farne la Madre del Figlio, dotandola della Verginità permanente come imitazione della sua Verginità paterna. Il Figlio da parte sua comunicò che anche Lui aveva scelto Maria per farne la sua propria madre, e aveva deciso di farla assistere ai «tre terrificanti Misteri», della Nascita verginale, della Croce e della Resurrezione gloriosa. Anche lo Spirito Santo comunicò che aveva scelto la medesima Maria, per darle come dote nuziale la sua divina Soavità, per conferirle la sua Paráklêsis, l’Avvocatura potente contro il Nemico, e insieme la sua Consolazione irresistibile. Così venne agli uomini «dallo Spirito Santo e da Maria Vergine» (Lc 1, 32; e il Simbolo apostolico) Cristo Signore, che, «generato nella divina eternità dal Padre senza madre», il Medesimo «fu partorito nel tempo degli uomini dalla Madre senza padre» (i Padri). Così che il Figlio di Dio e Figlio di Maria ebbe come Termine divino della sua esistenza umana lo Spirito Santo, nel quale è consustanziale con il Padre, e come Termine umano la Madre Semprevergine, mediante la quale è consustanziale con tutti gli uomini. 
Tutti gli uomini non tanto da “salvare”, termine che nell’età moderna si è fatto molto equivoco, quanto da redimere dal peccato. Il peccato di Adamo, che si configura poi anche come peccato di Caino (Gen 4, 1-12). Dopo il fratricidio consumato sull’innocente Abele, Caino ebbe paura della punizione, e non tanto di quella del suo Signore misericordioso, quanto di quella degli uomini (Gen 4, 13). Ma il Signore misericordioso gli concesse un “segno”, il «segno di Caino», che per lui fosse di salvezza dalla morte. 
Allora il Signore dopo il diluvio, da tutti i discendenti di Noè, operò con sapienza e con pazienza secondo le due irresistibili leggi della redenzione, la «selezione regressiva» o “concentrazione”, che è scelta di “uno”, un “resto” assunto e posto in favore di tutti gli altri ed è eliminazione degli altri da questa operazione, e per «sussunzione progressiva», che è aggregazione universale di tutti nella salvezza ottenuta dal “resto”. Perciò il Signore da tutti i popoli della terra (Gen 10) scelse Sem e la sua posterità (Gen 10, 21-31). Dalla posterità di Sem scelse la famiglia di Tare, padre di Abramo (Gen 11, 27-32). Dai figli di Tare scelse Abramo (Gen 12, 1-3), e la sua discendenza, Isacco e Giacobbe. Dai dodici figli di Giacobbe scelse la tribù di Giuda (Gen 49, 8-12). Dalla tribù di Giuda scelse la semitribù dei Cainiti (o Qainiti, o Qeniti, o Qenizziti) con Caleb, con capitale Hebron (Gios 14, 6-15). Da questa semitribù (o clan) scelse la famiglia di Ishaj (Iesse), e dagli otto figli di Ishaj scelse David (1 Sam 16,1-12), sul quale pose il suo Spirito divino onnipotente e messianico (1 Sam 16, 13). 
Da David finalmente e irreversibilmente discese nella carne (Mt 1, 1; Rm 1, 3) attraverso la sola Maria Semprevergine, senza concorso di uomo (Mt 1, 16), il Figlio di Dio, Figlio di Abramo, Gesù Cristo, il Redentore. 
Il “segno” che Caino ricevette è la confluenza sua e di tutti i peccatori nella sua posterità peccatrice, riassunta dai Cainiti, il «clan di Caino», il cui Capo divino e umano è il Figlio di Dio, nato dallo Spirito Santo e dalla Semprevergine Maria. Perciò il Figlio di Dio, l’Impeccabile «fatto peccato per noi» (2 Cor 5, 21), «reso maledetto per noi» secondo la Legge perché sospeso sul Legno (Gal 3, 13, che cita Dt 21, 23) per ottenere la Benedizione e la Promessa d’Abramo che è lo Spirito Santo (Gal 3, 14), che «assunse la carne di peccato» carica quindi di morte (Rm 8, 3), che essendo e restando Dio si fece anche schiavo obbediente fino alla morte e morte di croce (Fil 2, 6-8). Portando sulla croce Caino e la sua discendenza, il Figlio di Dio distrusse l’incapacità di Adamo e di Eva di dare figli a Dio, e riaprì in «sussunzione progressiva» illimitata le porte dell’ingresso al Padre nello Spirito Santo. 
Questo è anche il contenuto delle liturgie d’Oriente e dell’Occidente alla domenica della Resurrezione e al venerdì santo, ma anche del Natale, dell’Annunciazione, della nascita della Vergine. 
Il Natale del Signore nella carne è una fonte inesauribile, che non conosce l’ovvio banale del gelido “albero” cosificante, ma la sorpresa rinnovata, la meraviglia mai sazia, lo stupore adorante davanti a Colui che dall’Oceano infinito della Divinità beata volle approdare alla riva angusta e dolente della storia degli uomini per un unico scopo: «Dio restando quello che era volle farsi anche quello che non era, Uomo creato, vero, limitato, mortale, affinché gli uomini creati, limitati e mortali, restando quello che erano, diventassero finalmente dèi per grazia» dello Spirito Santo. Questa è la “formula di scambio” o “formula della divinizzazione”, che viene dalla santa Scrittura, è codificata fedelmente dai Padri e si vive con efficacia infinita nella santa liturgia della Chiesa. 

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