Sante Messe in rito antico in Puglia

domenica 1 febbraio 2015

La proposta di legge di “Si alla Famiglia” un passo avanti verso il “matrimonio” omosessuale

Nella memoria liturgica di S. Ignazio d’Antiochia, il Teoforo, vescovo e martire, e della domenica di Settuagesima, che apre il ciclo liturgico pre-quaresimale,  rilancio quest’articolo, che giustamente in luce i dubbi e le perplessità di alcuni soggetti e sulle rispettive iniziative politiche.



François Guy , SS. Ignazio di Antiochia e Policarpo di Smirne, detto il Teoforo, portanti l’Eucaristia e gli strumenti del loro martirio, 1614, Musée Crozatier, Le Puy-en-Velay


La proposta di legge di “Si alla Famiglia” un passo avanti verso il “matrimonio” omosessuale

di Claudio Vitelli

Il Comitato Sì alla famiglia, presieduto da Massimo Introvigne, ha lanciato a Roma il 16 gennaio, in una riunione con parlamentari di diversi partiti una proposta di legge dal titolo Testo unico sui diritti dei conviventi. In questa sede non entreremo nel dettaglio delle singole disposizioni, cosa che riserviamo ad un successivo analitico intervento, ma cercheremo di tratteggiare il vulnus alla famiglia naturale costituito dallo stesso testo unico considerato nel suo complesso.
Il testo, secondo i promotori, «rende maneggevoli e coordina disposizioni che l’ordinamento italiano già prevede, esplicitamente o implicitamente, per le persone impegnate in convivenze. Tra questi l’assistenza del partner in ospedale e in carcere e la successione nei contratti di locazione. Il testo ribadisce che il partner di fatto ha titolo, a determinate condizioni, al risarcimento del danno subito dall’altro partner e all’indennizzo che spetta al partner vittima di delitti di mafia o di terrorismo. Tutto questo per le convivenze tra persone sia di sesso diverso, sia dello stesso sesso».
Non è esattamente così perché il Testo Unico costituisce un passo decisivo nel cammino della teoria del gender. Sollecitiamo infatti l’attenzione del lettore sul passo precedente perché il principio ispiratore del DDL si ritrova appunto in quell’IMPLICITAMENTE. Orbene, se una cosa è esplicita infatti nulla quaestio, ma se è implicita, perché acquisti vita, è necessario un processo di interpretazione per il quale sono necessari dei canoni ermeneutici. Ma il canone ermeneutico adoperato dai promotori del disegno non è forse quello dei fautori dell’omosessualismo? Cosa è infatti riconoscere – senza opporvisi – tutti i diritti oggi solo potenzialmente esistenti nel nostro ordinamento per le convivenze?
In realtà, come hanno giustamente osservato su “Riscossa Cristiana” Elisabetta Frezza e Patrizia Fermani «con quella che si pretenderebbe di far passare come una mera raccolta di provvedimenti di varia natura dettata da motivi di ordine pratico, e che viene chiamata in modo suggestivo “testo unico”, si propone un sistema chiuso di norme». (cfr. qui): 
Orbene un sistema di tal fatta non è da considerarsi un insieme di disposizioni ciascuna con la sua ratio, ma come un unicum con una propria ratio, che si ricava da una lettura complessiva di tutte le norme, ed è pertanto destinato ad influenzare anche la successiva produzione normativa. Se è vero che molte delle disposizioni de quo sono dettate da decisioni della magistratura italiana e comunitaria che spinge verso l’equiparazione delle unioni di fatto, etero ed omosessuali alle legittime unioni familiari, non si comprende perché una legge promossa da parlamentari sedicenti cattolici dovrebbe sancire tali abnormi decisioni.
Lo scopo del progetto di legge sarebbe, secondo i promotori, quello di «distinguere con estrema chiarezza il cosiddetto “matrimonio” omosessuale, con la conseguente possibilità di adottare figli, cui siamo assolutamente contrari anche qualora lo si nasconda pudicamente sotto il nome di “unioni civili”». Per questo, non è prevista, affermano i promotori «né l’adozione né la riserva di legittima per la successione né la reversibilità delle pensioni, che sono cose tipiche dei matrimoni o almeno di simil-matrimoni».
Il risultato è però totalmente contrario alle intenzioni dichiarate, in quanto riconosce e sancisce le unioni di fatto, come un categoria giuridica foriera di diritti in quanto tale, anche se, come è apertamente dichiarato: dispone che «…..ai conviventi, dello stesso sesso o di sessi diversi, sono riconosciuti i diritti e i doveri relativi alla sanità, alle carceri, alla locazione, ai risarcimenti, ma vuole chiudere la porta al “matrimonio” e alle adozioni, ora ha un testo su cui convergere». Questa affermazione non è però condivisibile in quanto, a parte tutta una serie di nuove norme, anche relativamente alla procreazione assistita, “implicitamente” tratte da norme esistenti (il che significa che al momento non esistono), è evidente che il testo del DDL conferisce una organicità prima inesistente e consolida proprio quelle decisioni della magistratura che vengono criticate. In sostanza l’interprete dovrà analizzare ogni norma alla luce di tutte le altre del testo unico, il che nella migliore delle ipotesi, ne fa una “base” stabile ed organica per un ulteriore salto in avanti costituito appunto da quel matrimonio omosessuale che i promotori si propongono di scongiurare.
Il DDL aggancia il rapporto di convivenza al regolamento anagrafico riconoscendo giuridicamente «l’unione fra due persone legate da stabili vincoli affettivi, coabitanti e aventi dimora abituale nel medesimo comune, insieme con i familiari di entrambi che condividano la dimora» (art. 3 del testo). La proposta di legge crea dunque uno status giustificato dal mero vincolo affettivo che lega i conviventi. E che conduce inevitabilmente al “matrimonio” tra persone dello stesso sesso.
Di fatto, Si alla Famiglia riesuma il disegno di legge DICO (DIritti e doveri delle persone stabilmente COnviventi), presentato dal governo Prodi nel febbraio 2007 finalizzato al riconoscimento nell’ordinamento giuridico italiano di taluni diritti e doveri discendenti dai rapporti di “convivenza” registrati all’anagrafe. Non è ancora lo pseudo-matrimonio omosessuale, ma si situa in un processo di distruzione dell’istituto familiare che inizia con il divorzio (1972-1974) e il nuovo diritto di famiglia (1975) e arriva oggi alle sue coerenti conclusioni. Non stupisce che i fautori della nuova etica postmoderna promuovano quest’itinerario di dissoluzione. Ma non è paradossale che a sostenerlo siano dei cattolici e in nome del sì alla famiglia?

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