Sante Messe in rito antico in Puglia

martedì 24 novembre 2015

don Nicola Bux: "Per il giubileo deve essere chiaro l'invito alla conversione!"

Nella memoria di S. Giovanni della Croce, rilanciamo volentieri quest’intervento-appello di don Nicola Bux, affinché il prossimo “Giubileo” non si trasformi in un’esaltazione della misericordia senza conversione … .


José Joaquín Magón, Imposizione dell'abito carmelitano a S. Giovanni della Croce, XVIII sec., Cappella di S. Giovanni della Croce, Templo Conventual de Nuestra Señora del Carmen, Puebla

José Joaquín Magón, Messa di S. Giovanni della Croce, XVIII sec., Cappella di S. Giovanni della Croce, Templo Conventual de Nuestra Señora del Carmen, Puebla

José Joaquín Magón, S. Giovanni della Croce lotta contro i demoni, XVIII sec., Cappella di S. Giovanni della Croce, Templo Conventual de Nuestra Señora del Carmen, Puebla



José García Hidalgo, Levitazione o Estasi dei SS. Teresa d'Avila e Giovanni della Croce nel Monastero dell'Incarnazione ad Avila, 1675 circa, Museo de Segovia, Segovia 

Giubileo, appello a papa Francesco: «Deve essere un chiaro invito alla conversione»

di Nicola Bux

Mentre i politici occidentali parlano di strategia di lungo periodo per fronteggiare il terrorismo islamista, e ricorrono all’armamentario dei valori della convivenza, della solidarietà, della tolleranza, del dialogo, ormai mummificati, i giovani europei muoiono nel corpo e nell’anima; anche tra i cattolici non si vuol risalire alle cause che inducono tanti ragazzi, in cerca di idee forti, ad arruolarsi nelle file dei musulmani, ed altri, succubi del pensiero debole, a inseguire i miti progressisti, al punto che, quando uno di loro muore, non si sa dire altro che ‘era solare’ – che significa? -, spegnendo l’interrogativo sulle condizioni dell’anima al momento della morte.

La Chiesa cattolica, “vessillo issato tra le nazioni e strumento di salvezza per tutti i popoli” a cosa è chiamata? Seguendo l’Omelia di un autore del II secolo, riprendo questo appello: “Fratelli, prendiamo questa bella occasione per far penitenza, e mentre ne abbiamo tempo, convertiamoci a Dio che ci ha chiamati e che è pronto ad accoglierci. Se lasceremo tutte le voluttà e non permetteremo che la nostra anima rimanga preda dei cattivi desideri, saremo partecipi della misericordia di Gesù”.

Giovanni Paolo II richiamava le visioni di santa Faustina, che dinanzi al purgatorio, esclama: “una prigione di dolore”, della quale il Signore le fece intendere: “La mia misericordia non vuole questo, ma lo esige la giustizia”.

Sembra, quindi, che non si possa ottenere misericordia senza conversione, altrimenti Dio non sarebbe giusto, né in questo mondo né, soprattutto, nell’altro: “La Misericordia esige, prima di inondarci della sua benevolenza, la verità, la giustizia e il pentimento. In Dio la misericordia si fa perdono” (R. Sarah, Dio o niente, Siena 2015, p. 266). È il Vangelo di Gesù Cristo!

Gli avvenimenti tragici di Parigi, con le minacce a Roma, portano a rivolgere l’appello al suo Vescovo, il Papa, che il Giubileo dichiari meglio l’intento per il quale fu istituito: l’invito alla conversione di tutti gli uomini per ottenere indulgenza, ossia misericordia dal Signore; un invito supplice, innanzitutto ai cristiani, affinché rinnovino la rinuncia battesimale ad ogni connivenza col mondo e guardino a Gesù Cristo, l’unica “porta santa” attraverso cui entrare nella vita eterna, come egli stesso ha detto. Bisogna che tale annuncio evangelico non escluda alcun uomo, perché è l’unico ‘dialogo’ che il Signore vuole - lo attestano i vangeli - e che Egli stesso ha intessuto con uomini e donne di ogni tipo: giusti e peccatori, ebrei e samaritani, romani e greci. È il dialogo che dichiara la necessità della conversione di tutto il mondo al Signore Gesù, per la salvezza dell’anima in terra e soprattutto in Cielo.

Che Gesù Cristo sia il principio e il fine del rapporto col mondo, lo dichiarò Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II: «Il grande problema posto davanti al mondo, dopo quasi due millenni, resta immutato. Il Cristo, sempre splendente al centro della storia e della vita; gli uomini o sono con Lui e con la Chiesa sua e allora godono della luce, della bontà, dell’ordine e della pace; oppure sono senza di Lui, o contro di Lui, e deliberatamente contro la sua Chiesa: divengono motivo di confusione, causando asprezza di umani rapporti e persistenti pericoli di guerre fratricide».

La Chiesa di Gesù Cristo, che sussiste nella Chiesa cattolica, è stata costituita e inviata ad attuare questo dialogo che consiste nel proclamare che l’uomo si salva solo se crede nel Signore Gesù: ebrei e pagani, musulmani e buddisti, atei e agnostici: nessuno può essere esentato dalla conversione. È l’invito che scaturisce dal Cuore di Cristo, affinché tutti si salvino e giungano alla conoscenza della verità. Se il parlare della misericordia - che è un aspetto della carità – non fosse finalizzato alla conversione, non servirebbe a nulla, come ha ricordato san Paolo nel celebre “inno alla carità”. Se la Chiesa non fa questo annuncio, tradisce il mandato del suo Fondatore.

Non serve discettare se vi siano musulmani moderati o fondamentalisti o fanatici, e sociologismi simili: chi conosce il Corano e gli hadith di Muhammad sa bene cos’è l’islam; né serve ricorrere alla teoria rahneriana dei cristiani anonimi, stigmatizzata da Hans Urs von Balthasar, per sostenere la necessità del dialogo senza alcun intento di conversione: sarebbe alimentare l’insipienza di tanta parte della cristianità, come amava dire il cardinal Giacomo Biffi. Decenni di dialogo da parte cattolica, sostituendo la missione di annunciare Gesù Cristo, non evita la persecuzione, perché questo è lo statuto ordinario dei cristiani: «Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi»; senza dimenticare che la persecuzione è una beatitudine proclamata da Cristo. Invece, sta accadendo ciò che descrive il cardinal Sarah: «Mentre i cristiani muoiono per la fede e la loro fedeltà a Gesù, in Occidente, degli uomini di Chiesa cercano di ridurre al minimo le esigenze del Vangelo» (ibidem, p. 369). 

Il Giubileo veda i vescovi e i sacerdoti spiegare che la misericordia del Signore e il Suo perdono, si può sperare di ottenerli solo osservando i Comandamenti, abbandonando ogni condotta malvagia, scisma ed eresia. Dio si è fatto vicino, abita in mezzo a noi, non è un Essere lontano e impersonale; il cattolico non professa un vago deismo: dopo l’Incarnazione, sarebbe imperdonabile. Non si può mescolare al giusto culto da dare a Dio - è anche il primo comandamento della carità, insegnato da Gesù -, forme che imitino gli spettacoli mondani. Si deve difendere la famiglia da contraffazioni di cui ci si deve solo vergognare. Non si deve uccidere il prossimo per poter possedere; profittare dei poveri - che saranno sempre con noi - per risuscitare il pauperismo; mistificare con la menzogna la verità, il male col bene; spadroneggiare su persone e cose altrui. Senza la conversione, la misericordia non fa scomparire vizi e peccati, specie quelli capitali, nei quali molti stabilmente vivono. 

Bisogna che il Giubileo rilanci l’esercizio delle virtù teologali e cardinali fino al grado eroico, cioè esorti alla santità, e per questo inviti a ritornare ai Sacramenti che sono lo strumento ordinario della Grazia divina. Bisogna praticare le opere di misericordia corporale senza omettere - anzi, di questi tempi, anteponendole -, quelle spirituali a cominciare dalle prime tre: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori.

Nel giorno del Giudizio, da quello particolare dopo la morte a quello universale, ci sarà chiesto se avremo osservato tutti i Comandamenti e i precetti della Chiesa, in primis se saremo andati a Messa, fons et culmen del giusto culto a Dio, che è appunto l’Eucaristia, il vero atto di carità verso Colui che si è fatto povero per renderci ricchi. Memori di Colui che ha detto: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno”(Gv 6,54).

Dunque: “Non anteponiamo assolutamente nulla a Cristo, che ci conduca tutti insieme alla vita eterna” (San Benedetto, Reg. n. 72).

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