Sante Messe in rito antico in Puglia

domenica 3 maggio 2015

“Nam Macárius Jerosolymórum epíscopus, factis Deo précibus, síngulas cruces cuídam féminæ, gravi morbo laboránti, admóvit; cui cum réliquæ nihil profuíssent, adhíbita tértia Crux statim eam sanávit” (Lect. V – II Noct.) - IN INVENTIONE SANCTÆ CRUCIS

Questa data ricorda il recupero della santa Croce, al tempo dell’imperatore Eraclio ed il dono che ne fece questi, verso il 629, a Zaccaria, patriarca della città di Gerusalemme, da dove, qualche anno prima, i Persiani l’avevano prelevata per trasportarla presso di loro. Questa festa fu accolta con favore nelle diverse liturgie occidentali, mentre in Oriente quella dell’Exaltatio Sanctæ Crucis restò la sola in onore; in questo giorno qui, ogni anno, in ricordo della scoperta del legno sacro, avvenuta il 14 settembre 320, lo si mostrava solennemente al popolo.
In seguito, i Latini confonderanno l’oggetto delle due feste; il recupero della Croce fu identificato con l’Exaltatio del 14 settembre e la solennità del 3 maggio fu consacrato a celebrare la sua scoperta sotto Costantino. Bisogna d’altronde osservare che l’Esaltazione fu accolta piuttosto tardivamente nel Sacramentario di Adriano, perché questo giorno, a Roma, era quello del natale di san Cornelio.
Il Liber Pontificalis è il più antico documento romano a legare la scoperta della santa Croce al 3 maggio, in dipendenza del testo latino della leggenda di Giuda Ciriaco (L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, Coll. Bibliothèque des Ecoles Françaises d’Athènes et de Rome, tomo 1, Paris 1886, p. 167). Lo storico della liturgia Antoine Chavasse ha mostrato come la festa dell’Inventio Crucis, di origine orientale, era stata introdotta dal primo quarto del VI sec. in diversi tituli romani, senza riuscire a penetrare nella liturgia papale (A. Chavasse, Le Sacramentaire Gélasien, Paris 1958, pp. 350-364). La si trova nel VII sec. nei sacramentari gelasiano e gregoriano. La sua celebrazione è attestata in maniera costante a Roma tra il IX ed il XII sec.
L’antifonario di San Pietro corrobora la visione di Chavasse sulla dipendenza della festa dell’Inventio S. Crucis rispetto alla leggenda di Giuda Ciriaco, poiché due antifone ne sono tratte: Orabat Judas e Cum orasset Judas (Queste due antifone non sono proprie all’antifonario del Vaticano. Si trovano in numerosi manoscritti: v. R. J. Hesbert, Corpus Antiphonalium Officii, tomo 3, Roma 1968, nn. 2020 e 4172. Sulla storia del culto della Santa Croce, v. A. Frolow, La relique de la Vraie Croix, recherches sur le développement d’un culte, Paris 1961, e, dello stesso autore, Les reliquaires de la Vraie Croix, Paris 1965). Tanto in Vaticano quanto al Laterano si celebrava al Mattutino i due primi notturni dei santi martiri Alessandro, Evenzio e Teodulo ed il terzo della santa Croce (cfr. Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, p. 235).
La messa odierna è posteriore al periodo gregoriano: per questo le antifone dell’Introito e dell’Offertorio sono tratte da altre messe più antiche.
La colletta di oggi si trova già nel Gelasiano e fa allusione alla resurrezione del defunto sul quale il vescovo di Gerusalemme depose la vera Croce per distinguerla da quella dei due ladroni. I prodigi compiuti nella passione di Gesù sono le differenti risurrezioni dei patriarchi e dei santi di Gerusalemme nel momento in cui il Salvatore spirò sulla Croce.
La festa della santa Croce, nel mezzo degli splendori del tempo pasquale, offre un profondo significato liturgico. Il Signore chiama la sua crocifissione il giorno del suo trionfo e della sua esaltazione, e ciò è vero. Sulla Croce vinse la morte, il peccato ed il demonio, e su questo legno trionfale innalzò il suo nuovo trono di grazia, di misericordia e di salvezza. Questo è il senso del melodioso canto alleluiatico tratto, oggi, dal Sal. 96 (95): «Il Signore regnò dal legno». Questa versione, però, non corrisponde più al testo ebraico attuale; esso ci è stato trasmesso attraverso gli antichi Padri, come san Giustino, che accusarono i Giudei di averlo mutilato (Cfr. san Giustino, Dial. Trifone, 73, 1; Tertulliano, Contro i Giudei, X). Già la Lettera di Barnaba, del resto, insegnava che «il regno di Gesù è sul legno» (VIII, 5: I Padri Apostolici, Roma 1984, p. 198) ed il martire san Giustino, citando quasi integralmente il Salmo nella sua Prima Apologia, concludeva invitando tutti i popoli a gioire perché «il Signore regnò dal legno» della Croce (Gli apologeti greci, Roma 1986, p. 121). Su questo terreno è fiorito l’inno del poeta cristiano Venanzio Fortunato, Vexilla regis, in cui si esalta Cristo che regna dall’alto della Croce, trono di amore e non di dominio: Regnavit a ligno Deus.
Troviamo una prova che la messa non è tratta dal Sacramentario Gregoriano nel fatto che il Vangelo (Gv 3, 1-15) non è tratto dall’ultimo discorso di Gesù, da dove l’uso romano attingeva di preferenza durante il ciclo pasquale. La scelta è stata tuttavia felice, perché il serpente di bronzo alzato da Mosé nel deserto è un tipo profetico dell’Exaltatio Sanctæ Crucis festeggiato oggi, ed indica un’epoca dove si celebrava ancora, il 3 maggio, l’originaria esaltazione della vera Croce, dovuta all’imperatore Eraclio.
La colletta sulle oblate, tratta dal Sacramentario Gelasiano, rivela dei tempi agitati dalle guerre e dalle invasioni nemiche, probabilmente quelle dei longobardi.
Il Prefazio è in onore della Croce come nell’ultima quindicina della Quaresima.
L’antifona della Comunione rivela essa stessa la preoccupazione che dominava gli spiriti quando, nel Sacramentario Gelasiano, fu accolta la festa di questo giorno, vale a dire quella di ottenere il soccorso dal cielo contro gli invasori del Ducato romano.
Dio ha amato accordare una così grande virtù al segno della croce, che è sufficiente benedire i fedeli per mettere i demoni in fuga e procurare alle anime devote delle grazie abbondanti. Gli antichi avevano una tale devozione per il segno della croce che, a dire dei Padri, non cominciavano mai nessuna azione senza esserne muniti. Giuliano l’apostata, durante un sacrificio pagano, mise, si dice, parecchie volte il demonio in fuga, perché istintivamente, alla sua prima apparizione, aveva lui stesso usato il segno della salvezza. Riferisce la notizia San Gregorio Nazianzeno, Oratio IV, Adversus Julianum imperatorem prior Invectiva, nn. 55-56: «Ad crucem confugit, eaque se adversus terrores consignat, eumque quem persequabatur in auxilium adsciscit. Valuit signaculum, cædunt dœmones, pelluntur timorés. Quid deinde? reviviscit malum, rursus ad audaciam redit; rursus aggreditur; cursus iidem terrores urgent, sursus obiecto signaculo dæmones conquiescunt, perplexusque hœret discipulus» (in PG 35, col. 531 ss., partic. coll. 578-579). Al fatto allude anche Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, allorché, in una sua opera, riprendendo Gregorio di Nazianzio, ricorda che: «Giuliano apostata, benché fosse nemico di Gesù Cristo, nondimeno, sapendo la virtù del segno della croce, quando era atterrito da’ demoni segnavasi colla croce, e i demoni fuggivano» (Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, La vera sposa di Gesù Cristo, cioè la monaca santa per mezzo delle virtù proprie d’una religiosa, Napoli 1760-61, ora in Opere Ascetiche, Voll. XIV-XV, CSSR, Roma 1935, p. 52).
Nel Medioevo non si cominciava nessuno scritto pubblico, iscrizione, legge, ecc., senza aver tracciato prima la croce. Questa teneva luogo della firma per coloro che non sapevano scrivere, e precedeva spesso quella degli ecclesiastici. In numerose campagne, si giungeva perfino a segnare di una croce la pasta ed il pane prima di cuocerli. E tale usanza sopravvive talora anche nel Sud Italia.
A Roma, sulle porte della Città restaurata durante il periodo bizantino, si vedono ancora graffiti, che rappresentano la croce greca, la quale si trova anche sugli orifizi delle cisterne e dei vecchi pozzi, sulle bocche dei forni e sugli oggetti domestici. Fino ancora al periodo prima della II Guerra Mondiale, per far apprendere le lettere e le sillabe ai bambini, si adoperava un piccolo libro intitolato Santa Croce a causa del segno di salvezza che, secondo una tradizione di più di quindici secoli, precedeva l’alfabeto.
L’antichità ci ha trasmesso anche dei reliquiari a forma di croce su cui si incidevano talvolta delle formule di esorcismo; abbiamo per esempio una croce d’oro raccolta dallo stesso Pio IX in una tomba del cimitero di Ciriaco.
La più celebre di queste croci con formula di esorcismo è quella che è conosciuta sotto il nome di medaglia di san Benedetto e di cui l’efficacia è oggi ancora sperimentata con successo contro le insidie del demonio. Ma si potrebbe ricordare anche quella, non meno efficace per lo stesso scopo, di sant’Antonio di Padova.


Lodovico Cardi detto il Cigoli, L'imperatore Eraclio porta la Croce a Gerusalemme, 1594, Chiesa di S. Marco, Firenze

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