Sante Messe in rito antico in Puglia

sabato 16 marzo 2024

La velazione (o velatura) delle croci e delle immagini nel Tempo di Passione

Con i primi Vespri della Domenica di questa sera inizia il periodo più intenso della Quaresima che è il c.d. Tempo di Passione, nel quale si velano le immagini sacre delle chiese. Un uso che continua a sopravvivere pur nell'odierna temperie teologica e liturgica.



Rilanciamo un contributo sul punto dello studioso Francesco Tolloi, pubblicato nel 2022 sulla rivista diocesana di Trieste:

Liturgia: L'uso tradizionale di coprire statue, pitture e crocifissi in Quaresima

La velatura delle croci e delle immagini

di Francesco Tolloi

La storia plurisecolare di un uso diversamente attestato nelle diverse Chiese particolari dal VII secolo in Gallia al Messale post-conciliare di San Paolo VI passando per la riforma tridentina e post-tridentina della liturgia romana

«Usus cooperiendi cruces et immagines per ecclesiam ab hac dominica [V di Quaresima, n.d.a.] servari potest, de iudicio Conferentiae Episcoporum»(1). Il Messale, con tale rubrica permissiva, attesta un uso che, pur limitatamente ad alcuni luoghi, si è conservato e che per secoli fu di diffusione generale. Ma da dove e quando si diffuse tale usanza? Quali sono i suoi significati? Non è facile rispondere con certezza: le testimonianze, specie quelle più antiche, sono frammentarie ed anzi attestano una scarsa uniformità della prassi, tuttavia, i dati disponibili, consentono perlomeno di intuire dei percorsi di ricerca e, talvolta, di formulare prudentemente delle ipotesi, spesso ponendo nuovi quesiti. Il Messale che promulgò nel 1570 papa San Pio V secondo le indicazioni del Concilio di Trento, non menziona la prassi, per contro, trent’anni dopo l’editio princeps del Caeremoniale episcoporum, promulgata da Clemente VIII, ne fa esplicito riferimento(2). Questo stato di cose potrebbe suggerire l’ipotesi che nella prima epoca post tridentina si tentò di uniformizzare il costume della velatura, che si era mantenuto fino ad allora differenziato sia sotto il profilo geografico che temporale. La Francia, notoriamente refrattaria nell’accoglimento dei dettami tridentini, mantenne – nella lussureggiante galassia dei riti neogallicani (meglio sarebbe definirli usi propri diocesani) – una marcata differenziazione, destinata a perdurare fino alla seconda metà del XIX secolo, per questo ordine di motivi la sua osservazione è particolarmente utile ed interessante. A darcene autorevole testimonianza è Jean-Baptiste Le Brun des Marette, che a principio del Settecento viaggiò attraversò il regno di Francia annotando, con accurata meticolosità e dovizie di dettagli, gli usi liturgici esistenti nel territorio sia nelle diocesi che tra Ordini e congregazioni di religiosi, registrando, anche in questa fattispecie, consuetudini diversificate(3). Il Le Brun attesta in molte chiese francesi una copresenza di velature – che poi vedremo testimoniate anche al di fuori della Francia – di diverso tipo: delle tende vengono tirate per separare l’altare dal coro, oppure per separare del tutto la navata, altre volte sussistono entrambe, il più delle volte convivono con i veli che coprono le immagini e le croci. Diverso è anche il momento in cui queste coperture vengono poste: spesso ciò avviene appena alla conclusione dell’Ufficio della I domenica di Quaresima (dopo Compieta) venendo a marcare l’inizio del tempo quaresimale e con esso del digiuno che lo caratterizza. Un tanto deporrebbe circa la vetustà della prassi, in considerazione del fatto che la Quaresima, anticamente, si faceva iniziare in tale giorno (come avviene ancora presso gli orientali col lunedì puro) mentre solo più tardi, per far coincidere al numero di quaranta le giornate effettivamente destinate al digiuno, si aggiunsero i giorni che vanno dal mercoledì delle ceneri alla Feria II (lunedì) dopo la I domenica di Quaresima(4). La velatura di immagini e croci, di cui fa riferimento il Messale, potrebbe essere un lacerto, in qualche modo cristallizzato, di queste particolari coperture realizzate, in epoca più remota come segno esteriore della Quaresima? E se così fosse l’uso V domenica di Quaresima potrebbe essere un momento più ritardato o un punto di arrivo raggiunto nel tempo cui, infine, si è data una struttura normativa? Si tratta di quesiti che, innanzi alle testimonianze qui brevemente accennate, sorgono spontanei. Circa l’antichità il Braun opina che l’uso si diffuse proprio in Gallia già nel VII secolo, nella penisola italiana si attesta intorno al Mille (Consuetudines dell’abbazia di Farfa, di matrice cluniacense), per divenire di uso generalizzato nel basso Medioevo(5).

Il celebre canonista Guglielmo Durando, Vescovo di Mende, ci tramanda che nel XIII secolo, epoca in cui visse, alla I domenica di Quaresima si coprono le croci e si tira il velo innanzi all’altare e riferisce che ciò in alcune chiese si compie la domenica di Passione (V di Quaresima)(6). L’Autore ravvisa dunque un legame tra le due azioni, così come parrebbe ritenerlo, sostanzialmente, anche il Martène sostenendo che, quanto si praticava alla sua epoca (tra XVII e XVIII secolo) la domenica di Passione, era un tempo d’uso generale compierlo la I domenica di Quaresima (dopo la Compieta della stessa, o dopo la celebrazione di Prima del lunedì immediatamente successivo)(7). Privare il fedele dalla vista delle cose sacre o persino dell’altare e dunque dell’azione sacra mediante la velatura si percepiva come segno esteriore di mestizia. Il citato Durando, estremamente significativo e rappresentativo di una modalità di interpretazione basata su suggestioni allegoriche che permea la speculazione dell’Età di mezzo, suggerisce che, mediante questo segno esteriore, il cristiano rivive una condizione di conoscenza imperfetta, dunque velata, al pari di quella degli uomini dell’antico testamento. Qualora la velatura sia limitata alle ultime due settimane prima di Pasqua, l’accento sarebbe posto sul nascondimento della natura divina: nella domenica di Passione, infatti, veniva proclamato il Vangelo di San Giovanni (8, 46-59) in cui i giudei vogliono lapidare Gesù, dopo un concitato e teso scambio verbale, tanto che egli si vede costretto ad uscire per nascondersi: Jesus autem abscóndit se, et exívit de templo(8). Ben diversa e non molto convincente, in questa circostanza, la spiegazione che dà Claude De Vert: l’Autore, celebre per ricondurre i gesti di culto e costumi liturgici a necessità materiali e concrete, ritiene che l’usanza possa derivare dall’uso arcaico di collocare la croce solo al momento della celebrazione ed anzi ritiene che essa, originariamente non veniva collocata affatto, come poté leggere e vedere in alcuni luoghi (ancora una volta nell’ambito degli usi neogallicani).

La croce sarebbe stata poi portata dal diacono o dallo stesso celebrante all’altare (es. a Reims) per rimanervi il tempo necessario: quando la comodità indusse a lasciarla sul posto, si prese l’abitudine di velarla, uso che sarebbe rimasto in questo specifico tempo(9). Mario Righetti, perito del Concilio Vaticano II, ritiene verosimile che la velatura di croci ed immagini la domenica di Passione sia una semplificazione tardiva delle velature quaresimali, in particolare opina poter derivare dall’hungertuch (letteralmente telo della fame) attestato inizialmente in area germanica a significare il tempo di digiuno(10). Particolarmente suggestiva ed articolata è l’ipotesi di Thurston: per l’Autore l’origine della velatura di croci ed immagini è riconducibile proprio ai teli che, anticamente, dal principio quaresima, celavano la sancta sanctorum. L’usanza andrebbe ricercata nell’allentamento e successivo abbandono della prassi canonica della pubblica penitenza. I penitenti, in capite quadragesimae, venivano allontanati dal tempio per poi essere riammessi e riconciliati il giovedì santo. Essi sarebbero stati dunque privati della vista delle cose sacre: mediante la velatura si produrrebbe una finzione giuridica che porterebbe tutti i fedeli, in un certo qual modo, alla condizione dei penitenti pubblici(11).

Note:

1. Cfr. Rubr. in Dom. V in Quadragesima, in Missale romanum, editio typica tertia, Città del Vaticano, Typis Vaticanis, 2002, pag. 255.

2. Cfr. Caeremoniale episcoporum, Romae, Typographia linguarum externarum, 1600, editio princeps, ristampa anastatica a cura di A. M. Triacca e M. Sodi, Città del Vaticano, LEV, 2000, Lib. II, cap. XX, pagg. 217 e s. (225 e s.).

3. S. De Moleon, Voyages liturgiques de France, Paris, Delaulne, 1718, passim. (De Moleon è lo pseudonimo del Le Brun des Marette).

4. In tal senso appare significativa l’Orazione secreta della I domenica di Quaresima del Messale c.d. tridentino che fa esplicito esordio del tempo quaresimale e con esso delle austerità, segno di conservazione di un elemento arcaico, di matrice gregoriana, a fronte delle modificazioni intervenute successivamente (cfr. Sacramentario Gregoriano. Testo latino-italiano e commento, a cura di M. Sodi e O.A. Bologna, Roma, Edizioni Santa Croce, 2021, pag. 63 al 223).

5. Cfr. G. Braun, I paramenti sacri. Loro uso storia e simbolismo, trad. it. G. Alliod, Torino, Marietti, 1914, pag. 209 e segg. Per l’Autore l’uso di velare il crocifisso va ricercato nel fatto che sino al XII secolo Cristo veniva rappresentato trionfante sulla croce, volendo sottolineare i contenuti della passione salvifica lo si sottraeva dalla vista coprendolo (idem, pag. 211).

6. Cfr. G. Durando, Rationale Divinorum Officiorum, Ludguni, Ravillii, 1612, lib. VI al 32, par. 12, pag. 303. L’uso della velatura già la I domenica di Quaresima lo si riscontra anche nel rito ambrosiano, qui però vengono velate le sole immagini e non i crocifissi (Cfr. V. Maraschi, Le particolarità del rito ambrosiano, Milano, Propaganda Libraria, 1938, pag. 81).

7. Cfr. E. Martene, De antiquis Ecclesiae Ritibus, Antverpiae, de la Bry, 1737, tomus tertius, pag. 186.

8. Cfr. G. Durando, Rationale Divinorum Officiorum, op. cit., lib. I, al III, par. 35, pag. 17. Proprio al Vangelo di tale domenica è legato l’uso della cappella papale attestato dal Cerimoniale apostolico. Dal testo si apprende che la velatura della croce avviene in questa domenica ed in particolare le immagini sono coperte con un velo, issato con delle carrucole attraverso cui passando le corde, per mezzo di alcuni chierici della cappella nel momento in cui termina la proclamazione del Vangelo; cfr. A. Patrizi Piccolomini, Sacrarum Cerimoniarum, Sive Rituum Ecclesiasticorum Sanctae Romanae Ecclesiae, Coloniae Agrippinae, 1572, liber secundus, fol. 224 r.

9. Cfr. C. De Vert, Explication simple, litterale et historique des Cérémonies de l’Eglise, Paris, Delaulne, 1713, Tome quatrieme, pagg. 30 e ss.

10. Cfr. M. Righetti, Manuale di storia liturgica, Milano, Ancora, 1969, Volume II, pag. 175 e s. Sull’hungertuch, la sua diffusione e sopravvivenza, si veda ancora: G. Braun, I paramenti sacri, op. cit., pag. 211.

11. Cfr. H. Thurston, Lent and Holy Week, London, Longmans Green, 1914, pag. 99 e ss. Il rito dell’espulsione e riconciliazione dei pubblici penitenti trovava posto nel Pontificale romanum fino agli anni Sessanta del Novecento (cfr. Pontificale romanum, Taurini, Marietti, 1941, V, pagg. 300 e ss. Per l’approfondimento di questi riti si rinvia a: J. Catalano, Pontificale romanum in tres partes distributum, Parisiis, Méquignon, Leroux et Jouby, 1852, Tomus III, pagg. 8 e ss.

Fonte: Rivista diocesana di Trieste, Il Domenicale di San Giusto, 3.4.2022, pp. 8-9.


sabato 6 gennaio 2024

Le reliquie dei doni dei Santi Magi. Oro, incenso e mirra, sul Monte Athos

Molti si potrebbero chiedere se esistano reliquie dei doni dei Santi Magi. Ebbene sì. Esistono e si conservano in Grecia, sul Monte Athos. Per informazioni al riguardo, rilanciamo un contributo dell’Avv. Francesco Patruno, che ringraziamo, risalente a ormai due anni fa. Buona lettura.

Reliquie dei doni dei Santi Magi, Monastero di S. Paolo, Monte Athos 







Joseph Georg Witwer, I Santi Re Magi, 1774, Chiesa parrocchiale, Elmen, Tirolo

Le reliquie dei doni dei Santi Magi. Oro, incenso e mirra, sul Monte Athos

di Francesco Patruno

Giovanni Gasparro, Adorazione dei SS. Magi, particolare, 2021, collezione privata

«Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra».

Con queste parole, l’evangelista Matteo ci descrive, nel II capitolo del suo Vangelo, quanto i santi Magi, venuti dal misterioso Oriente, guidati da una stella altrettanto misteriosa, offrirono al santo Bambino, volendone sottolineare, allo stesso tempo, la divinità, la regalità e l’umanità.

Per molti, questi doni avrebbero solo una profonda valenza simbolica e teologica. San Leone Magno, nel suo Primo Sermone nella festa dell’Epifania, così commentava: «Offrono l’incenso a Dio, la mirra all’uomo, l’oro al re, venerando consapevolmente l’unione della natura divina e di quella umana, perché Cristo, pure essendo nelle proprietà delle due nature, non era diviso nella potenza» (qui). Del resto, presso i popoli antichi questi doni erano associati alla divinità (l’incenso, la cui raccolta, non a caso, coincideva proprio con l’inizio del segno solare del Leone), alla regalità (l’oro, costituendo il metallo regale per eccellenza ancora oggi) e l’umanità (la mirra, che era usata anche per le sue proprietà curative ed antisettiche per la cura di ferite, di piaghe e come antidoto per i morsi dei serpenti e degli scorpioni).

Ci si potrebbe interrogare se questi doni siano davvero reali, e non puramente simbolici, e se esistano delle reliquie di questi.

La nostra risposta non può che essere affermativa.

Tra i vari tesori e reliquie conservate sul Monte Athos, in Grecia, vi sono i doni che i Magi d’Oriente offrirono al divino Bambino. Sono conservati, in particolare, con estrema cura – visto il loro valore spirituale incalcolabile – nel tesoro del monastero di San Paolo e sono portate raramente al di fuori dei confini del Monte, ad esempio nel gennaio 2014, in occasione delle festività natalizie ortodosse furono portate in pellegrinaggio, lasciando per la prima volta la Grecia dal XV secolo, a Mosca, San Pietroburgo, Minsk e Kiev (qui e qui).

Come si presentano questi doni? L’oro è in forma di ventotto pezzi di monete accuratamente incise, di varie forme (rettangolari, trapezoidali, poligonali, ecc.) e misurano circa 5×7 centimetri. Ogni moneta ha un designo di arte diversa e complessa.

L’incenso e la mirra, invece, assumono la forma di misture di sessantadue grani grossolanamente sferici e delle dimensioni di una piccola oliva.

Come sono giunti sino a noi?

L’evangelista Luca, nel suo Vangelo, ci informa, per ben due volte, che Maria conservava «tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19.51). Letteralmente, la Vulgata non parlava di “cose”, ma di “parole” («Maria autem conservabat omnia verba haec conferens in corde suo. [….] Et mater eius conservabat omnia verba in corde suo»).

Senz’altro la Madre di Dio conservava le parole del Figlio suo, ma anche tutto ciò che riguardava la vita terrena del Signore, tra cui i preziosi doni ricevuti dai Magi. Se oggi veneriamo le reliquie della mangiatoia, delle fasce, ecc., lo dobbiamo principalmente a Maria, che deve averci conservato quei ricordi dell’Infanzia divina del Salvatore.

Orbene, secondo la tradizione orientale e gerosolomitana, prima della sua Dormizione ed Assunzione in Cielo, Maria avrebbe consegnato e affidato alla Chiesa di Gerusalemme le sante Fasce, la Sua Veste, il Suo Velo, la Sacra Cintura, i Doni dei Magi, ecc. Queste rimasero nella Città Santa, attraverso alterne vicende, sino al 400 d.C. A quell’epoca, l’imperatore bizantino Arcadio portò tutte quelle reliquie a Costantinopoli anche allo scopo di accrescere il prestigio della capitale dell’Impero romano d’Oriente. Lì rimasero sino al saccheggio crociato del 1204.

Per sottrarre al sacco di Costantinopoli le reliquie dei Santi Doni, queste, assieme ad altre, furono portate a Nicea, nella Bitinia, divenuta la capitale temporanea dell’impero di Bisanzio (sino al 1261). Qui rimasero per circa sessant’anni. Con la partenza dei crociati e la fine dell’impero latino sotto l’imperatore Michele VIII Paleologo, tutte le reliquie rimaste in Bitinia – compresi i Santi Doni – furono restituite a Costantinopoli e lì rimasero sino alla conquista turca del 1453.

Dopo la conquista turca, la devotissima Mara o Maria Branković, vedova cristiana del sultano Murad II detto il Grande (il quale regnò dal 1421 al 1451) e matrigna di Maometto II il Conquistatore, portò le reliquie dei Santi Doni personalmente al monastero di San Paolo sul Monte Athos. Questo luogo fu scelto perché il padre di Maria Branković, Đurađ Branković, despota di Serbia, aveva costruito il Katholicon, cioè la chiesa principale del monastero (corrispondente alla chiesa conventuale della cristianità occidentale), in onore del santo martire Giorgio. Questo monastero, che si trova nella parte occidentale dell’Athos, è dedicato alla Presentazione di Cristo al Tempio. Esso fu fondato, intorno al 980 d.C., dal santo monaco ed eremita Paolo di Xeropotamou, detto Il Giusto: il monastero sorse sul luogo in cui si era ritirato alla ricerca di un’ascesi più profonda. Il monastero assunse il nome di San Paolo solo dal 1108.

Secondo la tradizione athonita, mentre Maria Branković dal porto del monte Athos si portava al Monastero, la Santa Vergine le avrebbe impedito in modo soprannaturale di raggiungerlo, preservando così il divieto, tuttora vigente, di ingresso per le donne – tranne per la Madre di Dio – alla santa montagna dell’Athos. Compreso ciò, la pia vedova del sultano si rassegnò a consegnare i Santi Doni ai monaci e padri scesi incontro a lei. Sul luogo in cui sarebbe apparsa la Vergine, che avrebbe impedito l’accesso alla montagna, fu in seguito eretta una croce, esistente ancor oggi e chiamata “Croce della Regina”. Ancora oggi si conserva nel monastero di San Paolo il documento ufficiale del sultano con le informazioni circa la consegna avvenuta dei Sacri Doni.

Bisogna dire che da allora queste insigni reliquie sono state sempre conservate nel monastero, nonostante le diverse vicende storiche e le avverse fortune che si susseguirono, come ad esempio l’incendio del monastero nel 1902 e l’alluvione che lo colpì nel 1911. Non sono mai state eseguite, però, analisi che ne confermassero l’autenticità, tramandata essenzialmente per via orale.

Molti i miracoli che si sarebbero verificati dinanzi a questi Sacri Doni. Secondo molti, si sprigionerebbe un fortissimo aroma, talora continuamente e talora occasionalmente.

Tra i tesori del Monastero ci sono, oltre ai doni dei Re Magi, il piede di san Gregorio il Teologo, un pezzo della Vera Croce, vasi e paramenti sacri. La biblioteca del monastero contiene 494 manoscritti e più di dodicimila libri stampati. La comunità oggi è composta da circa trenta monaci.

Fonte: Full of Grace

Fonte: Blog di Aldo Maria Valli, Duc in altum, 6.1.2022

PVBLICATIO FESTORVM A.D. 2024

Adorazione dei magi, disegno da una scultura di Nicola Pisano

Novéritis, fratres caríssimi, quod annuénte Dei misericórdia, sicut de Nativitáte Dómini nostri Jesu Christi gavísi sumus, ita et de Resurrectióne ejúsdem Salvatóris nostri gáudium vobis annuntiámus.

Die vigésima octáva Januárii erit Domínica in Septuagésima.

Décima quarta Februárii dies Cínerum, et inítium jejúnii sacratíssimæ Quadragésimæ.

Trigésima prima Mártii sanctum Pascha Dómini Nostri Jesu Christi cum gáudio celebrábitis.

Nona Maji erit Ascénsio Dómini Nostri Jesu Christi.

Décima nona ejúsdem erit Festum Pentecóstes.

Trigésima ejúsdem Festum sacratíssimi Córporis Christi.

Prima Decémbris Domínica prima Advéntus Dómini Nostri Jesu Christi, cui est honor et glória, in sǽcula sæculórum. Amen.

Rito romano

Nel rito parigino così come in quello ambrosiano è annunciata semplicemente la data della Pasqua:

Rito parigino

Rito ambrosiano



lunedì 1 gennaio 2024

Invocazione dello Spirito Santo per l’anno nuovo




"Gli fu imposto nome Gesù ....". Auguri di buon anno 2024

Buon 2024 dell'era cristiana a tutti i nostri lettori.

Non auguri convenzionali e di circostanza, ma auguri cattolici di fare tesoro e saper mettere a frutto le opportunità che il Signore vorrà donarci in questo nuovo anno, che oggi si apre.

Quest'anno, nel mondo cattolico, sarà ricco di ricorrenze significative. Nell'anno appena trascorso abbiamo celebrato i 700 anni della canonizzazione di S. Tommaso d'Aquino (18 luglio 1323) nonché gli 800 anni dell'approvazione della Regola francescana da parte di papa Onorio III (29 novembre 1223) e dell'istituzione del primo Presepe a Greccio (24 dicembre 1223); nel nuovo anno ricorderemo i 750 anni dalla morte del Doctor Angelicus (7 marzo 1274) e gli 800 anni dalla stimmatizzazione di S. Francesco d'Assisi (14 settembre 1224). 350 anni fa, infine, nel 1674, il Cuore di Gesù apparve a S. Margherita M. Alacoque “circondato da una corona di spine simboleggianti le ferite inferte dai nostri peccati e sormontato da una croce significante che, dai primi istanti della sua incarnazione, e, cioè, dal momento in cui il Sacro Cuore era stato formato, la croce vi era stata piantata e dal primo istante era stato pieno d'ogni amarezza”. 

Ricorrenze, quindi, assai significative. Da ricordare.

Buon 2024, quindi, a tutti i nostri lettori, sotto lo sguardo materno di Maria SS.

Orazio Gentileschi, Circoncisione di Gesù, 1605-07, Pinacoteca civica Francesco Podesti, Ancona

Giovanni Francesco Guerrieri, Circoncisione di Gesù, 1614-17, chiesa di San Francesco, Sassoferrato


Alessandto Capalti, Circoncisione di Gesù, 1845, Chiesa del Gesù, Roma

Giovanni Gasparro, Salvator mundi, 2015, collezione privata



Carlo Dolci, Madonna con Bambino Gesù, XVII sec., Galleria Borghese, Roma 

Giovanni Battista Salvi detto Il Sassoferrato, Madonna con Bambino Gesù dormiente, detta Madonna del Velo, 1650-60, Palazzo dei Musei, Modena 

Giovanni Battista Salvi detto Il Sassoferrato, Madonna con Bambino, XVII sec.

Giovanni Battista Salvi detto Il Sassoferrato, Madonna con Bambino e S. Giovannino, ispirata alla Madonna della seggiola di Raffaello, XVII sec., collezione privata

Giovanni Battista Salvi detto Il Sassoferrato, Madonna con Bambino che le porge un frutto, 1660, Galleria Nazionale di S. Luca, Roma


Giovanni Battista Salvi detto Il Sassoferrato, Madonna con Bambino, XVII sec., collezione privata

domenica 31 dicembre 2023

"Te Deum Laudamus" al termine dell'anno

Al termine dell'anno civile è d'uopo cantare l'inno del Te Deum ed all'inizio di quello nuovo il Veni Creator Spiritus.
Riportiamo l'art. 26 dell'Enchiridion Indulgentiarum della Penitenzieria Apostolica, IV edizione 1999 (tratto dal Sito della S. Sede).

PAENITENTIARIA APOSTOLICA

ENCHIRIDION INDULGENTIARUM

CONCESSIONES

26

Preces supplicationis et gratiarum actionis 

§ 1. Plenaria indulgentia conceditur christifideli qui, in ecclesia vel oratorio, devote interfuerit sollemni cantui vel recitationi: 
1°  hymni Veni, Creator, vel prima anni die ad divinam opem pro totius anni decursu implorandam; vel in sollemnitate Pentecostes; 
2°  hymni Te Deum, ultima anni die, ad gratias Deo referendas pro beneficiis totius anni decursu acceptis.

* * * * * * * * * * *

Preghiere di supplica e ringraziamento:

§ 1. L'indulgenza plenaria è concessa al fedele che, in una chiesa o in un oratorio, partecipa devotamente al canto o alla recita solenne:

inno Vieni Spirito Creatore, o il primo giorno dell'anno per implorare l'aiuto divino per tutto il corso dell'anno o nella solennità di Pentecoste;

inno Te Deum, l'ultimo giorno dell'anno, per rendere grazie a Dio per i benefici ricevuti durante tutto l'anno.








mercoledì 27 dicembre 2023

350° anniversario delle apparizioni di Nostro Signore Gesù Cristo a S. Margherita M. Alacoque

S. Margherita Maria Alacoque ebbe diverse apparizioni del Signore Gesù dal 1673 sino alla morte nel 1690. La prima si verificò, a Paray-Le-Monial, in occasione della festa di S. Giovanni Apostolo ed Evangelista, l'apostolo amato da Gesù e da Maria.

Jan van Bijlert, S.. Giovanni apostolo ed evangelista, 1625-30, Centraal Museum, Utrecht 

Giovanni Gasparro, San Giovanni apostolo amministra la Comunione alla Beata Vergine Maria, 2017, Seattle, Washington (USA), collezione privata


Giovanni Gasparro, Il discepolo amato, 2022, collezione privata

1) La prima visione avvenne il 27 dicembre 1673, festa di S. Giovanni Evangelista. Gesù le apparve e Margherita si sentì “tutta investita della divina presenza”; la invitò a prendere il posto che S. Giovanni aveva occupato durante l’Ultima Cena e le disse: “Il mio divino Cuore è così appassionato d’amore per gli uomini, che non potendo più racchiudere in sé le fiamme della sua ardente carità, bisogna che le spanda. Io ti ho scelta per adempiere a questo grande disegno, affinché tutto sia fatto da me”.

2) Una seconda visione le apparve agli inizi del 1674, forse un venerdì; il divin Cuore si manifestò su un trono di fiamme, più raggiante del sole e trasparente come cristallo, circondato da una corona di spine simboleggianti le ferite inferte dai nostri peccati e sormontato da una croce.

3) Sempre nel 1674 le apparve la terza visione, anche questa volta un venerdì dopo la festa del Corpus Domini; Gesù si presentò alla santa tutto sfolgorante di gloria, con le sue cinque piaghe, brillanti come soli e da quella sacra umanità uscivano fiamme da ogni parte, ma soprattutto dal suo mirabile petto che rassomigliava ad una fornace e essendosi aperto, ella scoprì l’amabile e amante Cuore, la vera sorgente di quelle fiamme.

Quest’anno, a partire da oggi sino al 2024, dunque, ricorreranno i 350 anni di queste celebri apparizioni.

Noi non possiamo non ricordare questi eventi, che tanto segnarono la storia della Chiesa e della devozione verso quel Cuore, che ha tanto amato gli uomini da dare la propria vita.




lunedì 25 dicembre 2023

Ultima benedizione "Urbi et Orbi" del papa Benedetto XVI - Natale 2012

Sono passati 11 anni e sembrano secoli .... 


Auguri

Un augurio di Santo Natale ai nostri lettori in questo tempo di grave difficoltà per la Chiesa. Stiamo vivendo in pieno il tempo tra il Giovedì ed il Venerdì Santo della Chiesa, allorché si consumano tradimenti, delle derisioni, degli oltraggi e delle defezioni dalla vera fede. E' l'ora della prova della Chiesa.

Possa la luce del Signore nascente illuminare le tenebre, che si avvolgono, spazzandole via.

Nonostante tutto e tutti, Auguri di un Santo Natale.




Melchior Paul von Deschwanden, Das Christuskind, Il Cristo bambino, 1881