domenica 22 gennaio 2023
venerdì 6 gennaio 2023
PVBLICATIO FESTORVM A.D. 2023
Novéritis, fratres caríssimi, quod annuénte Dei misericórdia, sicut de Nativitáte Dómini Nostri Jesu Christi gravísi sumus, ita et de Resurrectióne ejúsdem Salvatóris nostri gáudium vobis annuntiámus.
Die quinta Februárii
erit Domínica in Septuagésima.
Vigésima secúnda ejúsdem dies Cínerum, et inítium jejúnii sacratíssimæ Quadragésimæ.
Nona Aprílis sanctum Pascha Dómini nostri Jesu Christi cum gáudio celebríbitis.
Décima octáva Máii erit Ascénsio Dómini nostri Jesu Christi.
Vigésima octáva ejúsdem Festum Pentecóstes.
Octáva Júnii Festum sacratíssimi Córporis Christi.
Tértia Décembris Domínica prima Advéntus Dómini nostri Jesu Christi, cui est honor et glória, in sæcula sæculórum. Amen.
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Rito ambrosiano |
Fonte: blog Schola Sainte Cécile, 6 jan. 2023
martedì 20 settembre 2022
Il "Calvario" della chiesa della Passione di Conversano esempio di Crocifisso tipo giansenista
A cura di Deodata Cofano
Commento del pittore prof Giorgio Esposito, con il prof Vito Abbruzzi e studi del Card Costantini
Vito A.-I crocifissi giansenisti, non attirano nell'amplesso ideale il fedele, come nei crocifissi in cui le braccia e le mani sono aperte in gesto di accoglienza, ma hanno le braccia tese verso l'alto con le mani chiuse e lo sguardo verso l'alto. Il Card Costantini nel suo saggio "Il crocifisso nell'arte" li definisce "un errore storico". C'é da tener presente che sul patibolo della croce, il condannato assumeva varie posizioni per respirare e non morire subito di asfissia...seguite la lettura fino in fondo(ndr)
Il cosiddetto "Calvario" presente nella chiesa della Passione di Conversano databile tra la fine del 1700 e gli inizi del 1800, ne è un esempio
Consummatum est!Il cosiddetto "Calvario" presente nella chiesa della Passione di Conversano è databile tra la fine del 1700 e gli inizi del 1800
Giorgio E. - Molto bello
Vito A.- Rispecchia moltissimo l'Uomo della Sindone.
Giorgio E.- Il punto è che i critici d'arte, oggi, studiano solo storia dell'arte, però non hanno studiato l'anatomia, né la geometria del corpo umano, né la prospettiva e purtroppo neanche la tecnica della pittura antica, specialmente quella fatta a strati. Queste materie le può studiare solo qualcuno che ama l'arte e si dedica anima e corpo alla pittura. Questo spiega perché l'arte attualmente langue. Se avviene questo è perché chi la dirige è una persona poco competente
Un vero critico e storico dell'arte era il Vasari, dato che era anche un ottimo pittore, per cui conoscendo l'arte dal di dentro era in grado di esprimere giudizi molto competenti.
Interessante notare come
questo crocifisso mostri il muscolo coracobrachiale, il quale si mette in evidenza esclusivamente
quando si solleva il braccio e si trova fra il bicipite e il tricipite. Anche
l'infossatura dello sterno è ben descritta con i vari fasci del grande
pettorale che si dirigono verso il capo mediale del deltoide. Chi lo ha
scolpito sicuramente ha passato almeno 20 anni della sua vita nello studio dell'anatomia. Studio ovviamente scientifico.
Gli occhi invece sono tipici del morente. Infatti quando si
dorme le palpebre si chiudono verso il basso a causa del rilasciamento del
muscolo elevatore della palpebra
superiore, per cui la palpebra inferiore si nota appena, nella morte
invece le palpebre sono chiuse meno fortemente e per l'avvicinamento dell'una
all'altra, non più in basso, come nel
sonno, ma in modo da mostrare anche la palpebra inferiore.
Questi particolari mostrano egregiamente l'alta qualità della scultura, che ovviamente non può cogliere un critico d'arte, ma uno studioso profondo dell'anatomia come
lo erano i nostri grandi maestri del passato. A volte si tende a credere che
fossero abili artigiani e spesso si parla anche di "bottega", ma
anzitutto erano intellettuali di prim'ordine.
Di questi Crocifissi ci offrono molti esempi il Girardon
(1628-1715), Jordaens (1593-1678), Duquesnoy (1597-1674) e Giulio Carpioni
(1613-1679).
Crocifisso, avorio, George Petel Crocifisso, avorio Arte povera altezza cm. 43 circa, 1628 circa, Copenaghen, anni 1930 circa XVIII secolo, collezione privata. Castello Frederiksburg Puglia
Eppure, la dizione “giansenista” non è un vezzo del mercato antiquario, bensì
trova credito anche presso le istituzioni museali e lo stesso mons. Costantini
ne offre testimonianza citando un Crocifisso conservato presso il museo di
Troyes (alludendo probabilmente al Museo Saint-Loup) e ivi catalogato come
“Cristo giansenista”.
Uno dei fondamenti del Giansenismo, sviluppatosi all’interno della dottrina
cattolica, ma successivamente condannato a partire dal 1641, è credere che
Cristo non sia morto per tutti, ma per un ristretto numero di eletti. Quindi le
braccia raccolte indicano questo concetto di esclusività – “molti i chiamati, pochi gli eletti” (Mt 22,14) – tanto
quanto le braccia distese recano un invito di accoglienza rivolto a tutta la
comunità.
Possiamo
quindi ritenere che gli artisti che desideravano associarsi alle tesi
gianseniste ne offrissero una dimostrazione iconografica attraverso il
Crocifisso?
Il Giansenismo si sviluppa maggiormente proprio nell’epoca a cui i Crocifissi
si riferiscono, ossia Seicento e il Settecento, ma anche tra i numerosi
esemplari usciti dalle botteghe francesi nel corso dell’Ottocento potremmo
trovare oggetti con la caratteristica evidenziata. Si ricordi che, in pieno
Ottocento, venivano attribuire simpatie gianseniste anche ad Alessandro Manzoni.
Tuttavia, il Costantini è il primo a dubitare di una relazione tra Giansenismo
e questi Crocifissi e reca in merito una duplice considerazione.
La prima è che al “museo di Londra” (quasi certamente il British) si conserva
un’incisione di Michelangelo con le braccia stirate come i cosiddetti
Crocifissi giansenisti e al tempo di Michelangelo il giansenismo non esisteva
ancora, così come dimostrano altri due celebri disegni attribuiti a Michelangelo
dove non sembra si possa evidenziare la caratteristica delle “braccia stirate”.
Sembra probabile, altresì, che la nuova figurazione, laddove non vi sia intenzionalmente la rappresentazione giansenista, sia piuttosto figlia delle stravaganze barocche come ad esempio quella di voler scolpire il Crocifisso in un solo pezzo di legno o avorio. Inoltre «A. Grazier cita vari Crocifissi stampati su libri di carattere assolutamente giansenista, i quali però hanno le braccia allargate secondo la forma ordinaria».
Disegno attribuito a Michelangelo, Cristo Crocifisso con le mani alzate
Ttratto da https://www.antiquanuovaserie.it/crocifisso-giansenista/
Biavati e Marchetti, Antiche sculture lignee a Bologna, Off. Graf. Bolognesi, Bologna 1974,
P. COSTANTINI, Il crocifisso nell’arte, p. 145. llezza.
lunedì 19 settembre 2022
Conversano, Parrocchia Maria SS del Carmine, restaurato l'altare di San Giorgio
L’ALTARE DI SAN GIORGIO
lunedì 5 settembre 2022
La grotta di San Gregorio Magno, ovvero di San Michele in Monte Laureto
La grotta
di San Gregorio Magno
ovvero di
San Michele in Monte Laureto a Putignano (BA)
Di Vito Abbruzzi
A cura di Deodata
Cofano
Il 3 settembre la chiesa fa memoria di San Gregorio Magno,
nato verso il 540 dalla famiglia senatoriale degli Anici e Papa dal 03
settembre del 590 al 12 marzo del 604. E’ uno dei più grandi Papi della storia,
dottore della Chiesa, iniziatore del potere temporale della Chiesa e, in
particolare, fu lui che riformò la liturgia della Chiesa Romana e raccolse e ordinò i canti sacri che presero
il nome di Canti gregoriani.
La sua appartenenza ad una delle famiglie senatoriali più
importanti di Roma, lo lega alla grotta di San Michele in Monte Laureto a
Putignano (BA).
Infatti, la grotta (e il territorio circostante ad essa) sarebbe appartenuta alla famiglia Anicia e fatta consacrare da San Gregorio Magno all'indomani della sua salita al soglio pontificio, esattamente nel 591.
(In questo bellissimo video troverete presentazione e visita del Santuario rupestre dedicato al culto di San Michele Arcangelo in Monte Laureto, a Putignano. Situato su una collina distante circa 3 chilometri dall'abitato. Dal 912 al 1045, ha ospitato inizialmente i monaci Cluniacensi e in seguito i Benedettini. Oggi, grazie alla passione di volontari laici, la grotta è aperta alle visite e alla preghiera)
Sappiamo benissimo la devozione del santo Papa all'Arcangelo
Michele, al quale fece dedicare l'anno stesso della sua elezione il mausoleo di
Adriano, famoso, appunto, come "Castel Sant'Angelo".
E sappiamo pure quanto egli tenesse molto a cristianizzare
nella penisola italica quei luoghi ancora interessati dai culti pagani.
Si dice che proprio la nostra grotta di Putignano fosse
dedicata al dio Apollo, motivo per cui San Gregorio si preoccupò sin da subito
del suo pontificato di farla consacrare a San Michele. E a questo scopo avrebbe
incaricato il generale Tulliano, di stanza a Siponto con le sue truppe.
A conferma di questo lo stesso nome del comune di Putignano,
tra le cui diverse etimologie ci sarebbe anche quella di "puteum
Tullianum", a ricordo del "gran pozzo, che vi scavò Tulliano, [...]
essendo quà venuto [...] colle armi di Siponto a costruire Barsento e S.
Michele; avesse voluto donare di una vasta cisterna la buona gente che
l'accolse e prestossi devota ai lavori delle badie, imponendo e alla cisterna
ed ad al paese il suo nome". A dircelo è Pietro Gioja, nelle sue
"Conferenze istoriche sulla origine e su i progressi del comune di Noci in
Terra di Bari" (Napoli 1842, pag. 149), avvalorando la tesi del Sarnelli,
"dotto in archeologia" (ivi).
Ma anche anche l'origine del nome Putignano "da Apollo Pithunis (uccisore del serpente Pitone) da cui deriverebbe Pethunianum. Ciò per via della presunta presenza di un santuario di Apollo all'interno di una grotta presso Monte Laureto, un alto colle nell'agro putignanese". Dato confermato dalla splendida scultura lapidea di San Michele, firmata dall'eccezionale Stefano da Putignano, posta all'interno della omonima grotta di Monte Laureto.
Il San Michele ivi raffigurato ha tutti gli stilemi del dio
Apollo. E sarebbe - a giudizio degli esperti - la sua opera più bella.
Quindi parliamo di una grotta-santuario davvero importante,
sebbene meno conosciuta rispetto ad altri luoghi analoghi dedicati a San
Michele; l'unica, a mio modesto parere, che può vantare l'ex aequo con quella
più famosa di Monte Sant'Angelo.
Non poche analogie tra le due. Per storia, arte, fede.
Addirittura la grotta di Monte Laureto è, pur di poco, più ampia e più spaziosa
di quella del Gargano. E ha un'acustica perfetta.
Inoltre è in una posizione baricentrica da un punto di vista
geografico: un passaggio ineludibile per gli spostamenti dalla sponda adriatica
a quella jonica, e viceversa, attraversando la Murgia barese-tarantina. E,
dunque, non solo una tappa quasi obbligata, ma un punto di convergenza
provenendo dalle varie località della Puglia centro-meridionale. Lo capiamo
grazie agli innumerevoli toponimi, cappelle, edicole dedicati a San Michele.
Perciò, non resta che andare a visitare e, soprattutto, a
pregare il "gloriosissimo Principe
delle celesti milizie, Arcangelo San Michele" nella grotta-santuario a Lui
dedicata in Monte Laureto a Putignano: un effetto davvero sorprendente e un
senso di meraviglia ogni volta che ci si va
sabato 27 agosto 2022
mercoledì 17 agosto 2022
Pittori religiosi tra realtà e spiritualità
Conversazione tra il pittore barese prof Giorgio Esposito e il prof Vito Abbruzzi
A cura di Deodata Cofano
Pio XII "l’arte religiosa non deve essere né molto realistica, né troppo simbolica".
È appena trascorsa la Festa dell’Assunzione di Maria Vergine in Cielo, per molti il 15 agosto è solo ferragosto, mentre per la Chiesa è una delle feste mariane più importanti che grandi artisti del passato hanno rappresentato.
Riportiamo due esempi celebri: l'Assunta di Tiziano Vecellio conservata nella basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia, e L'Assunzione della Vergine di Peter Paul Rubens che si trova nella cattedrale di Anversa.
Giorgio Esposito: Per pervenire al suo stile grandioso, Rubens unì il disegno
di Michelangelo e il colore del Tiziano che lui ammirava molto, tanto che ne
copiò molte opere (probabilmente una ventina).
In quei tempi per pervenire al cosiddetto "nuovo" si procedeva molto umilmente facendo tesoro
dell'operato dei predecessori, copiando le loro opere e nel contempo studiandole. Contrariamente a quello che succede oggi, laddove
l'artista deve essere originale a tutti i costi non deve guardare al passato, ma essere
proiettato in avanti senza volgersi minimamente indietro o soffermarsi a
studiare gli antichi maestri.
Questo ha provocato due grossi inconvenienti:
l'interruzione della tradizione pittorica e l'esaltazione della personalità
degli artisti moderni che, spesso senza rendersene conto, cadono nel
narcisismo, in un'alta stima di sé e non
di rado anche nella superbia.
Ricordiamo che Rubens ebbe molti allievi, credo che il
preferito fosse il giovane ma grande Van Dick, che fece tesoro della lezione
del maestro, anche se le sue opere
risultano meno solari e più melanconiche.
Vito Abbruzzi: Rubens e Van Dick sono famosi per i loro crocifissi giansenisti (1), avevano aderito alle idee di Giansenio o, più semplicemente, avevano eseguito quei dipinti dietro indicazione dei committenti? l fatto di essere figlio di un calvinista spiega molte cose di Rubens, dal momento che il giansenismo altro non è che il calvinismo di matrice cattolica.
Giorgio Esposito: Posso dire che Rubens era figlio di
un calvinista, costretto a fuggire a
Roma a causa delle persecuzioni religiose del duca d'Alba, Fernando
Alvarez De Toledo. Alla morte del padre, avvenuta quando il nostro pittore
aveva solo 10 anni, la madre tornò ad Anversa dove il figlio ricevette una
formazione cattolica umanista. Da allora Rubens rimase sempre profondamente
devoto alla Chiesa Cattolica. Comunque più che l'aspetto religioso, ciò che mi ha interessato molto di Rubens è stata la sua incredibile e insuperata tecnica pittorica, in cui unì il procedimento degli antichi fiamminghi con il metodo di Giotto descritto da Cennino Cennini nel suo noto trattato
Molti quadri di
Rubens furono dipinti dai suoi ottimi allievi, fra cui è bene ricordare il virtuoso Jacob Jordaens.
Il maestro eseguiva spesso solo dei piccoli bozzetti e qualche disegno,
che poi gli alunni ingrandivano su tele enormi e su cui Rubens, alla fine,
correggeva qualche errore e armonizzava meglio il tutto.
Jacob Jordaens I quattro evangelisti |
Vito Abbruzzi: questo dipinto di Jacob Jordaens è molto caravaggesco. Ricorda l'incredulità di
San Tommaso.
Giorgio Esposito: A dir il vero Rubens, e probabilmente anche i suoi allievi, non apprezzavano molto la pittura di Caravaggio a differenza della pittura di Tiziano. Infatti in una lettera indirizzata a un amico scrisse che quella del Caravaggio era una pittura " troppo lenta" e, copiandone " La deposizione", apportò non poche modifiche stravolgendone l'intera composizione.
Credo che Caravaggio non avesse un talento sul tipo dei grandi pittori della tradizione. Di lui non esiste alcun disegno, dato che i suoi quadri sono copiati direttamente dal vero. Faceva posare qualche personaggio opportuno e poi, forse anche tramite la camera oscura o camera ottica (una specie di proiettore antico), ricalcava il disegno sulla tela. Dopo di che cominciava subito a dipingere per non stancare il modello, ma i suoi quadri difettano un po' nella composizione, proprio perché non usava fare anticipatamente dei disegni preliminari dell'opera.
Purtroppo era costretto a fare questo, non certo per mancanza di talento, ma perché non aveva una tranquillità economica, dato che non aveva un mecenate, per cui non aveva l'opportunità di approfondire lo studio del disegno e specialmente della geometria come fecero i suoi predecessori.(2)
Copiare dal vero come faceva Caravaggio risulta comunque più facile che inventare dal nulla come facevano Raffaello, Correggio, Tiepolo, ecc. Il risultato poi è anche molto realistico e questo non è sempre la cosa migliore specialmente per quel che riguarda la pittura sacra che deve mantenere un certo distacco dalla realtà a favore di una visione più spirituale. Molto opportunamente il Papa Pio XII affermava che l'arte sacra non deve essere né troppo realistica, né troppo simbolica.
Addirittura il pittore e critico d'arte Roger De Piles nel 1600 (allora i critici d'arte erano molto seri) compila una specie di pagella con i voti in cui fa un confronto fra i grandi pittori e, nelle voci" disegno" e " "composizione", Caravaggio risulta fra gli ultimi rispetto agli altri grandi pittori del passato.
Oggi purtroppo si cerca di stupire l'osservatore abbondando nel realismo e con l'aiuto della macchina fotografica si studia poco, e spesso non si copia neanche dal vero, dato che la fotografia fornisce già l'immagine precisa di ciò che si intende dipingere.
(1) si definiscono giansenisti i crocifissi di stampo protestante, in cui le braccia non sono aperte completamente sulla croce, ad indicare la dimensione cosmica della morte di Cristo, ma più ravvicinate, talvolta quasi parallele al corpo, creando tra loro uno spazio molto ristretto. Per il calvinismo ciò indica che la predestinazione, la salvezza, quindi, è per alcuni, non è per tutti.
(2) Caravaggio è stato annoverato tra i grandi artisti solo di recente, e non è un caso. Viviamo quest’epoca buia, incattivìta e disordinata, in cui si rifiuta l'armonia, l'ordine, la bellezza, la profondità e l'accuratezza, preferendo la disarmonia, la sregolatezza, la velocità e quindi la superficialità, cancellando la storia e la Cultura. In quest'epoca quindi, Caravaggio, pittore delle ombre e dell’oscurità, irrequieto e dalla vita disordinata, è un artista che esprime il mondo inquieto della modernità.
Deodata Cofano
lunedì 15 agosto 2022
La Cappella Papale dell’Assunta
Rilanciamo questo contributo del dott. Giuliano Zoroddu:
La Cappella Papale dell’Assunta
di Giuliano Zoroddu
La festa dell’Assunzione di Maria Santissima fu fin da
antico solennissima in Roma. L’introdusse Sergio I (687-701) e Leone IV
(847-855) la dotò di ottava. Il Pontefice celebrava la messa in Santa Maria
Maggiore, dopo aver preso parte alla fastosissima processione della notte
precedente.
I rituali avevano inizio la
mattina del 14 agosto, quando il Papa si recava nell’oratorio di san Lorenzo
nel Patriarchio, ove fatte sette genuflessioni all’immagine acheropita del
Salvatore, ne baciava i piedi e scopriva il volto al canto del Te Deum.
Portata dai Cardinali Diaconi e
scortata da dodici ostiari coi ceri accesi, seguiti dal suddiacono regionario
colla croce stazionale, dal clero palatino, dal primicerio con la schola
cantorum, dal Praefectus
Urbi con dodici romani (sei con la barba e sei sbarbati) in
rappresentanza del Senato, e dal popolo tutto, l’icona attraversava la Via
Sacra fino alla chiesa di Santa Maria Nuova, sotto il cui portico in atto di
adorazione i piedi del Salvatore venivano lavati con aromi, e di qui a
Sant’Adriano, dove riceveva un’ulteriore lavanda.
Tappa finale era la Basilica
Liberiana per la celebrazione della messa stazionale da parte del Pontefice.
Queste cerimonie, sentitissime
dal popolo romano, subirono nel corso del Medioevo, vari arricchimenti da un
lato, ma non mancarono gli abusi, soprattutto a motivo delle turbolenze che
scossero Roma segnatamente durante la permanenza della Santa Sede ad Avignone.
Così san Pio V pensò bene di abolire la processione.
Rimase solamente la solenne messa
in Santa Maria Maggiore, poi sanzionata da Sisto V nella sua costituzioni sulle
riorganizzazione delle stazioni.
La celebrazione della messa
spettava al Cardinale Arciprete.
Il Sommo Pontefice vi assisteva
al trono in manto bianco, contornato dal Sacro Collegio.
La predica fino al 1828 era
tenuta dal Procurato dell’Ordine di Santa Maria della Mercede, come stabilito
da Clemente XI nel 1718. Leone XII però trasferì questo onore ad un convittore
del Collegio dei Nobili (istituito dai Padri Gesuiti sotto il suo pontificato),
il quale teneva il sermone in berretta e cappa con fodera di seta cremisi.
Alla fine della messa, che non
prevedeva particolarità, il Pontefice e i Cardinali versavano rispettivamente
cinquanta e uno scudo d’oro alla Confraternita del Gonfalone per il riscatto
degli schiavi.
Questa Cappella Papale, per
volontà di Benedetto XIV, era seguita dalla benedizione del popolo dalla loggia
della Basilica, che era stata fatta costruire dal medesimo Pontefice nel 1741.
I diari dei cerimonieri ci tramandano
alcune date: Giulio II tenne Cappella Papale alla Liberiana il 15 agosto 1509;
così pure Paolo III nel 1538 e Gregorio XIII nel 1572 e nel 1573. Benedetto
XIII nel 1724 celebrò messa egli stesso nella Cappella Borghesiana. Clemente
XII, nel 1732, ordinò che vi si cantasse il Te Deum a motivo della presa di Orano in Algeria
operata da Filippo V di Spagna. Leone XII stabilì che la cerimonia dovesse
svolgersi nuovamente all’altare papale.
L’ultimo Pontefice a tenere la
Cappella Papale dell’Assunzione in Santa Maria Maggiore fu Pio IX nel 1869.
L’ingresso delle truppe italiane
in Roma il 20 settembre dell’anno seguente, segnarono la fine del secolare
rito, il cui svolgimento si spostò nella Cappella Palatina.
Riferimenti bibliografici: G. MORONI, Le cappelle pontificie, cardinalizie e prelatizie, Venezia, 1841; A. I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano. Vol. VIII. I Santi nel Mistero della Redenzione (Le Feste dei Santi dall’Ottava dei Principi degli Apostoli alla Dedicazione di S. Michele), Torino-Roma, 1932.
Immagine: Proclamazione del dogma dell’Assunzione in Piazza San Pietro il 1° novembre 1950
[fonte: caeremonialeromanum.com].
Fonte: Radiospada, 14.8.2021