Sante Messe in rito antico in Puglia

martedì 14 aprile 2015

“Rectum dogma, quod nos christiáni hómines cum pietáte servámus, hoc est: ut Deum unum existimémus Factórem atque Creatórem ómnium quæ vidéntur, quæque corpóreis óculis non cernúntur; et Dóminum Jesum Christum Dei Fílium confiteámur, olim a prophétis prænuntiátum, qui et humáni géneris Judex ventúrus est” (Lect. V- II Noct.) - SANCTI JUSTINI, MARTYRIS

Giustino il Filosofo, martirizzato verso il 165 d.C., è uno dei più antichi autori ecclesiastici, probabilmente sacerdote, e che passò dapprima attraverso diverse scuole filosofiche del suo tempo prima di giungere alla sublime saggezza della Croce. Oggi egli viene a deporre ai piedi del Salvatore la sua corona e la palma del suo martirio.
A dispetto di tanta celebrità, il culto di san Giustino, come in generale quello di tutti i martiri romani anteriori del III sec., era stato molto trascurato nella Città Eterna. Nessuno degli antichi Itinerari ha saputo indicarci la sua tomba; ed è solamente a titolo di congettura che si è creduto poterla riconoscere in un loculus del cimitero di Priscilla, la regina catacumbarum, dove, su alcune tegole piatte, si trova questa iscrizione al minium:

ΜΖΟΥCΤΙ ΝΟC

Fu Leone XIII che, nel 1882, impose il suo Ufficio alla Chiesa universale, fissandolo al 14 aprile sotto il rito doppio, a seguito della domanda di molti Padri del Concilio Vaticano I.
Il nostro Santo era stato iscritto da Floro di Lione al 13 aprile verso l’anno 850. Papa Pecci adottò questa data, spostandolo però di un giorno a causa della festa di sant’Ermenegildo, riducendo di fatto la festa dei santi Martiri Tiburzio, Valeriano e Massimo – già fissata al 14 aprile – ad una semplice memoria.
Una chiesa di San Giustino esisteva, sino al XV-XVI sec., vicino alla basilica vaticana, accanto alla schola (ospizio) longobarda istituita dalla regina Ansa, moglie dell’ultimo re, Desiderio, nel 770 circa. Ma si trattava probabilmente di un altro martire chiamato Giustino, la cui la tomba era venerata nell’Agro Verano (Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 769-770, 875; Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 279). In una cappelletta, ubicata fuori Porta Pia, a sinistra, dedicata alla Natività di Maria Santissima, si conserva sotto l’altare il corpo di un martire chiamato Giustino, ma si pensa che, verosimilmente, sia un omonimo del Santo venerato quest’oggi (Mariano Armellini, op. cit., p. 857).
Attualmente esiste una chiesa dedicata al martire nel quartiere Alessandrino, costruita nel 1953 e divenuta titolo cardinalizio nel 2003.
Secondo gli atti del processo del martire, stando a quanto il nostro Santo dichiara al giudice che lo interroga, egli risiedeva a Roma in una dimora di un tale Martino, presso le Terme Novatiane, dette anche Terme Timotine o Timotiane, che si possono collocare a via Urbana, Rione Monti. Si trattava di un complesso termale privato fatto edificare, sembra, da Novato e Timoteo, figli di Pudente, situate dove oggi vediamo la attuale Basilica di Santa Pudenziana; la valle che separava il colle Viminale dal colle dell'Esquilino, era percorsa un tempo dall'antico vicus Patricius, oggi via Urbana.
Qui, dunque, secondo la notizia degli Atti, dovrebbe collocarsi la residenza romana del nostro Santo, il luogo del suo insegnamento e probabilmente il luogo in cui compose le sue Apologie. Tuttavia, alcuni storici pensano che il testo degli Atti qui sia corrotto ed alcuni proporrebbero di leggere “bagni di Martino” o “bagni Tiburtini” (v. Andrea Lonardo, Basilica di S. Pudenziana in Roma: S. Giustino martire filosofo e gli apologeti del II secolo. I incontro del II anno del corso sulla storia della chiesa di Roma, 2009).
La messa è moderna e la reminiscenze storiche vi abbondano. Si tratta di un filosofo che, dopo aver vanamente cercato la verità nelle differenti scuole, stoiche, pitagoriche, platoniche, ecc., di cui ognuna si disputava il monopolio, la trovò finalmente nella follia di Cristo, che annuncia coraggiosamente, nelle sue Apologie, ai Cesari ed al Senato. Da qui l’antitesi tra la saggezza umana e le scienze divine che oggi, per il redattore della messa di san Giustino, è diventata il ritornello di tutta la sua ingegnosa costruzione liturgica. I testi sono certo ben scelti e ben combinati, ma manca nell’insieme un poco di quella spontaneità che rende così belle, così fluide, le antiche composizioni liturgiche dei Sacramentari romani.
La preghiera-colletta odierna rivela molto bene l’elevata finalità che si propose Leone XIII offrendo alla venerazione di tutta la Chiesa il filosofo Giustino. Questo Papa, per salvare la società da una folla di errori, mirava a restaurare la filosofia cristiana, riportando tutte le scuole cattoliche allo studio dell’Aquinate. Si comprende le ragioni che aveva l’anziano Pontefice di favorire il culto verso gli antichi dottori della Chiesa per i quali san Tommaso ebbe un sì religioso rispetto.
Contrariamente all’uso antico della liturgia romana, in virtù delle quale si riservava di preferenza alle messe domenicali ed alle feste dei martiri, durante il ciclo pasquale, la lettura dell’ultimo discorso di Gesù secondo san Giovanni, si legge oggi, invece, un passo di san Luca (Lc 12, 2-8). La ragione di questa scelta è che Giustino fu l’apologista della Chiesa delle Catacombe, vale a dire uno dei primi a far conoscere agli imperatori ed al grande pubblico romano ed asiatico quello che, sino ad allora, i capi della gerarchia ecclesiastica avevano, come in grande segreto, rivelato alle orecchie degli iniziati, nella penombra dei cubicula dei cimiteri sotterranei. Nella Chiesa, tutto è ordine e crescita. In origine, la fede era per i soli fedeli, ma nel II sec., la Chiesa è già matura per prendere anche l’offensiva contro i sapienti. Giustino, con le sue due apologie, apre, dunque, per il cristianesimo come un periodo nuovo, ed offre il Vangelo alla discussione del grande pubblico pagano, affinché il Sole di giustizia illumini oramai tutti gli uomini di buona volontà.
Nella sua prima Apologia, Giustino è il solo tra gli antichi autori ecclesiastici che, sollevando prudentemente il velo che nascondeva ai non iniziati il Sacramento eucaristico, ne spiega l’essenza, l’efficacia ed il rito ai pagani. L’autore della colletta sull’oblazione si è ispirato a questo fatto, e ha di mira le calunnie dei pagani che, forse perché avevano compreso male delle allusioni relative alla realtà del Corpo del Salvatore nella divina Eucarestia, imputavano come un crimine ai cristiani di nutrirsi nelle loro assemblee della carne di un bambino. Questa concezione del volgare pagano è preziosa, del resto, per la storia del dogma, poiché suppone la fede dei cristiani nella presenza reale del santissimo Corpo di Gesù nell’Eucaristia.
Dobbiamo avere un grande amore per la verità, poiché essa ci libera dall’errore e dalle passioni e ci conduce a Dio. Dobbiamo dunque ricercare questa verità religiosamente e non per vana curiosità; ricercarla fuori di noi ed in noi, poiché è assolutamente necessario che noi siamo «veri» innanzitutto. Laddove, nel libro di Giobbe, la Vulgata legge: Erat ille homo rectus, altre versioni portano questa: Erat ille homo verus. Come se non potesse esserci veramente un uomo se non possiede la pienezza della rettitudine che Dio desidera da noi.
Per concludere, ci sia permessa una chiosa finale. 
S. Giustino è tra i santi più incompresi e manipolati nell’epoca postconciliare, soprattutto in ragione dei c.d. semina Verbi, un’espressione abusata e fraintesa, avulsa dal contesto, che è stata utilizzata, in maniera assolutamente impropria, persino per giustificare le novazioni in tema di matrimonio e famiglia da parte del card. Schönborn (v. qui). Come ricorda P. Scalese, che certo non può essere tacciato di tradizionalismo, uno dei maggiori patrologi del XX secolo, Berthold Altaner (Patrologia, Marietti, 7ª ed., 1977), a proposito di Giustino, che parla dei “germi del Verbo” nelle sue Apologie, scrive: «Con la sua teoria del λόγος σπερματικός [logos spermatikos] Giustino getta un ponte tra la filosofia antica e il Cristianesimo. In Cristo apparve, in tutta la sua pienezza, il Logos divino, ma ogni uomo possiede nella sua ragione un germe (σπέρμα) del Logos. Questa partecipazione al Logos, e conseguente disposizione a conoscere la Verità, fu in alcuni particolarmente grande; così nei Profeti del giudaismo e, fra i greci, in Eraclito e Socrate. Molti elementi della verità sono passati, così egli opina, nei poeti e nei filosofi greci dell’antica letteratura giudaica, poiché Mosè era ritenuto lo scrittore assolutamente più antico. Di conseguenza i filosofi, in quanto vissero e insegnarono conformemente alle regole della ragione, furono dei Cristiani, in un certo senso, prima della venuta di Cristo. Tuttavia solo dopo questa venuta i Cristiani sono entrati in possesso della verità totale e sicura, priva di ogni errore. Il pensiero teologico di San Giustino è fortemente influenzato dalla filosofia stoica e platonica» (pp. 70-71). Quanto a Eusebio, che compose un’opera dal titolo Praeparatio evangelica, che, secondo i modernisti vedrebbe nel paganesimo una sorta di preparazione evangelica, P. Scalese rammenta che Altaner scrive: «La Praeparatio evangelica αγγελικ προπαρασκευή), in 15 libri, composta tra il 312 e il 322, vuole dimostrare ai catecumeni e ai pagani, forse scossi dagli attacchi di Porfirio, come i Cristiani abbiano avuto ragione nel preferire il Giudaismo al paganesimo. La “Filosofia degli Ebrei” è superiore alla cosmogonia e alla mitologia dei pagani. I sapienti pagani, soprattutto Platone, hanno attinto dall’A.T.» (ivi, p. 223).
Per cui, conclude P. Scalese che «i Santi Padri non rinvengono alcun “germe del Verbo” nella religione pagana, né considerano questa una “preparazione al Vangelo”. Tali immagini vengono da loro applicate non alla religione, ma alla cultura del tempo, in particolare alla filosofia e alla poesia, le quali, secondo loro, avrebbero attinto a Mosè. I primi cristiani non hanno mai fatto proprio alcun elemento della religione pagana, mentre non si sono fatti scrupolo di adottare le categorie dell’ellenismo addirittura per esprimere la loro fede. La preoccupazione dei cristiani dei primi secoli non era il dialogo interreligioso, ma l’inculturazione del Vangelo» (P. Giovanni Scalese, Semina Verbi, 2011).

Nicola Gliri, S. Giustino, XVII sec., Barletta

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