Sante Messe in rito antico in Puglia

lunedì 6 luglio 2015

Beato Stepinac, strada in salita per la canonizzazione

Ricevuto, rilancio volentieri quest’articolo di Guido Villa, pubblicato in versione ridotta su La Nuova Bussola Quotidiana, dal titolo Stepinac, chi non vuole la canonizzazione. Ringraziamo l’Autore per l’attenzione che ha voluto prestare al nostro blog mediante il suo contributo dedicato al beato Alojzije Stepinac, insigne sostenitore - come lo ha definito lo storico gesuita Giovanni Sale - dei diritti di Dio e dell'uomo (v. qui), tanto da meritare, pochi giorni dopo la morte, una solenne cappella papale di Requiem dal papa Giovanni XXIII, durante la quale il pontefice tenne una commovente omelia.


Beato Stepinac, 
strada in salita per la canonizzazione

di Guido Villa

Le speranze dei cattolici croati di vedere presto canonizzato il beato cardinale Alojzije Stepinac, arcivescovo di Zagabria, martire del comunismo titino, hanno subito una brusca battuta di arresto. Lo scorso 28 maggio, infatti, mentre la Presidente croata, Kolinda Grabar Kitarović, incontrava papa Francesco in Vaticano, e di concerto con i vescovi croati, invitava il Pontefice in Croazia affinché, tra l’altro, avesse luogo la canonizzazione di Stepinac, l’inviato speciale del Papa, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, s’incontrava a Belgrado con il Presidente della Serbia, l’ultra-nazionalista Tomislav Nikolić, proprio per parlare di Stepinac, come confermato anche dall’agenzia di stampa governativa Tanjug.
Papa Giovanni XXIII incensa
il tumulo del Cardinale Stepinac
Nikolić non ha usato mezzi termini, e ha affermato che la canonizzazione di Stepinac distruggerebbe tutto ciò che di buono è stato fatto finora per migliorare i rapporti tra la Croazia e la Serbia, e dopo avere sottolineato di provare «sincero rispetto per tutte le confessioni religiose presenti in Serbia», ha aggiunto: «Quindi, vi prego, dopo che avete contato i chicchi di grano in una mano, metteteli nell’altra mano e contateli di nuovo». Il messaggio è chiaro: il Vaticano non deve canonizzare Stepinac senza il consenso dei serbi – che, evidentemente, non ci sarà mai –, altrimenti le tensioni tra serbi e croati, e di conseguenza tra la Chiesa ortodossa e quella cattolica, potrebbero di nuovo acuirsi.
La posizione serba, peraltro già nota, è stata ben compresa in Vaticano, e infatti, secondo quanto riferito dalla Presidente croata, papa Francesco le avrebbe rivelato che, pur non essendoci dubbi sulla persona del cardinale Stepinac, «nel frattempo è stata istituita una commissione mista con la Chiesa ortodossa al fine di valutare ancora alcuni aspetti». Un’ulteriore conferma di questa frenata viene dall’incontro di Belgrado. Nel comunicato ufficiale si legge che il cardinale Koch «ha proposto la formazione di un gruppo di esperti della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa serba, la quale indagherà su tutte le circostanze storiche, e cercherà, attraverso il dialogo, di creare un’atmosfera di collaborazione e di comprensione». La Presidente croata ha lamentato che una tale iniziativa avrebbe dovuto essere presa molto prima, tuttavia appare evidente come la creazione di questa commissione rappresenti il segnale che la Santa Sede ha recepito i desiderata serbi. Il dialogo con gli ortodossi è troppo importante, e la canonizzazione del beato Alojzije Stepinac, almeno per il momento, non s’ha da fare.
Partic. dell'urna del Beato Stepinac,
Cattedrale di Zagabria.
Foto di Dennis Jarvis
In termini generali, è singolare che a un’istanza non cattolica venga concesso il diritto di veto – perché di questo si tratta – su un processo interno alla Chiesa cattolica che già viene condotto con criteri teologici e storici molto severi. Nel caso specifico, ciò che il popolo croato ha di più caro, vale a dire il suo cammino spirituale e la sua fede, dei quali la beatificazione e la canonizzazione dei suoi santi sono parte integrante, nonché quasi cinquant’anni di sofferenze di questo popolo ai tempi del comunismo, finiscono per essere consegnati alla mercé dei serbi, e per tragica ironia della sorte, proprio dalla Santa Sede, alla quale il popolo croato, su esempio del cardinal Stepinac, è indissolubilmente legato e fedele senza riserve.
Questa decisione non è stata presa per il desiderio di ricercare la verità storica, che è già conosciuta, bensì per guadagnare tempo, nella speranza, in verità piuttosto labile, che col tempo i malumori dei serbi si stemperino, e crea un pericoloso precedente per futuri processi di beatificazione e di canonizzazione presso la Chiesa croata.
C’è quindi da prevedere che tempi duri attendano altre cause di beatificazione e canonizzazione che si riferiscono all’ultimo secolo di storia del popolo croato, caratterizzato, fin dalla fondazione, nel 1918, del primo Stato unitario - più tardi chiamato Jugoslavia - da un forte conflitto tra croati e serbi, e soprattutto ai cinquant’anni di dittatura comunista. Ciò vale, ad esempio, per il processo di beatificazione della Serva di Dio Marica Stanković, suora laica condannata nel 1948 da un “Tribunale del popolo” per avere guidato, come si legge nell’atto d’accusa, un’«organizzazione ustascio-terroristica» - tale veniva giudicata l’Azione Cattolica dal regime comunista. Lo stesso destino potrebbe essere riservato alla causa relativa ai frati francescani martiri di Široki Brijeg e dell’Erzegovina, uccisi durante la Seconda Guerra Mondiale dai partigiani titini in quanto falsamente accusati di collaborazionismo con il regime ustascia e l’occupante tedesco.
In questo clima, non migliore sorte attenderebbe la causa di beatificazione, recentemente avviata, del cardinale Franjo Kuharić, arcivescovo di Zagabria dal 1970 al 1997, cui i serbi rimproverano l’appoggio dato all’azione militare “Tempesta” del 1995, e anche quella del primo arcivescovo di Vrhbosna (Sarajevo), Josip Stadler, morto nel 1918, che, in difesa della fede cattolica, entrò in conflitto con la Chiesa ortodossa serba. Le beate martiri della Drina, suore di varie nazionalità uccise dai serbo-cetnici nel 1944 nei pressi di Sarajevo, difficilmente riceverebbero il placet per la canonizzazione da una Commissione nella quale i serbi hanno diritto di veto, giacché questi considerano l’essere cattolico sinonimo di ‘ustascia’.
Come dimostrato dall’abbondante documentazione storica che lo riguarda, la figura del beato Stepinac è assolutamente limpida. Pur accogliendo favorevolmente l’indipendenza della Croazia proclamata nel 1941, egli conservò una lucida capacità di giudizio sul regime ustascia, avvertendo che la benedizione di Dio poteva scendere sul Paese e sul popolo croato solamente se si fosse osservata la Legge di Dio quale espressa nei Dieci Comandamenti. In diverse omelie egli condannò coraggiosamente le stragi di serbi, ebrei e rom attuate dalle milizie ustascia, denunciando la politica razziale del governo croato attuata su imitazione di quella della Germania nazista, scrisse numerose e vibrate lettere di protesta al Poglavnik (Duce), Ante Pavelić, per le violenze commesse nei confronti delle minoranze, giungendo, in una di queste, a definire il lager di Jasenovac, dove morirono decine di migliaia di persone di etnia serba, ebraica e rom, ma anche oppositori del regime e sacerdoti cattolici, una «macchia sul popolo croato».
Processo del Beato Stepinac nel 1946
Nell’azione del beato Stepinac non mancò l’aiuto fattivo ai perseguitati, a qualsiasi popolo essi appartenessero. Secondo documenti dell’intelligence britannica, già nel 1941 egli guidò una delegazione che incontrò Pavelić per protestare contro la deportazione di ebrei e serbi. Egli spesso intervenne presso le autorità dello Stato raccomandando richieste della comunità ebraica, chiedendo la scarcerazione di persone arrestate, e perfino di persone accusate di collaborare con i partigiani. In un promemoria inviato dal funzionario ebraico Weltmann al delegato apostolico in Turchia, mons. Angelo Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII, si legge: «Sappiamo che mons. Stepinac ha fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità per aiutare e attenuare lo sfortunato destino degli ebrei in Croazia … La preghiamo di comunicare a mons. Stepinac l’espressione del nostro profondo ringraziamento per l’aiuto che ha porto, e lo preghiamo di continuare un’azione così onorevole di salvare i nostri fratelli, sorelle e figli… ».
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in un clima di inaudita violenza contro la Chiesa cattolica, Stepinac fu arrestato dalle autorità comuniste una prima volta il 17 maggio 1945, e trattenuto in carcere fino al 3 giugno. Il giorno dopo la sua liberazione, egli fu convocato da Tito, il quale gli offrì la guida di una cosiddetta “Chiesa cattolica popolare”, separata da Roma, con la promessa di una posizione di onore nel nuovo Stato jugoslavo a guida comunista. Stepinac rifiutò, firmando in questo modo la sua condanna. Egli fu quindi di nuovo arrestato, sottoposto a un processo-farsa di stampo stalinista, e condannato a sedici anni di reclusione in regime di carcere duro. Dopo cinque anni di prigionia nel carcere di Lepoglava, sottoposto a continui maltrattamenti, umiliazioni e a diversi tentativi di avvelenamento, fu assegnato al confino nella parrocchia natia di Krašić, non lontano da Zagabria, dove fu tenuto prigioniero fino al 1960, quando morì per le conseguenze dell’avvelenamento subito in carcere.
Funerale del Beato Stepinac
Il beato Alojzije non si piegò mai dinanzi ai senzadio di ogni colore e ideologia, e nonostante gli allettamenti del mondo e la prova della persecuzione, rimase fedele a Cristo e alla Chiesa, ed è a lui che dobbiamo il fatto che oggi il popolo croato, nella sua maggioranza, sia ancora cattolico, e resista alle lusinghe delle nuove ideologie che mettono in pericolo la vita e la famiglia.
Se vogliamo, questo è forse l’unico motivo per il quale la figura del beato Alojzije possa essere considerata “controversa”. Soprattutto in questi tempi, in cui non pochi pastori cercano l’applauso facile del mondo e non passano attraverso la “porta stretta” che conduce in Cielo, egli non è una figura che porta la falsa pace voluta dal mondo, bensì la spada della divisione quale naturale conseguenza dell’impegno per la verità e l’amore, per Dio e la sua Legge.
È auspicabile che non si esiti a proporre questo santo alla venerazione della Chiesa universale, anche a costo di entrare in conflitto con il mondo e la sua falsa pace, giacché il suo esempio e la sua intercessione ci saranno d’aiuto in questi tempi estremamente difficili. 

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