Sante Messe in rito antico in Puglia

martedì 26 agosto 2014

La preghiera continua e la preghiera di Gesù

In questo periodo estivo, dopo aver proposto nel luglio scorso un invito a non trascurare la preghiera, propongo oggi alla lettura un’interessante testo, attinto dalla spiritualità cristiana orientale. È un brano tratto da un libro di Matta El Meskin o Matta il Povero (1919-2006), un monaco egiziano copto, igumeno (abate) del monastero di San Macario il Grande, nel deserto di Scete dal 1969 sino alla morte. Egli è considerato tuttora un apprezzato autore spirituale, soprattutto per i suoi consigli onde pregare in modo efficace, con fervore e sempre, almeno interiormente, senza distogliere mai - nelle occupazioni quotidiane di ciascuno - la propria attenzione da Dio; consigli che attingono dalla tradizione spirituale dei Padri del deserto. Del resto Origene raccomandava: «Prega sempre colui che unisce la preghiera alle opere che deve fare, e le opere alla preghiera. Soltanto così possiamo considerare realizzabile il precetto di pregare incessantemente» (De oratione, 12).

Orante, III sec. d.C., cubicolo della Velatio, Catacombe di Priscilla, Roma

La preghiera continua e la preghiera di Gesù

di Matta El Meskin

La vita nel suo senso più profondo, si riassume in due atti costanti di un’estrema semplicità: il primo è l’amore la cui sorgente è Dio, il secondo è l’adorazione, che è il proprium della creazione: “Dio è amore” (1 Gv 4,16); “Io non sono che pre­ghiera” (Sal 109,4). Questi due atti sono ininterrottamente co­stanti; così, Dio non cessa di amare la creazione e la creazione non cessa d’adorare Dio: “Vi dico, che se questi taceranno, gri­deranno le pietre” (Lc 19,40). Tutti gli atti e le molteplici occupazioni della vita passeranno e scompariranno dopo averci valso condanna o ricompensa e re­steranno soltanto questi due straordinari atti: l’amore di Dio per noi e la nostra adorazione di Dio. Non passeranno mai e rimar­ranno eternamente, perché Dio è felice d’amarci: “Ho posto le mie delizie tra i figli dell’uomo” (Pr 8,31) e noi troviamo tutta la nostra felicità nell’adorazione di Dio. Quest’adorazione è un’intuizione divina depositata da Dio al cuore della natura dell’uomo, affinché egli abbia la gioia d’adorare la sorgente della vera felicità. L’abbiamo toccato con mano, sperimentato e verificato tante e tante volte; abbiamo acquisito la certezza che la preghiera e l’adorazione sono fonti di felicità permanente. C’è dunque un mezzo per condurre una vita d’ado­razione e di preghiera ininterrotta, per mettere Dio al centro del nostro pensiero, per fare in modo che tutti i nostri atti e i nostri comportamenti gravitino intorno a lui, per vivere alla sua pre­senza dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina? In realtà, quest’opera non è una cosa da poco; esige da parte nostra grande determinazione, perseveranza e molta attenzione. Non dimentichiamo però che, così facendo, realizziamo il verti­ce della volontà e del piano divini e che, di conseguenza, vi tro­veremo immancabilmente l’aiuto, l’amore e la guida di Dio. Riassumiamo come segue la sostanza di quest’esercizio. 1. Gli obbiettivi della preghiera continua: - Vivere sempre alla presenza di Dio. - Associare Dio a tutte le nostre attività, a tutti i nostri pen­sieri e conoscere la sua volontà. - Accedere a una vita di gioia, avvicinandoci alla fonte stessa della felicità: Dio, e gioire del suo amore. - Acquisire un’alta conoscenza di Dio nel suo stesso essere. - Praticare un felice distacco dalle cose di questo mondo, sen­za rimpiangere nulla.
2. Qualche indicazione sulla preghiera continua: - Ravvivare il sentimento di essere alla presenza di Dio che vede tutto ciò che facciamo e sente tutto ciò che diciamo. - Tentare di parlargli di tanto in tanto, con brevi frasi che tra­ducano il nostro stato del momento. - Associare Dio ai nostri lavori domandandogli di essere pre­sente alle nostre attività, rendendone a lui conto dopo averle con­cluse, ringraziandolo in caso di riuscita, dicendogli il nostro rammarico in caso di fallimento, cercandone le ragioni: ci siamo forse allontanati da lui o abbiamo omesso di chiedere il suo aiuto? - Cercare di percepire la voce di Dio attraverso i nostri lavori. Molto spesso egli ci parla interiormente ma non essendo attenti a lui, perdiamo l’essenziale dei suoi orientamenti. - Nei momenti critici, quando riceviamo notizie allarmanti o quando siamo assillati, chiediamogli subito consiglio; nella pro­va egli è l’amico più sicuro. - Non appena il cuore comincia a irritarsi e i sentimenti ad agitarsi, volgiamoci a lui per calmare la nefasta agitazione prima che invada il nostro cuore; invidia, collera, giudizio, vendetta, tutto ciò ci farà perdere la grazia di vivere alla sua presenza, per­ché Dio non può coabitare con il male. - Tentare per quanto possibile di non dimenticarlo, tornando subito a lui, non appena i nostri pensieri sono colti in flagrante reato di vagabondaggio. - Non intraprendere un lavoro o dare una risposta prima di aver ricevuto una sollecitazione da Dio. Questa diventa sempre meglio discernibile a misura della fedeltà del nostro cammino alla sua presenza e della nostra determinazione a vivere con lui.
3. Principi base per una vita di preghiera continua: - Credi in Dio? Allora che Dio sia la base di tutti i tuoi comportamenti; con lui accogli tutto ciò che incontri nella vi­ta, felicità o tristezza. Che la tua fede non cambi ogni giorno a seconda delle circostanze. Non lasciare che sia il successo ad aumentare la tua fede, né il fallimento, la perdita e la malattia a indebolirla o ad annientarla. - Hai accettato di vivere con Dio? Allora, una volta per tutte, metti in lui tutta la tua fiducia e non cercare di indietreggiare o di battere in ritirata. Sii fedele a lui fino alla morte. - Affidagli tutti i tuoi affari materiali e spirituali; egli è vera­mente in grado di reggerli tutti. Sappi che la vita con Dio sopporta tutto: malattia, fame, umiliazione… e non essere sorpreso se ti accadono queste cose; sii paziente e le vedrai trasformarsi e schierarsi dalla tua parte per il tuo maggior bene. - Concentra il tuo amore su Dio e non permettere agli ostaco­li di ridurlo; al contrario, accogli ogni sofferenza senza amarezza ma con dolcezza, a motivo di questo amore, perché il vero amore trasforma la sofferenza in felicità. - Beati coloro che sono stati ritenuti degni di soffrire per il suo Nome. Ancora più beati coloro che desiderano sacrificarsi per amore del suo Nome. Breve storia della preghiera continua La preghiera continua è una disciplina spirituale particolare che impegna le facoltà interiori dell’anima e tocca centri precisi del cervello con lo scopo d’acquisire la calma interiore neces­saria a pervenire a uno stato di veglia spirituale costante e di percezione permanente della presenza divina, accompagnata da un completo dominio dei pensieri e delle passioni. Costituisce l’opera spirituale più importante e più elevata che, condotta con successo, può farci raggiungere le vette della vita spirituale. Questa forma di preghiera è già menzionata negli insegna­menti dei primi padri del deserto d’Egitto: Macario il Grande parla della recitazione costante del “dolce Nome di Gesù” e abba Isacco, discepolo di Antonio, fa un lungo elogio della ripetizione continua del versetto di un salmo. Entrambi hanno vissuto verso la fine del IV secolo e gli insegnamenti del secondo sono stati raccolti da Cassiano durante i suoi viaggi in Egitto. Attraverso le parole di abba Isacco apprendiamo che questo metodo di preghiera, costitutivo di una delle tradizioni asce­tiche più importanti tra quelle che i padri avevano ricevuto dai loro predecessori, “è un segreto che ci è stato rivelato da quei pochi padri appartenenti al buon tempo antico, ma che vivono tutt’ora; noi lo riveliamo a nostra volta a quel piccolo numero di anime che dimostrano una vera sete di conoscerlo”. Quanto agli effetti di questa pratica sulle facoltà dell’anima e della mente, essi erano noti ai padri fin dall’inizio, come si deduce dalle parole di Isacco: “[Questa preghiera] esprime tutti i sentimenti di cui è capace la natura umana; conviene perfetta­mente a tutti gli stati e a ogni sorta di tentazione… Che l’anima (mens) ritenga incessantemente questa formula, cosicché, a for­za di ripeterla, acquisti la capacità di rifiutare e allontanare da sé tutte le ricchezze rappresentate dai nostri molteplici pensieri”. Fin da allora, cioè dal IV secolo, la preghiera continua si è dif­fusa in Egitto e in tutto l’oriente cristiano fino a occupare un posto preponderante nella dottrina ascetica di tutte le chiese orientali. La ritroviamo, tra gli altri, negli insegnamenti di Nilo il Sinaita (+ 430), poi in quelli di Giovanni Climaco all’inizio del VII secolo (570-640), e di Esichio di Batos (Sinai, VII o VIII secolo). L’importanza accordata all’hesychìa (tranquillità) si am­plifica progressivamente fino a raggiungere uno dei suoi vertici negli insegnamenti di Isacco ll Siro, vescovo di Ninive, verso la fine del VII secolo. Gli elementi frammentari di questi insegnamenti furono rac­colti in una dottrina sistematica solo con l’arrivo di Simeone il Nuovo Teologo (1022) e poi di Gregorio il Sinaita, che li orga­nizzarono in una dottrina mistica di tipo specificamente bizan­tino. Gregorio il Sinaita, seguito dal discepolo Callisto che di­verrà patriarca di Costantinopoli, la introdusse al Monte Athos alla fine del XIII secolo e fece della preghiera continua una prati­ca mistica fondamentale nella tradizione bizantina, dopo aver raccolto la quasi totalità delle parole dei padri riferite a questo argomento, ordinandole, spiegandole e commentandole. Con il soggiorno di Nil Sorskij al Monte Athos, nella seconda metà del XV secolo, si aprì una porta molto ampia per l’impian­tazione in Russia della preghiera continua. Tutta l’eredità orien­tale antica, con le sue ricchezze, si trovò trasferita ai padri russi che rivaleggeranno in ardore per applicarla con amore, fedeltà e devozione. Ormai, questa pratica occuperà un posto molto im­portante nella vita delle generazioni successive, come ci si può rendere conto leggendo i Racconti di un pellegrino russo. Ma, lasciando il deserto d’Egitto, suo luogo d’origine, la pre­ghiera continua perse buona parte della sua semplicità originaria; chi la praticava nei primi secoli, viveva spontaneamente in profondità i suoi effetti spirituali senza esaminarne il come; ne raccoglieva i frutti senza che ciò suscitasse in lui ambizioni spirituali. Questa forma di preghiera è dunque passata da un’umile pra­tica ascetica a una sistematizzazione mistica elaborata, provvista di discipline proprie, proprie condizioni, gradi e risultati. L’o­rante può prendere coscienza di tutto ciò ancor prima di cominciare a praticarla. Il che, naturalmente, non ha mancato di attri­buire al metodo una buona parte di complessità, accresciuta da una dannosa mancanza di naturalezza. Nondimeno, la preghiera continua ha sempre i suoi adepti e i suoi praticanti esperti e, su coloro che l’amano, non cessa di versare in abbondanza i suoi effetti benefici, le sue grazie e le sue benedizioni. L’autore stes­so confessa i benefici di questa preghiera per quanto lo riguarda personalmente.

(tratto da Matta El Meskin, L’esperienza di Dio nella preghiera, ed. Qiqajon, Magnano, 1999, pp. 257-262)


Pietro Canonica, Le Comunicande, 1920 circa, Villa Borghese, Roma

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