L'ospitalità di Abramo  (SS. Trinità) - Opera di Enrico Benedetti
L’ospitalità di Abramo (SS. Trinità) – Opera di Enrico Benedetti

 

di Enrico Benedetti

 

DAL LIBRO DELLA GENESI (18, 1-8)

Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora piu calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: “Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo”. Quelli dissero: “Fa’ pure come hai detto”.

Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: “Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce”. All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. [ … ]

L’icona della SS. Trinità (Fig. 1) è il capolavoro dell’iconografo Andrej Rublëv (1360- 1430), il quale visse santamente come monaco e figlio spirituale di San Sergio Radonez; nel 1551 il Concilio dei Cento Capitoli la definì “l’icona delle icone”. È un capolavoro di rara profondità teologica, di bellezza incomparabile e di finissima ricchezza di simboli. Rublëv la scrisse nel 1422 per la canonizzazione di Sergio di Radonez, fondatore del monastero dedicato alla SS. Trinità, dove Rublëv viveva.

Nessuno ha mai visto Dio e il concetto di Trinità, mistero del Dio Uno e Trino, è di difficile se non impossibile comprensione e rappresentazione alla mente umana. San Sergio vedeva l’amore eterno e perfetto emanante dalla SS. Trinità incarnata nella forma canonica dell’apparizione dei tre angeli a Mamre (Gen 18) e cercò di trasmettere in chi a lui si rivolgeva l’idea di distinzione e nel medesimo tempo di unità delle Persone divine che il mistero promanava. Egli riunì così tutta la Russia della sua epoca attorno alla sua chiesa, attorno al nome di Dio, affinché gli uomini mediante la contemplazione della Santa Trinità vincessero l’odiosa divisione del mondo e imparassero a vivere sulla terra.
Il destino dell’uomo s’impara in questa contemplazione, proprio come aveva pregato Gesù: “[…] perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.” (Gv 17, 21). E ancora: “Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.”(Gv 17, 24)
Rublëv seppe rappresentare in questa icona la sintesi del più grande mistero della nostra fede, rivelandoci l’unità e al tempo stesso la distinzione delle Persone divine: tre angeli sono ospiti di Abramo, il padre del popolo di Dio, padre della fede! Essi sono gli angeli-pellegrini, cui Abramo imbandì la mensa: le focacce impastate da Sara, il vitello preparato dal servo, il latte acido e il latte fresco serviti da lui personalmente. Abramo parlava con i tre ospiti come si parla con uno solo (“Mio Signore …”). Erano tre, ma Abramo li vedeva così uniti come ne vedesse uno. Essi stessi, pur essendo tre, parlavano come uno solo. E parlavano trattando Abramo da amico che deve conoscere i lore segreti.
I tre angeli seduti sotto la Quercia di Mamre ci donano perciò i messaggi necessari perche noi possiamo “vedere” o “intravvedere” le tre divine Persone, il loro amore reciproco, la loro vita, la loro unità: gli Angeli non sono Dio, ma ci parlano di Lui, ne riflettono la luce, ne riportano i voleri, ne fanno gustare l’amore essendo anch’essi “impastati” d’amore divino.
Vediamo ora la ricca simbologia di questa icona:
 Rublëv tratteggia i lineamenti dei volti dei tre angeli con caratteristiche giovanili, che esprimono, meglio che non i lineamenti della vecchiaia, l’eternità di Dio. La giovinezza di Dio è la perenne giovinezza dell’Amore; Egli è sempre nuovo, come l’amore vero.
 Questi angeli hanno volto d’uomo o di donna? La vita di Dio è completa, non ha bisogno di complementarietà come quella dell’uomo. La vita di Dio è amore pieno, perfetto, amore forte e dolce, amore tenero e tenace. In Lui non compare la differenza che dev’esserci nell’uomo maschio e femmina. È Dio che dà la vita all’uno e all’altra. Dio può essere padre e madre insieme.
 I tre angeli non hanno deposto il bastone da pellegrini. Lo tengono nella loro mano sinistra, pronti ad alzarsi per continuare il viaggio. Dio è sempre… di passaggio. Devi dargli attenzione e ospitalità quando passa, non devi lasciarti sfuggire le occasioni del passaggio di Dio!
 Questi bastoni portano degli ornamenti all’estremità, sono scettri regali: Dio è Re, ma un Re che non esercita la sua regalità come un dominatore. Gli scettri restano bastoni da pellegrino, strumento utile per il viaggio sulla terra in mezzo agli uomini; sono colorati di rosso, colore della sapienza che ama, dell’amore che sa pazientare; non vantano l’oro come gli scettri umani, simbolo di potere spesso violento, oppressivo.
 Tutt’e tre gli angeli portano una doppia veste: tunica e mantello. La tunica aderisce al corpo, ne manifesta la natura, la persona; il mantello rappresenta e manifesta il ruolo, il compito, la missione. In ogni angelo una delle due vesti è di colore blu, il colore del cielo, della Divinità. Questa veste dice che uno è Dio, l’altro pure è Dio e il terzo è ancora Dio: tre persone che manifestano l’unico Dio, la Comunione delle “Persone“ divine, che ci ama con tre cuori distinti.

Figura 2
Figura 2

Rublëv ha “scritto” nell’icona delle figure geometriche: un cerchio, un triangolo, alcune forme quadrangolari (Fig. 2):

  • Il cerchio, che rappresenta l’eternità e la perfezione di Dio, si impone come motivo dominante di tutta la composizione. Nel cerchio stanno perfettamente le tre figure angeliche che stanno ad indicare l’amore perfetto, senza inizio e senza fine, il cui reciproco amarsi non forma però un cerchio chiuso: il loro amarsi è aperto a quell’altare cui è consegnata la coppa. È verso quella coppa, che contiene la vittima sacrificale e che è posata sulla tavola rettangolare, simbolo dell’umanità da redimere e da salvare, che sono diretti gli sguardi e orientate le mani degli angeli
  • Il triangolo, la cui base è il lato superiore dell’altare e il cui vertice è posto nel capo dell’angelo centrale, è la figura semplice che mi dice tre in uno, uno in tre: Dio è uno, ma mi incontra in tre modi distinti, mi ama in tre maniere diverse, con tre cuori uniti in un solo movimento d’amore. Cerchio e triangolo non sono evidenti, proprio come Dio, che è presente eppure non lo vediamo;
  • Le forme quadrangolari sono invece ben definite – le pedane, il tavolo, gli sgabelli – visibili come il creato e la terra che esse rappresentano nella loro pluralità di realtà distinte. La terra, infatti, era ritenuta un grande tavolo quadrato, segnata dai quattro punti cardinali, percorsa dai quattro grandi venti, racchiusa dai quattro angoli.

A questo ritmo di composizione si uniscono colori di un’arrnonia incomparabile. Essi sono usati eloquentemente per esprimere dei simboli:

  • il rosa-oro richiama il manto imperiale,
  • il verde indica la vita,
  • il rosso l’amore sacrificato,
  • speciale significato ha il blu che indica la Divinità e le verità eterne. Esso, come già accennato, è distribuito a tutti e tre gli angeli:
  • all’angelo di sinistra, nel quale riconosciamo il Padre, che porta la tunica di colore blu quasi totalmente coperta dal manto imperiale a significare l’invisibilità-ineffabilità di Dio-Padre, che nessuno ha mai visto;
  • all’angelo centrale, nel quale riconosciamo Dio Figlio, che porta con molta evidenza il manto blu (Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito,
    […] lui lo ha rivelato
    – Gv 1,18).Quindi Dio solo nel Figlio si fa visibile (“Chi vede Me, vede colui che mi ha mandato.”- Gv 12,45)- Figlio che è anche uomo (tunica rosso-sangue del sacrificio) il quale ha ricevuto ogni potere dal Padre, potere rappresentato dalla stola dorata (o clavo), simbolo del suo sacerdozio regale;
  • all’angelo di destra, nel quale riconosciamo Dio Spirito Santo che mostra la tunica blu in abbondanza, perché il suo ruolo è di far comprendere e ricordare la Parola – “Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”(Gv 14,26) – mentre il manto verde indica che è Colui che “dà la vita”e “rinnova la faccia della terra.” (Sal 104,30)

        II Padre siede con solennità sul suo trono. Il suo sguardo, il gesto della sua mana destra sembrano esprimere un comando breve e chiaro con semplicità, ma con autorità: tutto procede da Lui. Egli chiama il Figlio indicandogli con mano benedicente la coppa al centro (contenente il vitello del sacrificio ).

        Il Figlio comprende la Volontà del Padre – farsi cibo e bevanda degli uomini – e l’accetta, china il capo verso la Sua Persona, mentre la sua mana destra, posata sulla mensa, indica e benedice la coppa del suo sacrificio, ripetendo il gesto del Padre con due dita, a rappresentare la sua duplice natura, umana e divina: Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato…” (Gv 4,34).

        Lo Spirito Santo accoglie la Volontà del Padre per il Figlio (mano posata delicatamente sulla mensa e posizione del corpo concava, in gesto di accoglienza), e anche Lui, con il suo reclinare del capo riporta la nostra attenzione al Figlio e al Padre: vuole metterci obbedienti davanti a Gesù (“nessuno può dire «Gesù è Signore» se non per opera dello Spirito Santo” – 1Cor 12,3)e abbandonati e fiduciosi davanti al Padre che “ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!” (Gal 4,6).

        Fuori dal cerchio definito dagli angeli vediamo: la montagna (luogo del silenzio e delle manifestazioni di Dio), l’albero (quercia di Mamre, l’albero della Croce, nuovo albero della vita), la casa, meglio, il tempio (il Padre accoglie ed ama tramite la Chiesa, che per essere edificata richiede il lavoro dell’uomo, la collaborazione e l’armonia di più uomini).

        I margini definiti dal tempio, dalle rocce, dalle pedane e dai bordi destro e sinistro dell’icona accennano ad un ottagono: la creazione si riposa nella calma e pienezza dell’ottavo giorno, il giorno del Signore.

C’e posto anche per me, per ciascuno di noi, in questo circolo d’amore delle tre Persone. Davanti c’è lo spazio perché ciascuno possa partecipare al colloquio intimo, segreto e impegnativo delle tre Persone: questo spazio ha la forma precisa di un calice, ripetuto dalle ginocchia dei due angeli laterali che delimitano il piano della mensa e ripreso ulteriormente dalle figure intere dei due angeli stessi. Il continuo ripresentarsi della forma del calice indica che quello è il mio posto, il posto di ogni uomo, di ogni donna. Questo calice rappresenta Gesù che si consacra, che si offre in sacrificio per i suoi; a Lui ci possiamo unire. Ecco il posto che ci permette di intervenire nel dialogo d’amore dei tre angeli, eventualmente passando attraverso la finestrella dell’altare, lo spazio dei martiri, lo spazio di chi offre la vita.

Ognuno di noi può dire:

Eccomi, vengo!

Gesu, Figlio di Dio, abbi pietà di me.

Spirito Santo, purificami e vivificami.