Sante Messe in rito antico in Puglia

domenica 5 luglio 2015

“In sacram Eucharístiam singulári caritáte ferebátur; cujus et frequénter percipiéndæ consuetúdinem instaurávit, et morem e sublími throno públice in tríduum adorándæ invexísse perhibétur. Pudicítiam ádeo cóluit, ut étiam in exsángui córpore, revivíscere visus, ejus amórem testarétur. Accéssere cæléstia dona éxtasis, lacrimárum, futurórum evéntuum cognitiónis, scrutatiónis córdium, virtútis in humáni géneris hostem” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI ANTONII MARIÆ ZACCARIA, CONFESSORIS

Oggi, il Martirologio romano festeggia la martire Zoe, arrestata dai pagani, perché nel natalis degli Apostoli, ella si era recata al Vaticano per pregare. Il suo corpo fu deposto da Pasquale I nella basilica di Santa Prassede.
Sembra che, attorno alla solennità degli Apostoli, la liturgia vi abbia raggruppato le feste più legate a questa. Difatti, essa celebra oggi un altro grande devoto ed emulo dell’apostolo Paolo: sant’Antonio Maria Zaccaria, canonizzato da Leone XIII il 27 maggio 1897, che estese il suo ufficio a tutta la Chiesa con rito doppio.
Questo celebre predicatore lombardo fa parte del gruppo dei santi mandati da Dio nel XVI sec. per effettuare in Italia quella riforma ecclesiastica, che era stata troppo desiderata da molto tempo, ma che non potevano ottenere i soli canoni del Concilio di Trento. Occorrevano degli uomini che li applicassero eroicamente, e per far ciò occorrevano dei santi.
Antonio morì a trentasei anni, il 5 luglio 1539, ma nel rapido corso della sua vita elevò un edificio spirituale che sfida i secoli. La Congregazione religiosa fondata da lui sotto il patronato dell’apostolo dei Gentili ha il merito di aver aiutato efficacemente san Carlo Borromeo nella sua opera riformatrice ed oggi ancora essa porta dei frutti abbondanti e magnifici.
Roma cristiana ha dedicato al nostro Santo una chiesa nel rione Trastevere, costruita nel 1933.
Tutta la messa – che rivela subito lo stile di un redattore moderno – tende a presentarci sant’Antonio Maria Zaccaria come un discepolo zelante ed un imitatore dell’apostolo san Paolo.
Il redattore, avendo voluto inserire una sintesi della vita del Santo nella colletta, questa risulta satura di pensieri ed il cursus le fa difetto. Il segreto di tutta la sorprendente attività del Santo ci è manifestato da queste parole: alla scuola di Paolo, aveva imparato a conoscere Gesù. Tutta la saggezza soprannaturale è lì, perché Gesù è difatti Dei virtus e Dei sapientia.
La lettura evangelica (Mc 10, 15-21), che vuole fare allusione alla gioventù del santo Fondatore della Congregazione di San Paolo apostolo, riporta la chiamata allo stato religioso del giovane che aveva consultato Gesù sul modo di salvare la sua anima. Non si saprebbe come insistere su questa pagina dei Vangeli, che, dall’età apostolica, ha riempito il mondo di monasteri e di case religiose. Ai secolari, sebbene pratichino la virtù, manca sempre qualche cosa: Unum tibi deest, cioè la sicurezza di poter perseverare al riparo dal peccato, esposti come si è a mille pericoli ed occasioni, con l’uso indipendente della propria volontà. Coloro, dunque, a cui Dio ha donato la grazia di comprendere i vantaggi della vita religiosa – Jesus intuitus eum dilexit eum – sono i suoi preferiti, perché hanno in mano i mezzi più efficaci per salvare se stessi e gli altri.
Bisogna meditare queste parole di san Gregorio Magno, inviate all’imperatore Maurizio, che voleva impedire, con un editto, ai soldati ed ai decurioni di farsi monaci: « Multi enim sunt qui possunt religiosam vitam etiam cum sæculari habitu ducere. Et plerique sunt, qui nisi omnia reliquerint, salvari apud Deum nullatenus possunt» (San Gregorio MagnoAd Mauricium Augustum, in Epistolarum, lib. III, Epist. LXV, in PL 77, col. 663B). Per comprendere ciò va ricordato che i decurioni, per sfuggire alle responsabilità pubbliche – assai onerose – tentassero di abbandonare le curie cittadine. Uno dei modi per far ciò era entrare nella vita religiosa. Di fronte alle sempre più frequenti vocazioni religiose dei decurioni, nel 592 l’imperatore Maurizio si vide costretto ad emanare una legge, in forza della quale chi fosse coinvolto in publicis administrationibus non era permesso intraprendere la vita ecclesiastica. Nell’agosto del 593, papa Gregorio gli manifestò il suo apprezzamento per tale provvedimento, ma disapprovò il fatto che avesse proibito pure l’entrata in monastero, visto che precedenti disposizioni di legge avevano già stabilito che le congregazioni dovessero presentare i rendiconti dei decurioni accolti al loro interno e, se necessario, pagarne i debiti (cfr. Roberta RizzoPapa Gregorio Magno e la nobiltà in Sicilia, Officina di Studi Medievali, Palermo, 2008, p. 122. Su questa fuga di decurioni, cfr. L. De SalvoI munera curialia nel IV secolo. Considerazioni su alcuni aspetti sociali, in Atti del X Convegno Internazionale dell’Accademia romanistica costantiniana (in onore di Arnaldo Biscardi; Spello-Perugia-Gubbio, 7-10 ottobre 1991), ESI, Napoli, 1995, pp. 291 ss., partic. pp. 301 ss.). Anzi, una legge di Valentiniano III aveva statuito che i curiales, che avessero voluto abbracciare lo status di religioso, per dimostrare la sincerità della loro vocazione, erano tenuti a cedere tutti i loro beni alla congregazione in cui entravano (così ricorda Roberta Rizzoop. cit., pp. 122-123, nt. 22). Nel novembre 597, il papa trasmise il testo di legge dell’imperatore Maurizio ai vescovi delle diocesi sicule ed ai metropoliti delle città più importanti dell’impero, stabilendo che quanti sono sottoposti agli obblighi del servizio militare o dell’erario (militiæ vel rationibus publicis) non potessero accedere alla vita ecclesiastica né entrare in monastero: forte era, in effetti, la preoccupazione del pontefice – a differenza di quelle politiche dell’imperatore – che le conversioni e le vocazioni non fossero genuine, in quanto motivate dalla volontà di eludere i doveri nei confronti dello Stato (San Gregorio MagnoAd Plurimos Metropolitas et Episcopos, in Epistolarum, cit., lib. VIII, Epist. V, in PL 77, col. 909B-910B). Per questo, prima di entrare in monastero, dovevano esseri liberati a rationibus publicis (così ricorda Roberta Rizzoop. cit., p. 123). Come rammenta la Rizzo (Roberta Rizzoop. cit., p. 123, nt. 24), già all’indomani della promulgazione della legge dell’imperatore Maurizio, san Gregorio, nel luglio 592, aveva raccomandato al vescovo di Squillace di non ordinare nessun sacerdote che fosse curiæ obnoxius (San Gregorio MagnoAd Joannem Episcopum Squillacinum, in Epistolarum, cit., lib. II, Epist. XXXVII, in PL 77, col. 575A-576A). Nel maggio del 594 aveva chiesto al vescovo Gennaro di Cagliari di indagare quanti volevano entrare negli Ordini sacri per scoprire se vi fosse qualcuno curiæ obnoxius (Id.Ad Januarium Episcopum, in Epistolarum, cit., lib. IV, Epist. XXVIivi, col. 694B-696B).
L’antifona per l’offertorio è tratta dal Sal. 138 (137) e fa allusione alla visione dei santi Angeli di cui fu favorito sant’Antonio Maria Zaccaria durante la celebrazione della sua prima messa.
Perché il Salmista parla qui dei riguardi dovuti agli angeli nel momento stesso in cui adoriamo Dio, loro Signore? I santi Padri rispondono: perché gli angeli sono stabiliti da Dio ministri della sua giustizia e della sua misericordia nel governo del mondo. Non saprebbero tollerare nessuna offesa alla divina Maestà, né nessuna agitazione nell’ordine stabilito da Lui. Essi non saprebbero tollerare alcun’offesa alla divina Maestà, né alcuno scuotimento nell’ordine da lui stabilito. È per questa ragione che l’Apostolo vuole che nelle chiese le donne, in segno di soggezione all’uomo, portino un velo sulla testa propter Angelos, cioè per non offendere con un disordine le angeli preposti all’osservanza delle regole stabilite.
Per celebrare correttamente i divini misteri, bisogna salire al santo Altare con quegli stessi sentimenti di adorazione e di amore che aveva Gesù quando li istituì il giovedì santo nel cenacolo e li rinnovò di un modo cruento l’indomani sulla Croce. Hoc enim sentite in vobis quod et in Christo Jesu; «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che aveva Gesù Cristo» (Fil. 2, 5).
Nella colletta di azione di grazie si fa allusione all’opera del santo Zaccaria nell’istituzione e nella diffusione della pia devozione delle Quarantore. L’adorazione del Santissimo Sacramento per quaranta ore consecutive fu inaugurata a Milano nel 1547 su iniziativa di una confraternita, ma trovò in sant’Antonio M. Zaccaria il suo propagatore più zelante. Pietro e Paolo sono due figure trascendenti, che riempiono per tutti i secoli la storia della Chiesa. Tutto il potere gerarchico, che regge fino agli estremi confini del mondo la famiglia cristiana, emana da Pietro come da una sorgente; la più maggior parte della rivelazione dogmatica del Nuovo Testamento viene da Paolo, da cui pure dipendono, come il Dottore delle Genti, tutti i Padri ed i Predicatori. Così, mentre Pietro governa e regge il gregge di Cristo, Paolo insegna, e qual scuola è quella di Paolo! Quali uomini apostolici non ha formato? Uomini che rispondono ai grandi nomi di Timoteo, Tito, Ignazio, Policarpo, Giovanni Crisostomo, e, dopo una lunga serie mai interrotta di apostoli e di giganti del cristianesimo, sant’Antonio Maria Zaccaria e san Paolo della Croce.









Giovanni Gualassini, S. Antonio Maria Zaccaria, XX sec., museo diocesano, Modena-Nonantola

E. Pierini, S. Antonio M. Zaccaria, 1898, museo diocesano, Perugia-Città della Pieve



Mattia Traverso, S. Antonio M. Zaccaria, XX sec., Parrocchia S. Sebastiano, Livorno




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