Sante Messe in rito antico in Puglia

domenica 6 luglio 2014

IN OCTAVA SS. PETRI ET PAULI - "Domine, ad quem ibimus? Verba vitae aeternae habes" (Joann. 6, 69)

Il 6 luglio è un giorno carico di molti significati per la Chiesa latina.
È il dies natalis della giovane martire della purezza, Santa Maria Goretti.
Ma è pure il giorno del martirio di San Tommaso Moro, che abbiamo ricordato lo scorso 22 giugno, del quale il Martirologio romano, in vigore anteriormente a quello promulgato da Giovanni Paolo II, attestava essere morto martire, in questo giorno, "pro fide catholica ac beati Petri primatu".
Sino al 1955, inoltre, si celebrava, in questa data, la festa dell'Ottava dei SS. Pietro e Paolo, Questa ricorrenza risaliva a tempi antichissimi. San Leone Magno, nella basilica di San Pietro, vi tenne, in questo giorno, probabilmente dell'anno 455, un'importante, anche se breve, sermone (Sermo LXXXIV, In Octavis Apostolorum Petri et Pauli, De Neglecta Solemnitate, in PL 54, col. 433-434). Gli Atti del martirio di San Sebastiano, inoltre, raccontano che il presbitero Tranquillino, nel giorno dell’ottava del natale del santi Pietro e Paolo, fu sorpreso dagli infedeli sulla tomba dell’apostolo dei Gentili e messo a morte.
Per ricordare, dunque, l'antichissima Ottava della festa dei due Principi del Collegio apostolico, sui quali poggia tutto l'edificio dogmatico, pubblichiamo le riflessioni, che ci ha gentilmente girato il prof. Vito Abbruzzi, concernenti le parole di Pietro, tramandate dal cap. VI di Giovanni, "Tu hai parole di vita eterna".

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Tu hai parole di vita eterna

di Vito Abbruzzi

«Gesù disse: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. […] Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: “Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?”. […] Da allora […] si tirarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. Rispose Gesù: “Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!”. Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: questi infatti stava per tradirlo, uno dei Dodici» (Giovanni 6, 53-71).
Pietro e Giuda: due personalità così diverse eppure accomunate, in alcune circostanze, allo stesso satana. Ricordiamo la fulminante frase di Gesù a Pietro: «Vade retro, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Marco 8,33). Gesù la pronuncia subito dopo aver investito Pietro del prezioso quanto spesso discusso Primato nella Chiesa, in seguito alla celeberrima confessione che questi pronuncia, meritandosi l’encomio di “beato”: «“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E Gesù: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”» (Matteo 16,16-19). Grande responsabilità affidata ad un… irresponsabile come Pietro, che fa peggio di Giuda: rinnegare il suo “Signore”, il “Santo di Dio”, il solo che ha “parole di vita eterna”. Ma che, nonostante tutto, ci piace – e molto – per la sua umanità: così schietta, per nulla infingarda come la cupa figura di Giuda. E ci piace sia per quel suo pianto “amaro”, a motivo del triplice rinnegamento (vedi Luca 22,61-62), sia per quel suo rimanere “addolorato che per la terza volta [il Signore risorto] gli dicesse: Mi ami?”. La risposta del povero “pescatore di uomini” è di una commozione sconvolgente: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo» (Giovanni 21,17).
Gilbert Keith Chesterton, in Eretici (romanzo scritto nel 1905, molti anni prima di convertirsi dall’anglicanesimo al cattolicesimo) ci ha lasciato questa bella professione di fede nell’“uomo debole” che fu Pietro: «Il signor Shaw non riesce a capire che ciò che è prezioso e degno d’amore ai nostri occhi è l’uomo, il vecchio bevitore di birra, creatore di fedi, combattivo, fallace, sensuale e rispettabile. E le cose fondate su questa creatura restano in perpetuo; le cose fondate sulla fantasia del Superuomo sono morte con le civiltà morenti che sole le hanno partorite. Quando, in un momento simbolico, stava ponendo le basi della Sua grande società, Cristo non scelse come pietra angolare il geniale Paolo o il mistico Giovanni, ma un imbroglione, uno snob, un codardo: in una parola, un uomo. E su quella pietra Egli ha edificato la Sua Chiesa, e le porte dell’Inferno non hanno prevalso su di essa. Tutti gli imperi e tutti i regni sono crollati, per questa intrinseca e costante debolezza, che furono fondati da uomini forti su uomini forti. Ma quest’unica cosa, la storica Chiesa cristiana, fu fondata su un uomo debole, e per questo motivo è indistruttibile. Poiché nessuna catena è più forte del suo anello più debole».
Voglio concludere citando per intero questa poesia di Yannis Diamantopoulos, ateniese, riportata nel suo libro Forte più del cemento (ed. La Matrice, Bari 2009, p. 41) da P. Rosario Scognamiglio, domenicano presso la Basilica di San Nicola a Bari:
«Che altro posso fare?
Evento fulmineo
infinitamente breve
è la vita.
Perciò festeggio la mia follia.
Festeggio la mia solitudine.
Festeggio la mia incapacità.
Festeggio la mia infermità.
Festeggio quello che sono:
un essere umano».

Guido di Graziano, S. Pietro con trono con storie della sua vita, 1278-1302, Pinacoteca Nazionale, Siena

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