Sante Messe in rito antico in Puglia

mercoledì 22 aprile 2015

“Et ipse Jesus erat incípiens quasi annórum trigínta, ut putabátur, fílius Joseph” (Luc. 3, 23 - Ev.) - IN SOLLEMNITATE S. JOSEPH SPONSI B. M. V. CONFESSORIS ET ECCLESIÆ UNIVERSALIS PATRONI



Questa festa, istituita da Pio IX – estendendo a tutto il rito romano la Festa del Patronato di san Giuseppe, che era di origine carmelitana – all’inizio del suo pontificato, nel 1847, fu più tardi resa obbligatoria per tutta la Chiesa, all’epoca in cui, dopo l’occupazione di Roma dalle truppe di Vittorio Emanuele II, il Pontefice dichiarò san Giuseppe patrono della famiglia cattolica oppressa, e affidò al suo patronato la difesa della Chiesa.
L’oggetto di questa solennità è la funzione speciale, misteriosamente affidata al purissimo Sposo di Maria, in virtù della quale, come egli teneva il posto dell’eterno Padre all’interno della santa Famiglia di Nazaret e ne esercitava la patria potestas su Gesù e Maria, circonda ora delle sue cure paterne la Chiesa cattolica, estensione e continuazione della società domestica di Betlemme e di Nazaret. In altri termini, il decreto della sacra Congregazione dei Riti datato 8 dicembre 1870, Quemadmodum Deus, in cui san Giuseppe è dichiarato Patrono della Chiesa universale, non è tanto una libera elezione di Pio IX, come talvolta avvenuto per altri santi, scelti come patroni di città o di istituti, quanto piuttosto il riconoscimento autentico di un mistero evangelico e di una disposizione ineffabile di Dio verso la famiglia cattolica.
La festa del patronato di san Giuseppe fu dapprima fissata nella III Domenica dopo Pasqua, ma quando, all’epoca della riforma liturgica di san Pio X, nel 1913, si volle restituire all’ufficio dominicale la prevalenza su quello dei santi, liberando le domeniche perpetuamente impedite da una festa di santo, quella di san Giuseppe dové anche cedere il suo posto e la si fissò nel mercoledì precedente (il mercoledì essendo il giorno specialmente consacrato a san Giuseppe nella devozione). In compenso, nel 1911, lo stesso san Pio X ne cambiò l’intitolazione in  Solennità di san Giuseppe, patrono della Chiesa universale e la festa fu elevata all’onore di solennità di I classe seguita da un’ottava comune.
L’insuccesso della cristianizzazione della festa del lavoro del 1° maggio, essendo evidente dopo più di 50 anni dopo ed il calendario riformato del 1969, avendo ridotto la festa di san Giuseppe artigiano a semplice memoria (facoltativa!), suggeriscono che, ancora oggi, si continui a celebrare questo patronato di san Giuseppe.
La composizione della messa odierna è moderna e la si vede agevolmente dalla sua struttura, poiché l’antifona è tratta dal Sal. 33 (32) ed il versetto seguente dall’80 (79).
Nella colletta si indica con una precisione luminosa la ragione dell’immensa santità e potenza di san Giuseppe, ragione che deve essere cercata nelle funzioni che gli furono attribuite in seno alla santa Famiglia.
La lettura è tratta dalla Genesi (49, 22-26) e si riferisce alle benedizioni di Giacobbe morente al suo figlio beneamato Giuseppe. Il viceré del faraone è il simbolo di un altro Giuseppe sulla testa del quale dovevano concentrarsi tutte le benedizioni messianiche un tempo accordate ai Patriarchi ed ai Profeti e che, elevato all’onore di essere chiamato nel Vangelo come Padre di Gesù, le trasmise a sua volta all’unico e vero erede dell’eterno Padre, Gesù Cristo.
Dei due versetti alleluiatici, il primo è tratto da un’antifona d’ingresso assegnata originariamente alla XIX Domenica dopo la Pentecoste. Il testo non si trova nella Vulgata, anche se è da pensare che era tratto dall’Itala, ovvero la versione latina della Bibbia anteriore alla stessa Vulgata (di cui si hanno in realtà non una, ma varie ed incomplete versioni). Il secondo versetto è un distico dedicato a san Giuseppe.
La lettura evangelica è tratta da san Luca (Lc 3, 21-23) e concerne la doppia generazione di Gesù. Mentre l’eterno Padre proclama dall’alto del Cielo che quegli è il suo Figlio prediletto che si umilia e si immerge nelle acque del Giordano, sotto l’autorità del Battista, lo Spirito Santo guida il pensiero e la frase dell’Evangelista per attestare che lo stesso Gesù è davvero il figlio di Maria, sposa di Giuseppe, e dunque è figlio di Davide, di Abramo e di Adamo.
Il prefazio è di fattura recente: il classico corso romano qui fa difetto; tuttavia le glorie e la dignità di san Giuseppe sono accuratamente espressi.
L’antifona per la Comunione del popolo, contrariamente alle antiche regole, è tratta da un testo evangelico differente da quello assegnato alla messa di questo giorno (Mt 1, 16). L’appellativo di Cristo, cui fa cenno il testo, Gesù l’ottiene da Dio, che unisce la sua santa umanità alla natura del Verbo divino nell’unità della persona, e lo costituisce capo degli angeli e degli uomini, Salvatore del genere umano e primizia di tutta la creazione.
Nella sua liturgia, la Chiesa attribuisce a san Giuseppe una grazia speciale d’intercessione in favore degli agonizzanti. Il santissimo Patriarca ebbe, nella sua agonia, per assisterlo, Gesù e Maria, tra i quali rese la sua anima a Dio. Questa morte privilegiata, dovuta piuttosto alla veemenza del suo amore che all’opera della malattia, gli valse la gloria di essere costituito dal Signore patrono ed avvocato dei fedeli che si affidano a lui in questo momento terribile a quo pendet æternitas.




Giuseppe Rollini, S. Giuseppe patrono della Chiesa, XIX sec., Basilica del Sacro Cuore, Roma

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