Sante Messe in rito antico in Puglia

sabato 12 settembre 2015

Il profeta disarmato della misericordia divina che difese la libertà e l'unità dell'Europa cristiana

Per commemorare il Santissimo Nome di Maria, rilancio questo contributo tratto da Chiesa e post concilio.

Silvio Brachetta. Il profeta disarmato della misericordia divina che difese la libertà e l’unità dell’Europa cristiana

La festa di oggi, che celebra il Santissimo Nome di Maria, fu estesa alla chiesa universale dal Beato Innocenzo XI in ringraziamento per la vittoria di Vienna del 1683: la sconfitta dei Turchi musulmani che minacciavano l’Europa cristiana.
Oltre al Beato Marco d’Aviano, protagonista dell’epico evento, va ricordato anche il paziente e decisivo lavoro diplomatico di Innocenzo XI nel formare una coalizione di stati cattolici capaci di sventare il pericolo musulmano. Egli sognava addirittura di riconquistare Costantinopoli, attraverso un’ardita alleanza tra europei e persiani che mai si realizzò. Il papa della crociata contro i turchi fu beatificato da Pio XII nel 1956: cinquant’anni dopo, nel 2006, Benedetto XVI ha pregato scalzo nella moschea blu di Istanbul, davanti al “mihrab”, la nicchia che indica la direzione della Mecca.
Silvio Brachetta, per ricordare la figura del Beato padre Marco d’Aviano, in questo 12 settembre, ha scritto un mio articolo per Vita NuovaIl profeta disarmato della misericordia divina che difese la libertà e l’unità dell’Europa cristiana. Lo riportiamo di seguito.

Addì 8 settembre 1676 un quarantacinquenne frate cappuccino varcava il portone del monastero benedettino di San Prosdocimo, presso Padova. Munito dell’apposita patente di predicazione, ottenuta per una sua peculiare capacità oratoria, era stato inviato a tenere il consueto Panegirico dell’Assunta, nella chiesa attigua al monastero. Non tutte le monache, però, assistettero alla funzione: una di esse - Vincenza Francesconi - benché desiderosa di ascoltare il padre, si trovava allettata a causa di un male che la tormentava da tredici anni.
Avvertito del problema, il cappuccino fece proposito di benedirla, eventualmente nel corso di una sua visita successiva. Venti giorni dopo eccolo di nuovo a San Prosdocimo, per un discorso sulla natività di Maria. Questa volta era presente anche Vincenza, sostenuta dalle consorelle. Al termine della preghiera comunitaria il frate cercò di confortare l’inferma e le disse di confidare in Dio. Infine la benedisse, come di solito si fa con i malati. L’attimo dopo tutta l’attenzione dei presenti fu sulla monaca, che cominciò a gridare: «Sono guarita»! Beh - disse il frate, più stupito delle benedettine - «se è così come dite, andate su e giù per quelle scale»! E così avvenne: la Francesconi percorse la rampa di corsa, nel tripudio generale delle presenti.

Guerriero e taumaturgo

Non fu un avvenimento isolato. Da quel giorno questo tal frate - al secolo Carlo Domenico Cristofori (1631-1699) - acquistò dal Cielo il dono particolare della taumaturgia e con la semplice benedizione era in grado di ridare la vista ai ciechi o di far camminare gli storpi. E ciò fu sufficiente ad accrescerne la fama poiché, come nel caso di Gesù Cristo, le folle sono portate a badare a qualcuno specialmente nel caso ne ricevano un beneficio personale. Il Cristofori dovette così accettare, suo malgrado e con grande mortificazione, il potente carisma divino. Se ne fece una ragione, perché sapeva bene che Dio elargisce i sui doni e manifesta la sua volontà a chi vuole, quando vuole e come vuole, senza dover per questo preavvisare o rendere conto all’uomo di alcunché.
Nato a Villotta, presso la città friulana di Aviano, Carlo Domenico Cristofori risentì fortemente del «clima epico determinato dalla guerra di Candia [Creta], combattuta in quegli anni tra la Repubblica di Venezia e l’Impero Ottomano» (dalla scheda sul beato, sito del Vaticano). Abbandonò quindi il collegio dei Gesuiti di Gorizia dove, adolescente, frequentava gli studi primari e si diresse verso Capodistria, «disposto a dare anche il suo sangue per la difesa della fede», contro i turchi (ibid.). Durante la breve permanenza presso un convento francescano ebbe modo, però, di maturare la propria vocazione, orientando il suo desiderio di martirio verso la vita religiosa e l’apostolato. Fu così che nel 1648 entrò come novizio a Conegliano per poi, l’anno seguente, emettere i voti religiosi, con il nome autoimpostosi di Marco d’Aviano. Solo dopo il regolare corso settennale di studi filosofici e teologici, fu ordinato sacerdote a Chioggia, nel 1655.
L’attività di padre Marco era fondata sulla semplicità, sul nascondimento, sulla costanza e sullo zelo: predicava un po’ dovunque, soprattutto durante l’Avvento e la Quaresima e, in modo speciale, nei conventi e nei monasteri. Era bravo e scrupoloso, ma nulla faceva presagire che, prima del miracolo di San Prosdocimo e dei successivi, la sua vita da ritirata divenisse pubblica e che fosse tra i protagonisti di una vicenda notevole per l’Europa e per il futuro stesso del cristianesimo in Occidente.

Vienna sotto l’assedio turco

Fermare l’avanzata verso nord degli ottomani, nell’Europa del secolo XVII, sembrava un’impresa del tutto irrealizzabile. O, almeno, non c’era alcuna sicurezza che in futuro l’Occidente avrebbe potuto reggere stabilmente l’offensiva. L’Europa usciva indebolita dalla guerra dei Trent’anni, che aveva opposto cattolici e protestanti. Dopo la pace di Westfalia (1648) il continente europeo era un mosaico costituito da centinaia di stati, staterelli e regni, per nulla omogenei. Senza contare l’indebolimento causato da carestie e pestilenze varie. Gli avvenimenti precipitarono durante l’estate del 1683: il gran visir Kara Mustafa Pasha radunò un esercito di centocinquantamila uomini alle porte di Vienna, cingendola d’assedio. Già tutta la Grecia, i Balcani, la Moldavia e la Transilvania erano in mano ai turchi, contrastati però dalla Casa d’Austria negli anni precedenti.
Solo un sodalizio provvidenziale, tra i diversi poteri della cristianità, avrebbe potuto salvare l’Europa dalla catastrofe: serviva un qualche uomo di genio, di sintesi, che sapesse vedere oltre gli interessi di parte. E la Provvidenza, anche in questo caso, diresse gli eventi in modo prodigioso. Non una, ma più personalità s’imposero sulla scena. Il pontefice Innocenzo XI, in particolare, ebbe il ruolo decisivo: s’impegnò in una martellante azione diplomatica per formare una coalizione tra Leopoldo I d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V, duca di Lorena, Giovanni III (Jan Sobieski), re di Polonia ed Eugenio di Savoia, generale sabaudo. Tutti cristiani, tutti uomini di forte idealità e - forse fu questo l’elemento decisivo - tutti venuti in contatto con Marco d’Aviano.

Disfatta dei turchi

A seguito della sua crescente fama di santità, il frate era stato inviato dal papa a compiere dei lunghi viaggi missionari per l’Europa, durante i quali aveva anche il permesso di amministrare l’indulgenza plenaria. Missionario apostolico a Vienna, nel 1682, divenne direttore spirituale di Leopoldo I. Le sue prediche erano seguitissime dal popolo, chiare, dirette. Parlava della gravità del peccato, della conversione e tornava spesso sui temi dell’inferno e del purgatorio. Ma tutto questo non destava paura nella gente, quanto piuttosto sincero pentimento. Padre Marco, allora, confessava, assolveva e comunicava le persone, magnificando le lodi della divina Misericordia e della vita in grazia di Dio.
Riuscì dunque a porsi come intermediario tra i «rissosi comandanti degli eserciti cristiani» (Antonio Borrelli), che confluirono nella “Lega santa”. Vienna era allo stremo, per via della fame, e non c’era tempo da perdere. Quindi l’armata cristiana giunse a scaglioni nei pressi della città austriaca, in settembre. All’alba di domenica 12 settembre 1683, padre Marco celebrò la S. Messa alla presenza dell’esercito, di Sobieski e di Carlo V. Egli riuscì a legare i capi e le truppe, mediante un’empatia soprannaturale. Dopo aver benedetto anche i principi protestanti, scoppiò la battaglia: Sobieski attaccò immediatamente da sud, mentre Carlo di Lorena scese da nord. Nel frattempo le forze di Baviera e Sassonia sfondavano frontalmente le guarnigioni turche.
Alle ore sette del pomeriggio i giannizzeri di Kara Mustafa Pasha cominciavano a ritirarsi, per poi abbandonare definitivamente la scena di quella che fu, per gli ottomani, un’umiliante sconfitta. Nella fuga abbandonarono vettovaglie in quantità, sacchi di caffè, molti schiavi e donne che si erano portati appresso.

Gli ultimi anni

Ma per Marco d’Aviano le fatiche non erano finite. Innocenzo XI riconobbe il suo ruolo insostituibile e lo inviò in missioni anti turche per ben quattordici volte. Seguirono grandi successi militari: nel 1686 fu liberata Buda e, due anni dopo, Belgrado. Nel maggio del 1699 il padre fu inviato a Vienna, su invito di Leopoldo I, per alcune questioni sulla dichiarazione di pace firmata in gennaio tra l’Europa e l’Impero Ottomano. Fu l’ultimo suo viaggio. Confidò a padre Cosma da Castelfranco, suo compagno di viaggio e biografo: «Mi trovo in pessimo stato di salute… et pure devo in eccesso faticare. Se mi viene un pocho di febre, son perduto. Faci Dio tutto quello è di sua gloria; altro non desidero». Cedette in agosto e cadde malato. Spirò serenamente il 13 agosto 1699, alla presenza dei confratelli cappuccini e di Leopoldo I.
Alla morte del frate seguirono numerosi miracoli e la gente ne esaltava il ricordo e la fama di santità. Il 27 aprile 2003, Giovanni Paolo II lo proclamava beato. Di lui disse: «[…] rifulse per santità il beato Marco d’Aviano, nel cui animo ardeva il desiderio di preghiera, di silenzio e di adorazione del mistero di Dio. […] Profeta disarmato della misericordia divina, fu spinto dalle circostanze ad impegnarsi attivamente per difendere la libertà e l’unità dell’Europa cristiana. Al continente europeo […] il beato Marco d’Aviano ricorda che la sua unità sarà più salda se basata sulle comuni radici cristiane» (Omelia di beatificazione).

Silvio Brachetta

Nessun commento:

Posta un commento