Sante Messe in rito antico in Puglia

domenica 8 febbraio 2015

In memoria della regina martire Mary Stuart

L’8 febbraio 1587, il giorno fissato per l’esecuzione, presso il castello di Fotheringhay, Mary Stuart, italianizzato come Maria Stuarda, riferiscono le fonti, entrò nel salone, in cui doveva svolgersi la sua esecuzione, con aria tranquilla, indossando un abito scuro e un lungo velo bianco, simile a quello di una sposa. Quando il boia le presentò le sue scuse, ella gli disse: «Vi perdono con tutto il mio cuore, perché spero che ora porrete fine a tutte le mie angustie». Sul patibolo le sue dame, Elizabeth Curle e Jane Kennedy, l’aiutarono a spogliarsi, rivelando un sottabito rosso cremisi, il colore della passione dei martiri cattolici, appositamente scelto dalla regina, che davanti ai protestanti inglesi voleva morire da martire cattolica. Una volta bendata e posizionata la testa sul ceppo pronunciò le parole: «In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum», cioè «Signore, nelle tue mani affido il mio spirito».
Il martirio della regina, stando ai testimoni, fu particolarmente brutale: il primo colpo di mannaia fracassò parzialmente la nuca, gli astanti dissero che in quel momento Maria aveva sussurrato le parole: «Dolce Gesù». Il secondo colpo recise completamente il collo, fatta eccezione per un tendine, che fu infine tagliato usando la scure come una sega (cfr. Antonia Fraser, Maria Stuart. La tragedia di una regina, Mondadori, Milano 1998, p. 591). Quando gli esecutori si avvicinarono al corpo senza vita per prendere gli ultimi ornamenti rimasti, prima che venisse imbalsamato, la gonna di Maria iniziò a muoversi e dal di sotto uscì il piccolo cane della regina, che ella era riuscita a nascondere sotto le lunghe vesti. Per quanto si cercasse di allontanarlo, il cagnolino continuava a rimanere vicino al corpo (Stefan Zweig, Maria Stuarda. La rivale di Elisabetta I d’Inghilterra, Bompiani, Milano 2013, p. 366). Le dame della regina, alla fine, riuscirono a farlo desistere e lo lavarono più volte per far andare via il sangue ma, una settimana più tardi, essendosi rifiutato di mangiare, morì d’inedia (Fraser, op. cit., p. 592). Il boia sollevò la testa della regina per mostrarla ai presenti e in quel momento la folla fu sconvolta da un’inaspettata visione: i riccioli castani di Maria si staccarono e la testa rotolò a terra; nessuno avrebbe immaginato che la regina di Scozia indossasse una parrucca. A causa delle sofferenze patite in prigionia, in effetti, Maria era precocemente entrata in menopausa e i suoi capelli si erano incanutiti e diradati; per ovviare a ciò, aveva preso l’abitudine di indossare una parrucca del suo colore naturale (ibidem, p. 591; Zweig, op. loc. cit.).La richiesta di Maria di essere sepolta in Francia venne rifiutata da Elisabetta. Il suo corpo venne imbalsamato e lasciato insepolto in una bara di piombo fino alla sua sepoltura, avvenuta nella Cattedrale di Peterborough alla fine del luglio del 1587. Le sue interiora, rimosse come parte del processo di imbalsamazione, furono sepolte in segreto nel castello di Fotheringhay. Il suo corpo fu riesumato nel 1612 quando suo figlio, il re Giacomo I d’Inghilterra, ordinò che venisse sepolta nell’Abbazia di Westminster, in una cappella di fronte alla tomba di Elisabetta I.


Sentenza di condanna firmata da Elisabetta I

Scipione Vannutelli, Maria Stuarda si avvia al patibolo, 1861, Galleria d'Arte Moderna, Firenze

La regina di Scozia, regina consacrata da Dio, moriva all’età di quarantaquattro anni. Il suo dramma ispirerà, nella musica, Donizetti e Mercadante; nella letteratura l’Alfieri e Schiller.
La regina martire poteva vantare inoltre una corrispondenza ed amicizia con San Carlo Borromeo e godeva dell’appoggio di San Pio V.
Elisabetta, sua cugina, morirà nubile, non ebbe figli ed il figlio di Maria, Giacomo Stuart di religione protestante (e che aveva tradito per il trono la fede cattolica della madre), divenne re d’Inghilterra, designato da Elisabetta sul letto di morte.
Dell’empia Elisabetta, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Dottore della Chiesa, ne parla nel suo libro “Apparecchio alla morte”. Di lei scrive che questa, in maniera stolta, arrivò a dire: «Dio, dammi quarant’anni di regno e io rinuncio al paradiso!». Quella «misera», come la chiama il Santo Dottore, ebbe effettivamente un regno di quarant’anni (per l’esattezza 45 anni), ma dopo la morte fu vista di notte sulle sponde del Tamigi, mentre, circondata da fiamme, gridava: «Quarant’anni di regno e un’eternità di dolore!...» (Apparecchio alla morte, Considerazione XXVIII - Rimorsi del dannato, punto III, ora in Opere Ascetiche, Vol. IX, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1965, pp. 274-275).


Anonimo, Ritratto allegorico di Elisabetta anziana, 1610-20
Il Tempo la scruta, la Morte ghigna alle sue spalle e due cherubini sostengono la corona ormai troppo pesante.

San Luigi Guanella scriveva: «Nella terra inglese una regina Elisabetta con otto mariti e che poneva a morte chi diceva i figli naturali non esser legittimi eredi del trono, questa si faceva chiamare regina vergine e voleva che alla sua presenza i cortigiani stessero genuflessi. In Iscozia era la cugina Maria Stuarda, santissima donna che, lasciata con immenso cordoglio la Francia, veniva per ricevere la corona di Scozia, ben prevedendo che questa le avrebbe circondato le tempie come una corona di spine. Fu vero perché Elisabetta, la regina vergine di otto mariti, fu altresì agnello mite come una tigre sanguinaria. Il suo diletto era spogliar chiese e abbat[t]er monasteri, non solo, ma tagliar teste di duchi, di principi, di vescovi, di sacerdoti, che si opponevano alle sue scelleratezze. Sancì la pena di morte contro qualsiasi sacerdote o religioso che venisse da fuori; la pena di morte fissò contro un candidato che si fosse osato ordinarlo sacerdote. Allora il coraggioso Allen Guglielmo istituiva seminari allo esterno dello Stato. Filippo II, che avrebbe voluto discendere a punire la sanguinaria, perdette l’armata detta Invincibile, la flotta di mare più poderosa che s’aveva. Intanto Elisabetta ordinava segretamente società perché e nella Inghilterra e nella Scozia chiedessero la morte di Maria Stuarda. Ordì tal trama per cui fosse giudicata rea della morte del proprio marito. Era il giorno 8 febbraio 1587. Le campane da 24 ore suonavano a festa in Inghilterra e nella Scozia. Ad ore otto di quel mattino Maria Stuarda con cuore di una vera martire del Signore sclamò: “Muoio innocente! Perdono a tutti! Godo in spargere il sangue per la fede!” In questo istante la vittima offerta fu sacrificata. Elisabetta in udire finse [di] desolarsene e per coprire la sua ignominia, fece impiccare i principali che avevano cooperato alla morte di lei. Infame Elisabetta! Avevala tenuta prigione 19 anni e Maria Stuarda, giammai sospettando che Elisabetta fosse una lupa, veniva a lei come agnello a lambirle le mani» (Da Adamo a Pio IX. Quadro delle lotte e dei trionfi della Chiesa Universale distribuito in cento conferenze e dedicato al clero e al popolo, vol. III, cap. LXXXIX, Virtù della Chiesa di Gesù Cristo, Centro Studi Guanelliani, Nuove Frontiere Editrice, Roma 1999, pp. 794-795).

Abel de Pujol, La dama di compagnia Jane o Janet Kennedy benda la regina Mary Stuart, XIX sec., musée des Beaux-Arts, Valenciennes

Autore anonimo, Ritratto commemorativo di Maria Stuart, regina degli scozzesi, 1603 circa, collezione reale

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