Sante Messe in rito antico in Puglia

domenica 31 luglio 2016

Card. Burke: “Le nazioni cristiane in Occidente contrastino l’influenza islamica”

Oggi è giornata di profanazione di molte chiese: in queste si consumano diversi sacrilegi, ammettendo non battezzati ai Divini Misteri (un tempo la Chiesa faceva uscire i catecumeni prima della consacrazione!) (v. Preghiamo e ripariamo per la profanazione che si consuma oggi in molte Chiese in Francia e anche in Italia, in Chiesa e postconcilio, 31.7.2016; Redazione, A ciascuno il suo. La lunga strada dell’idillio con l’islam, in Riscossa cristiana, 30.7.2016; Paolo Deotto, Domenica 31 luglio, la nuova farsa, il nuovo tradimento, ivi, 31.7.2016). Per giunta, come avvenuto nella Cattedrale di Bari e nella Basilica di Santa Maria Trastevere, la lettura del corano da parte di imam (v. qui e qui. Cfr. Prete sgozzato. Per solidarietà ai cristiani, i musulmani festeggiano cantando il corano in Chiesa, in Chiesa e postconcilio, 31.7.2016). Un'assurdità. P. Livi da La nuova bussola parla, riguardo a quest'iniziativa, non a caso, di "atto insensato" (Antonio Livi, Musulmani a messa: un atto insensato, in LNBQ, 31.7.2016). La Cattedrale di Bari dovrebbe essere riconsacrata o, per lo meno, per tale profanazione dovrebbero celebrarsi riti di espiazione, perché i musulmani sanno che, ove vanno a pregare, quel luogo diventa islamico; non a caso i veri musulmani non hanno mai voluto mettere piede in chiese cristiane a pregare: lo stesso califfo Omar, non a caso, si rifiutò di mettere piede nel Santo Sepolcro, a Gerusalemme, per pregarvi perché sapeva che pregandovi, sarebbe diventato luogo islamico, una moschea! Al momento della preghiera, in effetti, il califfo si allontanò dalla chiesa e recitò fuori la sua preghiera. Ci evidenzia il sito della Custodia di Terra Santa: "Si deve alla visita del califfo al Santo Sepolcro e alla sua preghiera al di fuori della basilica del Martyrion, presso il portico orientale, la perdita del diritto di accesso al santuario dall’ingresso principale, che divenne invece luogo di preghiera individuale per i musulmani".
Il patriarca Eutichio d'Alessandria racconta inoltre che Omar aveva emesso un decreto che vietava ai musulmani di riunirsi in quel luogo per pregare.
Ai musulmani non sarà parso vero di essere chiamati a parlare di Allah nelle chiese cattoliche: segno eloquente, ai loro occhi, della manifesta nostra apostasia, della mancanza di identità e della loro vittoria. Onestamente c'è stato anche chi, tra gli islamici, ha definito ipocrita tale gesto discutibile (cfr. L'Imam di Lecce: «Gesto ipocrita preferiamo il rispetto reciproco», in La Gazzetta del Mezzogiorno, 31.7.2016), tanto più che, in Italia, hanno aderito all'iniziativa meno del 2% dei musulmani presenti sul territorio nazionale (Domenico Ferrara, A Messa solo il 2% degli islamici. Pochi per stanare il terrorismo, in Il Giornale, 31.7.2016). 
Nella festa di S. Ignazio di Loyola, rilanciamo questo contributo del card. Burke, sebbene – ad onor del vero – la traduzione dall’inglese sia un po’ imprecisa, e forse ne ha tradito un po’ l’originario significato, ed è tratta da Il Giornale. Il testo originale è contenuto nell’intervista di David Gibson, Cardinal Burke says ‘Christian nations’ in West must counter Islamic influx, in RNS, Jul. 21, 2016 (v. anche qui e Sean Smith, Islam is not a religion, it is a form of government, says Conservative Vatican Cardinal, in The Tablet, Jul. 22, 2016). In realtà il porporato non si è pronunciato in quei termini, dicendo siano i paesi occidentali, un tempo cristiani, a temere l’Islam, non la Chiesa!





Adriaen Collaert, Morte e funerale di S. Ignazio, in Pedro de Ribadeneyra, Vita beati patris Ignatii Loyolae religionis Societatis Iesu fundatoris ad viuum expressa ex ea quam, 1610 

Anonimo, Visione di S. Ignazio a La Storta, 1622-30

Il cardinale conservatore Burke: “La Chiesa abbia paura dell’Islam”

Riprendiamo da Il Giornale. In riferimento ad un altro contenuto del suo libro di cui abbiamo parlato qui. E ancora una volta troviamo conferma alle nostre posizioni, che sono poi quelle autenticamente cattoliche.

Raymond Burke è famoso per essere uno dei cardinali di Santa Romana Chiesa più vicini alla linea tradizionalista e conservatrice. Quella che più di una volta, soprattutto durante il Sinodo sulla famiglia, ha contrastato il nuovo corso voluto da papa Bergoglio. Niente divisioni, certo. Ma divergenza di opinioni. Anche sull’islam e la relazione tra musulmani e Occidente, Burke ha le idee chiare. E le ha messe nere su bianco in un libro-intervista dal titolo: “Hope for the World: To Unite All Things in Christ”. Parole che alla luce di quanto accade in Normandia, Germania e Francia in questi giorni hanno il sapore della profezia.

“La Chiesa abbia paura dell’islam”

Secondo Burke, la Chiesa dovrebbe “avere paura dell’islam” e in particolare dell’incapacità di vivere insieme ad altre religioni. Paura del multiculturalismo senza condizioni, insomma. L’islam come minaccia, come pericolo per l’unità del mondo occidentale. “Non c’è dubbio che l’Islam vuole governare il mondo - ha scritto il patronus del Sovrano Militare Ordine di Malta - Quando i musulmani diventano una maggioranza in qualsiasi paese poi hanno l’obbligo religioso di governare quel paese”.
Un modo per dire che se tutto dovesse rimanere così come è, con la totale apertura del mondo occidentale a qualsiasi richiesta venga dalla cultura musulmana, il futuro non potrà che essere quello del dominio islamico sull’Europa. E questo perché “per sua natura”, l’islam oltre che religione “deve farsi anche Stato”. Ovvero permeare con la legge islamica tutti gli aspetti della società e del governo dove i musulmani vivono. È per questo che molti islamici, anche “moderati”, non hanno timore a dire che la “sharia sarebbe una cura per la decadenza dell’Occidente”.
“È importante - ha aggiunto Burke - che i cristiani si rendano conto delle differenze radicali tra Islam e cristianesimo in materia di loro insegnamento su Dio, sulla coscienza, ecc. Chi conosce davvero l’Islam, comprende facilmente che la Chiesa dovrebbe averne paura”.
In una recente intervista a Religion News Service, inoltre, il cardinale ex prefetto del tribunale della Segnatura apostolica, ha ribadito che l’unico modo per rispondere alla diffusone dell’islam è recuperare la fonte cristiana dell’Europa. Le sue radici.

Fonte: Chiesa e postconcilio, 26.7.2016

sabato 30 luglio 2016

Rispetto dei luoghi sacri e decoro dell’abito sacerdotale

Nella festa dei santi martiri Abdon e Sennen, rilanciamo questo contributo.



  

Ambito romano, Crocifissione con Madonna ed i SS. Maria Maddalena, Giovanni evangelista, Abdon e Sennen, XVIII sec., museo diocesano, Rieti

Guillaume Courtois, Sepoltura dei SS. Abdon e Sennen, 1656-57, Basilica di S. Marco, Roma

Rispetto dei luoghi sacri, decoro dell’abito sacerdotale… qualcuno se ne ricorda?

di Giovanni Lugaresi

“… È perciò un peccato che di fatto, la consacrazione […] venga ai nostri giorni vanificata, proprio ad opera di sacerdoti, con manifestazioni non compatibili col luogo sacro: concerti, spettacoli, balletti, riunioni di ogni tipo, che un tempo si facevano fuori, o ‘di fronte al tempio’, come ricorda la parola latina pro-fanum; sembra inarrestabile il fenomeno delle chiese adibite a concerti non solo di musica sacra ma profana: gli atti non sacri che normalmente si fanno altrove, comportano una profanazione. Nella pubblicità delle cosiddette ‘Notti Sacre’, scorreva in sequenza la scritta ‘musica, preghiera e spettacoli nelle chiese’: una scimmiottatura delle ‘Notti Bianche’, ormai diffuse nelle città secolarizzate europee. Come il cristiano nell’iniziazione consacra se stesso a Dio, dopo l’esorcismo, così il luogo santo con la dedicazione è consacrato a Dio, dopo essere stato sottratto all’influenza del maligno, che deve restare fuori del tempio con tutte le sue azioni. Non si possono ospitare tali o altre azioni profane, laddove si celebrano i divini misteri. Come è possibile che vescovi e preti abbiamo dimenticato che quel luogo, edificato spesso con sacrificio dei fedeli, è stato ‘dedicato’ – parola che ricorda l’atto con cui si offre qualcosa di molto personale a chi si ama – a Dio?…”.
Queste espressioni si leggono nel nuovo libro di don Nicola Bux “Con i sacramenti non si scherza” (Prefazione di Vittorio Messori; Cantagalli Editore; pagine 223, Euro 17,00) che dovrebbe essere letto e meditato soprattutto da certi presbiteri e, naturalmente, da certi vescovi.
Quelle espressioni le abbiamo tratte dalla parte finale del libro, il capitolo “L’estensione del senso sacramentale”, con riferimento alla “Benedizione della chiesa e… profanazione”.
Già, la chiesa, il luogo sacro, la casa di Dio – si diceva una volta. Dove peraltro, a quanto pare (o per lo meno in non pochi casi), Dio viene… dopo.
Viene dopo la vanità e le “fantasie” del prete, che fa quello che vuole, alterando il rituale della messa, per esempio. E non ci si riferisce al vetus ordo, bensì al novus ordo, che pure ha delle “regole”, regolarmente (ci si consenta il bisticcio) disattese dai celebranti.
Facciamo una sola osservazione, secondaria, rispetto a ben altre “alterazioni”, aggiunte, omissioni.
Dopo il saluto finale, di “andare in pace” (non ce n’è uno migliore!) per esempio, occorre dire: “buona domenica”? E che bisogno c’è di affidare la distribuzione delle sacre particole a un laico? Dove sta scritto? Ci risulta, da nessuna parte… Potremmo citare altre cose, ma lasciamo perdere.
Per occuparci invece di altre azioni come l’applauso: non a Dio, bensì ai cresimandi, agli sposi (una volta lo si faceva fuori dalla chiesa insieme al lancio del riso!), ai morti, perfino, dopo certe interminabili testimonianze, sermoni, letture, messaggi, e chi più ne ha più ne metta, spesso una baraonda indescrivibile…
E poi, ecco: ci sia mai nessun prete che controlla come ci si presenta in chiesa? Cioè come ci si va vestiti? Donne e ragazze sbracciate, indossano braghette (si chiamano minishorts?) e da qualche tempo anche i maschi non scherzano. Uomini maturi che vanno a far la comunione (a ricevere il Corpo di Cristo) come andassero in spiaggia: pantaloni corti e infradito ai piedi… Ma dove siamo? Consapevolezza del luogo dove ci si trova? Rispetto per Nostro Signore? – detto per inciso, a volte sembra di trovarci a “ruoli” invertiti: al centro, non più Dio, ma l’uomo (il prete), o gli uomini (i fedeli): ma questo non significa creare degli idoli, nuovi idoli al posto del vero Dio?…
Rispetto per certi preti, no, non lo meritano. Dal momento che sono proprio loro, a dare il cattivo esempio, dal momento e nel momento che li vedi in giro vestiti da tutto, tranne che… da prete.
Ce ne erano sette, sere fa ad una sagra paesana in un paese del Veneto ad aggirarsi fra gli stands, fermarsi davanti ad uno spiedo gigante. E uno degli addetti alla cucina cui si era rivolto uno di questi individui, non conoscendolo ma vedendo i suoi abiti senza alcun “segno di riconoscimento-distintivo” gli ha risposto chiamandolo “capo”, come si usa da certe parti, in certe occasioni, con certe persone.
Non diversamente è andato ad altri che si sono visti pochi giorni fa (siamo a fine luglio) arrivare a casa il parroco a cavallo della bicicletta, maglietta verde a mezze maniche, jeans con robuste tiracche, cappellino da giocatore di baseball in testa… a fare che cosa? Ma a dare la benedizione “pasquale”! Al che, uno di questi laici ha avvertito il parroco… ritardatario e vestito in modo non degno di un sacerdote nell’adempimento delle sue funzioni, che la “benedizione pasquale” era già venuto a impartirla, nel periodo giusto, qualcun altro: un frate amico!
Ora (limitandoci all’abito): possibile che non esista più il concetto del “decoro dell’abito”, appunto, riguardante laici e presbiteri? Non è una questione di forma, è una questione di sostanza, alla base della quale ci sono, secondo noi, due elementi: buona educazione, rispetto del prossimo, ma soprattutto, trattandosi di “cose di religione”, rispetto di Dio, della chiesa, per cui più che mai l’abito deve essere consono al ruolo ricoperto.
E per quel che riguarda poi il vestirsi… da tutto, tranne che da prete (oh, i begli abiti che sembrano tagliati da Caraceni!, oppure vestitacci da sensale di bestiame nei paesi); sovviene un ricordo di giovinezza.
Correva l’anno 1966 e non era ancora estate. Ragazzo di bottega nella redazione del Resto del Carlino di Ravenna, il caposervizio incaricò me, cattolico e conoscitore di tanti preti, di svolgere una piccola inchiesta sulla adozione del clergyman, da poco concessa dalle autorità ecclesiastiche, che prevedeva anche il mantenimento di quel colletto bianco chiamato anche “collare romano”, adesso raramente usato, perché si preferisce tenere aperta al collo la camicia e in tal guisa apparire magari in tv mentre si spiega il Vangelo domenicale… in chiesa!!!
Feci un giro di telefonate e la risposta che mi piacque maggiormente fu quella di don Giovanni Zambotti, colto personaggio, docente di filosofia in seminario, che disse pressappoco: vedi, mio caro, ci sono preti grassi e magrissimi, belli e brutti, piccoli e alti… la veste talare copre tutto e va bene così! Vedrai che robe con il clergyman!!!
In effetti, clergyman prima, abiti vari poi, esaltano pregi e difetti fisici di chi li indossa. Certo, questo è un discorso che riguarda l’estetica, e non gli diamo un peso superiore a quello che ha, però… però… vedere certi preti budelloni, con ventri prominenti, ancorché sostenuti da robuste tiracche, non aiuta ad avere il senso del loro ministero…
Prevediamo la battuta antica: “l’abito non fa il monaco”.
Verissimo, ma noi abbiamo sempre sostenuto che “può aiutare a farlo!”.
E se questi preti (non parliamo di certi vescovi, ignari di quel che fa il loro clero, e che magari non vogliono neppure saperlo – forse perché ciò metterebbe in discussione i loro compiti, anche, di controllo?) sono così, si comportano così, è ovvio che nelle loro chiese si faccia di tutto, tranne che avere rispetto e rendere omaggio al “padrone di casa”, cioè a Nostro Signore, al quale peraltro vengono voltate le spalle nelle celebrazioni liturgiche…
Et de hoc, satis.
PS: Tutto quanto sopra è stato visto, ben osservato da chi scrive.

mercoledì 27 luglio 2016

Conferenza di don Nicola Bux e don Matteo de Meo – Foggia, 29 luglio 2016


LA NATURA DELLA SACRA LITURGIA
E LA SALVEZZA DEL MONDO

29 luglio 2016, ore 19:00

Auditorium dell’Opera Pia “L. Scillitani”
via Scillitani, 17

FOGGIA

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«È stato fatto l’esempio dei medicinali, essi noi li vediamo sono banali apparentemente, piccole compresse, fiale…però contengono una potenza che poi si dimostra negli effetti che hanno. Giustamente alcuni Santi dell’antichità chiamavano i Sacramenti “farmaci”, per esempio uno dei primi padri della chiesa, Sant’Ignazio di Antiochia chiamava l’eucarestia “farmaco dell’immortalità”. I sacramenti, questi “farmaci”, infatti, assunti con le dovute disposizioni producono gli effetti di grazia. Il catechismo della chiesa cattolica alla fine dei capitoli sui sacramenti conclude con un paragrafo sugli effetti che portano. Però attenzione, come i farmaci, hanno anche delle controindicazioni, cioè non si possono assumere a qualsiasi condizione, come per esempio per un divorziato-risposato, sul poter ricevere anche la Santa comunione, questa è una grave controindicazione, perché chi ha rotto un rapporto, mettendone su un altro, come può entrare con colui che ha istituito il sacramento della comunione, dell’unità. Giustamente san Paolo dice che chi assume in questa maniera l’Eucarestia prende il veleno, cioè invece di prendere la salvezza prende il veleno, la condanna, e quindi questa è una controindicazione»;

«Oggi la liturgia è stata profanata, cioè si sono introdotti in essa tanti elementi che vengono dal mondo profano e che finiscono via via per svuotarla dal suo carattere sacro, e quando dico sacro si vuole intendere il luogo della presenza di Dio. Dire sacro mi fa subito venir in mente quando Dio dice a Mosè dal roveto: attenzione, togliti i sandali perché questo luogo che stai calpestando è sacro, perché sacro, perché è presente Lui. Quindi dove Dio è presente c’è il sacro. Invece il profano è ciò che è di fronte al sacro e che probabilmente desidera essere raggiunto dal sacro, però per essere raggiunto dal sacro deve lasciarsi convertire da esso e in qualche modo deve comunque abbandonare qualcosa, certamente modi che non sono consoni a Dio, allora, il sacro avanza e consacra, come noi spesso diciamo. I sacramenti sono la consacrazione della materia profana all’uso della nostra salvezza e guarigione, nutrimento e via dicendo»


(Don Nicola Bux)

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«Con i Sacramenti tocchiamo Cristo, ascoltiamo Cristo, ci nutriamo di Cristo, gustiamo Cristo (con i sacramenti non si scherza pag. 23). La chiesa dà Cristo attraverso i Suoi Sacramenti, la Chiesa deve dare Cristo, la Chiesa non salva attraverso ciò che fa ma attraverso ciò che celebra. Tra i dogmi di Fede più dimenticati secondo me vi è senza dubbio proprio quello dell’esistenza della Grazia di Dio, e pensare che la Grazia, tutti i giorni in parrocchia o comunità, è tutto il fondamento dell’edificio spirituale. Dall’avere o non avere la grazia dipende la nostra felicità o la nostra infelicità eterna. La Grazia di Dio ci solleva con un sol colpo ad un piano infinitamente più elevato di quello puramente naturale e terreno, sì da poter dire che tra un uomo che vive nella grazia di Dio e uno che non vive nella grazia di Dio vi è la stessa differenza che c’è tra il cielo e la terra»;

«C’è bisogno di ritornare ad avere più fede nel mondo, al giusto rapporto tra vita naturale e vita di grazia tra natura e soprannaturale, per tutto questo ci educa la sana e autentica liturgia della chiesa, la sua preghiera per eccellenza, la quale preserva il dogma della fede da ogni contaminazione ed è fonte di ogni bellezza»
(Don Matteo de Meo)

“Pantáleon Nicomediénsis, nóbilis médicus, ab Hermoláo presbytero in Jesu Christi fide erudítus, baptizátus est. Qui mox patri Eustórgio persuásit, ut Christiánus fíeret. Quare, cum Nicomedíæ póstea Christi Dómini fidem líbere prædicáret, et ad ejus doctrínam omnes cohortarétur, Diocletiáno imperatóre, equúleo tortus, et, admótis ad ejus corpus láminis candéntibus, cruciátus est” (Lect. III – Noct.) - SANCTI PANTALEONIS MARTYRIS

Questo santo martire– la cui Passio ce lo presenta come uno dei medici Anargiri –, san Pantaleimone o Pantaleone, che è stato oggetto in Oriente, fin dal IV sec., di un culto popolarissimo, appartiene molto probabilmente alla Nicomedia.
Egli è festeggiato il 27 luglio presso i bizantini ed i siriaci ed il 13 luglio nel rito copto, che lo onora sotto il nome di Batlan. Il martirologio geronimiano, in effetti, lo menziona il 28, in accordo con certi antichi sinassari orientali. Presso i Greci, Pantaleone ha anche il titolo di Pantaleemon, nome che, secondo gli Atti, gli fu imposto dal Cristo, che gli promise che molti, mediante la sua intercessione, avrebbero ottenuto misericordia.
A Roma, dall’VIII sec., la Chiesa di Sant’Angelo in Peschiera conservava qualche reliquia di san Pantaleone (H. Mantechi, Basiliques et églises de Rome, Paris 1902, p. 424), ma si dové attendere l’inizio del XII sec. per vedere il suo nome apparire nel Martirologio di San Pietro e nel Passionario del Laterano. Questi due documenti l’iscrivono al 27 luglio, come l’aveva fatto il calendario di Napoli. Nel corso dello stesso secolo, quattro chiese gli furono dedicate (cfr. Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, p. 263): San Pantalone fuori porta Portense (cfr. Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 410), San Pantaleone ad fines o iuxta flumen (cfr. Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p. 354; Ch. Huelsen, op. cit., pp. 410-411), San Pantaleo di Parione o de preta Karoli (detta anche San Pantaleo a Pasquino) eretta nel rione Parione (cfr. Mariano Armellini, op. cit., pp. 378-379; Ch. Huelsen, op. cit., p. 411), San Pantaleone ai Monti (o in tribus fornis) eretta nel rione Monti, ai piedi dell’Esquilino (cfr. Mariano Armellini, op. cit., pp. 143-146; Ch. Huelsen, op. cit., p. 412). Ciò spiega come la commemorazione di questo medico taumaturgo sia entrata nel Messale.
A Ravello, presso Amalfi, si conserva un’ampolla riempita del suo sangue, il quale in questo giorno si liquefa e rimane così sino ai secondi vespri dell’indomani. Talvolta, il miracolo si verificò anche in delle circostanze straordinarie, come quella dell’arrivo del cardinale Domenico Bartolini, prefetto della Sacra Congregazione dei Riti sotto Leone XIII. Il sapiente cardinale si era recato a Ravello con un spirito un poco scettico, attribuendo il prodigio all’autosuggestione degli abitanti. Ma il martire volle rivelare la sua fede debole e rinnovò il miracolo sotto i suoi occhi.
Si fa spesso questione del sangue di san Pantaleone negli antichi documenti greci. I versi seguenti dei Menelogi ne fanno anch’essi menzione:

Γαλακτμικτον, Μρτυς, αμα σς κρας,
Διν δατμικτον Χριστς χει.
Φσγανον βδομτ λχεν εκδι Παντελεμων

L’acqua ed il latte sgorgano del collo del martire
per il quale un tempo il Cristo sparse il sangue e l’acqua.
Il XXVII giorno segnò la morte di Panteleemon.

La messa Lætábitur è dal Comune, come il 29 novembre, per san Saturnino.
Bene a proposito la Chiesa implora dall’Anargiro medico anche la salute corporale come fa nella preghiera colletta, perché questa ben spesso è la condizione più favorevole per poter operare molto per la gloria di Dio. È con questa retta intenzione che possiamo desiderare anche la sanità e la lunga vita, usandoci quegli opportuni riguardi che si ritengono necessari per conservare le forze: «Nos qui vivimus, benedicimus Domino» (Ps. 113, 26 - Sal. 115, 18).
Rimarchevole è la secreta, di stile assai coinciso, in cui la parola devotio indica semplicemente il Sacrificio eucaristico. La parola devotio in latino dice molto più che devozione in italiano o dévotion in francese, poiché indica una consacrazione irrevocabile e totale alla Divinità. Equivale dunque a sacrificium.







Paolo Veronese, Miracolo di S. Pantaleone, 1587-88, San Pantalon, Venezia

martedì 26 luglio 2016

"Propónitur nobis Annæ thálamus, conjugális vitæ simul et virginitátis formam réferens, illam matris, hanc fíliæ: quarum áltera recens sterilitáte liberáta est, áltera autem aliquánto post, Christi partum, ad nostræ natúræ conditiónem divíno opifício formátum, supra natúram est editúra" (Sermo sancti Joánnis Damascéni, 2 de Nativ. B. Mariæ prope finem – Lect. IV – II Noct.) - SANCTÆ ANNÆ MATRIS B. MARIÆ VIRG.

Il 26 luglio la Chiesa celebra la festa della Santa e giusta Antenata del Signore Anna (san Gioacchino ricorre, nel calendario tradizionale, l'indomani della festa dell'Assunzione).
I privilegi e le grazie di cui Dio aveva circondato la concezione immacolata di Maria, sua Madre benedetta, non potevano non riflettersi sui suoi beati genitori ai quali l’apocrifo Protoevangelium Jacobi (Giacomo il minore, parente di Gesù), che, secondo i critici, dev’essere stato composto prima del 150 d. C., dà il nome di Gioacchino e di Anna.
Oltre a questo testo, le maggiori notizie sulle vite dei genitori della Madre di Dio ci giungono dalla letteratura apocrifa del Vangelo della Natività di Maria e dallo pseudo Vangelo di Matteo. Ma senz'altro più autorevole tra tutti è il Protovangelo sopra ricordato, che, in Oriente, addirittura è letto nelle feste mariane dai greci, dai siriaci e da altri.
In Occidente, tutti questi testi apocrifi, in linea generale, sono stati respinti sino a quando Jacopo da Varagine non li trasfuse nella sua Legenda Aurea nel XIII sec. rivalutandoli ed apprezzandoli.
Da allora la vita dei Santi genitori della Vergine si diffuse in Occidente, alimentando il loro culto, ma anche aspetti leggendari e fantasiosi della loro vita. Così è sorta la convinzione che Sant'Anna sarebbe nata, per grazia divina, dopo che i suoi genitori l'avevano attesa per oltre vent'anni di vita matrimoniale; san Gioacchino sarebbe vissuto sino alla presentazione di Maria al Tempio ed Anna, rimasta vedova, si sarebbe risposata con Cleofa, da cui sarebbe nata Maria di Cleofa - sorellastra, dunque, della Vergine - e che sarebbe andata in moglie ad Alfeo, da cui sarebbero nati Giacomo il Minore, Simone, Giuda e Giuseppe il giusto. In seguito, rimasta ancora vedova, Anna si sarebbe risposata, per la terza volta, con un tale Salomas. Da queste nuove nozze sarebbe nata santa Maria Salome, la madre cioè dei due figli di Zebedeo, Giacomo il Maggiore e Giovanni. Si tratta, però, di leggende senza alcuna attendibilità sia storica sia biblica.  
Sappiamo, in ogni caso, che, fin dal VI sec., Giustiniano eresse a Costantinopoli una chiesa in onore di sant’Anna, a cui, con san Gioacchino, il Menologio dedicò come giorno di festa collettiva di entrambi il 9 settembre. Sant'Anna è celebrata singolarmente, invece, il 25 luglio, di cui si ricorda la "dormizione" avvenuta a Gerusalemme (all'età, pare, di 79 anni, prima dell'Annunciazione della Vergine), ma in verità questo giorno sarebbe quello della dedicazione della chiesa giustinianea o l'anniversario della traslazione a Costantinopoli delle sue reliquie unitamente al suo maphorion (velo) nel 710.




Persino il Corano ne tramanda i nomi Imrân (Gioacchino) e Hannah (Anna), dedicandovi una sura, la terza, intitolata Âl ‘Imrân, cioè La Famiglia di Imran.
La venerazione verso gli avi del Divin Redentore si sparse un po’ dovunque in Oriente. I siriani venerano sant’Anna sotto il nome di Dina il 25 luglio; ma generalmente gli altri orientali tendono ad avvicinare la festa dei genitori della Madre di Dio alla solennità della sua nascita o della sua assunzione al cielo. Nel Calendario bizantino, i santi Gioacchino ed Anna sono onorati dei titoli di τν γων κα δικαων θεοπατρων ωακεμ κα ννηϛ, cioè i santi e giusti antenati di Dio Gioacchino ed Anna. 
Nel mondo latino, una delle prime tracce di culto verso i genitori della santa Vergine si trova nella biografia di Leone III, che fece riprodurre le loro immagini a Santa Maria Maggiore.
Si è d’accordo, in genere, a riconoscere un’altra rappresentazione di sant’Anna in una nicchia della basilica di Santa Maria Antiqua al Foro romano, dove sono dipinte tre sante madri coi loro bambini nelle braccia: sant’Anna con la Vergine Maria, sant’Elisabetta con san Giovanni Battista ed infine Nostra Signora col bambino Gesù. Questa pittura è del VII – VIII sec. ed è stata attribuita all'epoca del papa Costantino (708 -715).


La festa liturgica di sant’Anna comincia ad apparire qua e là presso i Latini durante il basso Medioevo; non fu introdotta tuttavia definitivamente nel Messale romano che sotto Gregorio XIII nel 1584.
Riguardo alle reliquie della Santa, secondo una tradizione, il suo corpo sarebbe stato portato ad Apt, in Francia, da san Lazzaro, l'amico di Cristo ed il fratello di Marta e Maria. In seguito, sarebbe stato nascosto, alla fine del IV sec., dal santo vescovo Auspicio ed infine ritrovato durante il regno di Carlo Magno (la memoria di questa "invenzione" era celebrata localmente il lunedì dopo l'Ottava di Pasqua). Successivamente, nel 1664, furono traslate in una splendida cappella il 4 maggio, che da allora era celebrato come giorno festivo.
Secondo altre tradizioni, invece, i resti del corpo della Santa sarebbero stati portati dalla Terra Santa a Costantinopoli nel 710, ove ancora nel 1333 erano conservati nella basilica di Santa Sofia. Da lì, vari frammenti ossei si sono diffusi per varie chiese. Ad es., a Douai si venera un piede della Santa e la memoria della traslazione di questa reliquia era celebrata il 16 settembre. 
Roma ha eretto alla memoria della santa Madre della beata Vergine almeno una decina di chiese e cappelle. La Basilica patriarcale di San Paolo era già in possesso della preziosa reliquia del braccio di sant’Anna al tempo di santa Brigida di Svezia, che ne ottenne una briciola. Sant’Anna le apparve allora e le insegnò il modo di custodire e di venerare le sue sante reliquie. Tra il XIX ed il XX sec., Leone XIII e Benedetto XV hanno donato dei frammenti dello stesso braccio di sant’Anna ad alcuni insigni santuari, a lei dedicati, in Canada ed in Bretagna, dove Dio si è compiaciuto anche di illustrarli mediante numerosi miracoli.
Prima degli sconvolgimenti politici del 1870, una delle tradizioni della Roma papalina comportava una cerimonia speciale in occasione della festa di sant’Anna. La confraternita dei palafrenieri pontifici le aveva eretto una chiesa, alle porte stesse del palazzo del Vaticano. Ora, il 26 luglio, questa confraternita organizzava una processione grandiosa che accompagnava la statua della Santa fino alla dimora del Cardinale Protettore. Quando l’immagine di sant’Anna giungeva sul ponte Sant’Angelo, il cannone della Mole di Adriano faceva sentire parecchie salve sparate in suo onore. Sebbene dal 1870 il Papa non uscisse più dal Vaticano, Benedetto XV volle tuttavia, per un’entrata laterale che comunica col palazzo pontificio, visitare quest’antico santuario di sant’Anna dove aveva fatto eseguire dei restauri. Il 30 maggio 1929, con la Costituzione apostolica Ex Lateranensi pacto, Pio XI istituiva questa chiesa quale pontificia parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, affidandone la cura agli agostiniani.


Icona russa di S. Anna la giusta, 1893, Monastero di San Pantaleimon, Monte Athos

Icona miracolosa di S. Anna con la Santissima Madre di Dio, Skita di S. Anna, Monte Athos



Angelos Akotanos, S. Anna e la Vergine, XV sec., Μουσείο Μπενάκη, Atene











Daniel Gran, Gloria di S. Anna, XVIII sec., Annakirche, Vienna

Juan de las Roelas, Educazione della Vergine, 1610 circa, Museo de Bellas Artes, Siviglia

Diego Velázquez (attrib.), L'educazione della Vergine, Yale University Art Gallery, Yale

Francisco de Herrera il Vecchio, Immacolata tra i SS. Gioacchino ed Anna, XVII sec.

Juan de Juanes (Juan Macip Vicente), Annunciazione di S. Anna, XVI sec., Hermitage, San Pietroburgo

Juan Simón Gutiérrez, S. Anna, 1700 circa, Museo de Bellas Artes, Siviglia

Andrés de la Concha (attrib.), S. Anna con Maria, S. Giuseppe e S. Gioacchino e la Trinità, XVI sec., cattedrale metropolitana, Città del Messico

Jusepe de Ribera detto Lo Spagnoletto (attrib.), Educazione della Vergine o Famiglia della Vergine, ovvero S. Anna con la Vergine e con S. Gioacchino, XVII sec., collezione privata, Como

Francesco Solimena, La Vergine con i SS. Gioacchino ed Anna, XVII sec., collezione privata


Bartolomé Esteban Murillo, Educazione della Vergine, 1655 circa, Museo del Prado, Madrid

Giovanni Romanelli (attrib.), Educazione della Vergine Maria, 1630 circa, Art Gallery of South Australia, Adelaide

Louis Jean François Lagrenée, Educazione della Vergine, 1772 circa, collezione privata

Juan Carreno de Miranda, Educazione della Vergine con S. Gioacchino, 1676


Bartolomeo Cesi, Concezione della Vergine Maria in S. Anna, 1593-95, Pinacoteca Nazionale, Bologna

Arturo Viligiardi, S. Anna istruisce la Vergine, 1926, partic., Pontificia Parrocchia di S. Anna in Vaticano, Città del Vaticano, Roma

I SS. Gioacchino ed Anna con la Vergine bambina intercedono per le anime purganti

Statua di S. Anna con la Vergine ed il Bambino, Chiesa di S. Anna, Barcellona

Francesco Citarelli (attr.), S. Anna, Castellammare di Stabia




S. Anna, XIX-XX sec., Parrocchia S. Domenico, Corato (BA)

Francisco del Rincón, S. Anna con la Vergine ed il Bambino Gesù, XVII sec., Santiago Apóstol, Valladolid




Veneratissima statua di S. Anna, Chiesa di S. Anna, Gerusalemme. 
La chiesa di S. Anna sorge sul luogo dove, secondo una tradizione, era la casa gerosolomitana dei genitori della Vergine e dove nacque la stessa Madre di Dio.


Statua di S. Anna, esterno del recinto dei resti della chiesa crociata di S. Anna, Sefforis. La chiesa crociata sorgeva - secondo la tradizione - sull'abitazione di S. Anna, che sarebbe stata originaria di Sefforis.