Sante Messe in rito antico in Puglia

sabato 13 ottobre 2018

Il 13 ottobre, e non il 29 giugno, data del martirio del beato Pietro Apostolo?

Negli anni scorsi abbiamo già fatto cenno a quest’ipotesi, tutt’altro che peregrina (v. qui e qui).
E perché no???
Del resto, nella storia della nostra fede, questa data è densa di significati.
Il 13 ottobre 1884 il Sommo Pontefice Leone XIII ebbe la celebre visione dei demoni sulla città di Roma, che lo indusse a scrivere la famosa invocazione a S. Michele, principe delle milizie celesti.
Un altro 13 ottobre, 33 anni dopo, ci fu alla Cova di Iria, presso Fatima, in Portogallo, il celebre miracolo del sole.
Un altro 13 ottobre, all’inizio del centenario di Fatima, nel 2016, poi, la statua di Lutero faceva il suo ingresso solenne nell’Aula Nervi, in Vaticano, entrando nel “recinto di Pietro”!
Il 13 ottobre una data significativa. Dunque. E densa di significati.
Rilanciamo, quindi, questo contributo di un nostro amico ed affezionato lettore su questo tema. 

Sulle orme della Guarducci alla scoperta della data del martirio di san Pietro

di Giuliano Zoroddu


La Chiesa celebra la festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo il 29 giugno. Recita il Martirologio Romano: “A Roma il natale dei santi Apostoli Pietro e Paolo, i quali patirono nello stesso anno e nello stesso giorno, sotto Nerone Imperatore. Il primo di questi, nella medesima Città, crocifisso col capo rivolto verso la terra, e sepolto nel Vaticano presso la via Trionfale, è celebrato con venerazione di tutto il mondo; l’altro decapitato e sepolto sulla via Ostiense, è venerato con pari onore”. Se il “medesimo giorno” è il 29 giugno (Tértio Kaléndas Júlii), il “medesimo anno” è un po’ più difficile da individuare perché si va dall’anno 64 all’anno 67. La tradizione ecclesiastica ha fatto suo quest’ultimo: “Simon Pietro … venne a Roma e quivi tenne per venticinque anni la cattedra sacerdotale, fino all’ultimo anno di Nerone, cioè il decimo quarto”[1] precisamente, sempre secondo san Girolamo, due anni dopo la morte di Seneca, occorsa nell’aprile del 65[2]. In base a questi dati, il martirio del Pescatore di Betsaida, costituito da Gesù capo visibile dei suoi discepoli, sarebbe avvenuto fra il 13 ottobre del 67 (inizio del quattordicesimo anno d’impero di Nerone) e il 9 giugno del 68 (giorno della sua morte). E infatti Pio IX e anche Paolo VI hanno celebrato il diciottesimo e il diciannovesimo centenario del martirio dei Principi degli Apostoli rispettivamente nel 1867-1868 e nel 1967-1968. A fronte tuttavia di questa tradizione, che ovviamente non afferisce al dogma della fede, vi è tuttavia dibattito fra gli studiosi, fra i sostenitori del 64, fra quelli del 65, del 67 o del 68, fra coloro che fanno coincidere l’anno del martirio di Pietro e del martirio di Paolo e coloro che invece scindono i due martìri, assegnano ad ognuno varie date. L’unica cosa certe che Pietro (come Paolo) fu ucciso per la fede sotto il regno di Nerone (13 ottobre 54 – 9 giugno 68) Non teniamo in considerazioni i negatori della storicità di questi martìri, perché, prendendo a prestito le parole dell’Harnack e del Cullman (protestanti), trattasi semplicemente di pregiudizi anticattolici.


Però vi è una studiosa che non solo ha la sua opinione sull’anno del martirio, ma che sul mese e sul giorno. La studiosa è la compianta Margherita Guarducci (1902 – 1999), grande epigrafista, indissolubilmente legata alla individuazione della tomba e delle reliquie di san Pietro, autrice, fra le altre eccellenti opere, del saggio “La data del Martirio di San Pietro” del 1968 (La Parola del Passato, CXIX, Marzo-Aprile 1968, pp. 81-115)[3]. Vediamo di riassumere esaustivamente la tesi di questa dottissima Maestra.


Noi sappiamo che il massacro che Nerone fece dei Cristiani della Chiesa Romana seguì l’incendio che devastò l’Urbe dal 18 al 27 luglio del 64. Le fonti storiche più antiche a riguardo sono  gli Annali di Tacito e la Lettera di Papa san Clemente Romano ai Corinzi (datata al 95/96), che ci parlano della grande moltitudine di coloro che Nerone fece uccidere durante macabri spettacoli.
Tacito, Annales, XV, 44, 6-9: “Nessuno sforzo umano, nessuna elargizione dell’imperatore o sacrificio degli dei riusciva ad allontanare il sospetto che si ritenesse lui il mandante dell’incendio. Quindi, per far cessare la diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e colpì con pene di estrema crudeltà coloro che, odiati per il loro comportamento contro la morale, il popolo chiamava Cristiani. Colui al quale si doveva questo nome, Cristo, nato sotto l’impero di Tiberio, attraverso il procuratore Ponzio Pilato era stato messo a morte; e quella pericolosa superstizione, repressa sul momento, tornava di nuovo a manifestarsi, non solo in Giudea, luogo d’origine di quella sciagura, ma anche a Roma, dove confluisce e si celebra tutto ciò che d’atroce e vergognoso giunge da ogni parte del mondo. Quindi dapprima vennero arrestati coloro che confessavano, in seguito, grazie alle testimonianze dei primi, fu dichiarato colpevole una grande moltitudine di persone non tanto per il crimine di incendio, quanto per odio nei confronti del genere umano. E furono aggiunti anche scherni per coloro che erano destinati a morire, che, con la schiena ricoperta di belve, morissero dilaniati dai cani, o che fossero crocefissi o dati alle fiamme e, tramontato il sole, utilizzati come torce notturne. Per quello spettacolo Nerone aveva offerto i suoi giardini ed allestiva uno spettacolo al circo, confuso fra la folla in abito da auriga o salendo su una biga. Quindi, benché le punizioni fossero rivolte contro colpevoli ed uomini che si meritavano l’estremo supplizio, sorgeva una certa compassione nei loro confronti, come se i castighi non fossero stati inflitti per il bene pubblico, ma per la crudeltà di un solo uomo”.
Clemente, I Cor, V-VI: “Per invidia e per gelosia le più grandi e giuste colonne furono perseguitate e lottarono sino alla morte. Prendiamo in considerazione i buoni apostoli. Pietro per l’ingiusta invidia non una o due, ma molte fatiche sopportò, e così, dopo aver reso testimonianza, s’incamminò verso il meritato luogo della gloria. Per invidia e discordia Paolo mostrò il premio della pazienza. Per sette volte portando catene, esiliato, lapidato, fattosi araldo nell’Oriente e nell’Occidente, ebbe la nobile fama della fede. Dopo aver predicato la giustizia a tutto il mondo, giunto al confine dell’occidente e resa testimonianza davanti alle autorità, lasciò il mondo e raggiunse il luogo santo, divenendo il più grande modello di pazienza. Intorno a questi uomini che piamente si comportarono si raccolse una grande moltitudine di eletti, i quali, dopo aver sofferto per la gelosia molti oltraggi e tormenti, divennero fra noi bellissimo esempio. Per gelosia perseguitate, donne Danaidi e Dirci, dopo aver sopportato oltraggi terribili ed empi, si misero sulla sicura via della fede, esse che fisicamente erano deboli”.


Dai questi due tesi, in relazione fra loro,  la Guarducci deduce:
1. che il martirio di Pietro, di Paolo e della gran moltitudine di cristiani e cristiane sia avvenuto nel 64, essendo gli altri anni occupati dalla repressione della Congiura dei Pisoni e di altri (65-estate 66), dalla incoronazione di Tiridate re d’Armenia (settembre 66), dal viaggio in Grecia di Nerone (66-68);
2. che sia avvenuto nei giardini di Nerone e nel Circo lì esistente, a motivo del fatto che questo era l’unico risparmiato dalle fiamme e che il martirio di Pietro è strettamente legato al Vaticano, come dimostra la presenza della sua tomba e del luogo di culto sovrastante.
L’anno quindi è per la Nostra il 64, l’unico in cui Nerone avrebbe potuto partecipare alle corse svoltesi durante i sanguinosi spettacoli. Ma in che mese? Cediamole la parola: “Ci troviamo, in ogni modo, dopo il 28 luglio, giorno in cui l’immane incendio si estinse. Bisognerà anzitutto escludere un paio di mesi dopo il disastro, per dare il tempo necessario alle prime opere di soccorso, alle prime iniziative per il riassetto di Roma, alle suppliche religiose, non che alle mormorazioni contro l’imperatore che il popolo riteneva colpevole del flagello Si giunge così alla fine di settembre o ai primi di ottobre. D’altra parte bisogna escludere anche gli ultimi due mesi dell’anno, non propizi allo svolgimento di spettacoli all’aperto […] il periodo più probabile ci appare la prima metà di ottobre”[4].
E di questa prima metà del mese, imporporata dai Protomartiri Romani caduti vittima delle fantasie sanguinarie di Nerone e Tigellino, la Guarducci individua anche il giorno preciso del martirio di san Pietro: il 13 ottobre. Su cosa basa tanta sicurezza? Su due dati:
1. le profezie post eventum contenute negli apocrifi Ascensione di Isaia e Apocalisse di Pietro (I-II secolo d.C.) che ci forniscono dati cronologici più che esatti;
2. il fatto che il 13 ottobre del 64 fosse il decimo dies imperii di Nerone, il quale era salito al trono dopo l’avvelenamento del padre adottivo Claudio, appunto il 13 ottobre del 54.
I due testi apocrifi citati “profetizzano” al principe matricida, figlio dell’Ade, reo di aver ucciso Pietro e gli altri discepoli del Signore, che, dopo lo spargimento del sangue di Pietro e degli altri discepolo, avrebbe regnato solamente altri “1332 giorni”. E tornando a ritroso dal 9 giugno 68, giorno in cui Nerone finì ingloriosamente i suoi giorni, si arriva alla data del 13 ottobre 64, decimo anniversario della sua ascesa al trono. Un giorno sacratissimo, solennizzato con sacrifici e spettacoli cruenti: il sangue versato, si credeva, avrebbe giovato ai vivi. E nel caso delle feste per il genetliaco (dies natalis) o l’ascesa al trono (dies imperii) il vivo era un vivo particolare: l’Imperatore, il divus princeps. Leggiamo cosa scrive l’Autrice: “I Cristiani sono stati condannati (questo risulta dal famoso passo di Tacito) per il loro odium humani generis, cioè come nemici dell’Impero, e qui si vede ch’essi vengono sacrificati proprio in occasione della festa in cui – nella persona dell’imperatore divinizzato – si esalta la maestà dell’impero romano”[5].  Pertanto conclude: “Tutto induce a ritenere che il problema lungamente dibattuto circa la data del martirio di Pietro possa – lo ripeto – trovare soddisfacente soluzione nella riposta: 13 ottobre 64”[6]. Il fatto poi che la Chiesa celebri uniti i due Principi degli Apostoli al 29 giugno si spiega facendo riferimento alla commemorazione della traslazione dei due Padri di Roma Cristiana nella Basilica Apostolorum in  Catacumbas sull’Appia (l’attuale San Sebastiano): e questa seconda depositio avvenuta nel 258 sotto il consolato di Tusco e Basso, ai tempi  della persecuzione di Valeriano, eseguita per scampare i copri apostolici dal ludibrio pagano, fece dimenticare le date della prima.


Una scelta di date che non sembra invero casuale perché il 29 giugno, mentre i pagani festeggiavano una festa legata a Romolo, fondatore di Roma pagana, i Cristiani celebravano “la festa natalizia dei due Principi degli apostoli, Pietro e Paolo, o per meglio dire, dietro la persona dei due massimi Apostoli era la festa del primato pontificio, la festa del Papa, il Natalis Urbis, cioè della Roma Cristiana, il trionfo della Croce su Giove scagliafolgori e sui suoi vicari, i Pontifices Maximi residenti nella Regia del Foro. Tant’è vero che Roma vi annetteva questo significato simbolico, che i vescovi della provincia metropolitica del Papa erano soliti in tale giorno di recarsi nell’Eterna Città in segno d’ossequiosa sudditanza, per celebrare si grande solennità insieme col Pontefice”[7].

[1] Girolamo, De viribus illustribus, 1. PL 23, 638B.
[2]  Ivi, 12. PL 23 662°.
[3]  Margherita Guarducci espose questa sua tesi in un articolo apparso su 30Giorni (anno XIV, marzo 1996, p. 79-82): La data del martirio di san Pietro.
[4]  M. Guarducci, La data del Martirio di San Pietro, La Parola del Passato, CXIX, Marzo-Aprile 1968, pp. 103-104.
[5]  Ivi, p. 110. La storia ci fornisce altri esempi di massacri di “nemici dell’impero” occorsi in altri dies imperii i Giudei di Alessandra sacrificati nel dies imperii di Caligola; gli Ebrei gettati alle fiere sotto Vespasiano e Tito; il martirio di san Policarpo nell’anniversario dell’esaltazione al trono di Antonino Pio; il martirio dei Cristiani di Lione nel dies imperii di Marco Aurelio.
[6] Ivi, p. 111.
[7] A. I. Schuster, Liber Sacramentorum, vol. VII, Torino-Roma 1930, p. 298.

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