Sante Messe in rito antico in Puglia

domenica 1 aprile 2018

La resurrezione di Cristo non è un pesce d’aprile

Quando il diritto è dalla parte della Resurrezione. Così si potrebbe titolare questo contributo del prof. Vito Abbruzzi.
La Resurrezione è un fatto storicamente fondato. Non esistono serie argomentazioni contrarie. Non può essere un prodotto della primitiva comunità dei credenti. Non foss’altro perché i testimoni di quest’evento erano viventi quando l’annuncio gioioso della resurrezione fu diffuso. Ce l’attesta S. Paolo, scrivendo la sua prima lettera alla comunità di Corinto, verso l’anno 57 d.C.: «Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto» (1 Cor 15, 3-8). S. Paolo chiama a testimoni della Resurrezione di Cristo (cfr. At. 1, 22) non solo gli Apostoli, ma addirittura ben «cinquecento fratelli», a quali Cristo risorto apparve in una volta sola. Questi «cinquecento fratelli», chiamati sul banco dei testimoni oculari, se l’evento fosse stato una favola, ben avrebbero potuto smentirlo, vanificando la predicazione degli apostoli! Questa testimonianza fondamentale di per sé smentisce la tesi – pur avanzata più volte da teologi e biblisti modernisti - secondo la quale la Resurrezione non sarebbe stata di ordine fisico e storico, ma solo spirituale.
È emblematico che, allorché gli Apostoli decisero di integrare il loro numero di Dodici, eleggendo colui che prendesse il posto lasciato vacante da Giuda Iscariota, richiesero come condizione non solo che il nuovo apostolo, Mattia, fosse stato non solo loro compagno durante la vita di Gesù e testimone del suo insegnamento, ma soprattutto fosse stato «testimone della sua resurrezione», che avesse fatto cioè esperienza viva, tangibile di Lui nei giorni antecedenti la sua ascensione al Cielo (At. 1, 22).
E questo perché???
Se doveva rendere testimonianza a Cristo, alla sua resurrezione, non poteva non essere che un testimone oculare e non già basarsi su un sentito dire … .
D’altronde, che la Resurrezione non sia un prodotto della primitiva comunità cristiana, lo si rileva proprio nella prima esperienza del Risorto che fanno gli apostoli. Quando apparve, infatti, in mezzo a loro, la sera di quel primo giorno, essi – ci riferisce Luca – credettero di vedere un fantasma. Fu Gesù stesso a convincerli che non vedevano uno spirito, ma che era lui, in carne ed ossa, invitandoli a toccarlo. E per convincerli ancora chiese di mangiare qualcosa, gli offrirono del pesce arrostito e lo mangiò davanti a loro (Lc. 24, 36-43). Gli apostoli erano dei pratici, persone concrete, pragmatiche, e non potevano giammai credere se non a fatti concreti, se non a esperienze direttamente fatte. Per questo, credettero solo dopo averlo visto, toccato e mangiato con lui. Nota l’abate Ricciotti nella sua famosa Vita di Gesù Cristo: «… Ora, mentre essi parlavano di queste cose, egli (Gesù) stette in mezzo a loro e dice ad essi: “Pace a voi!”. Divenuti sgomenti e impauriti, credevano di vedere uno spirito. Ed (egli) disse loro: “Perché siete turbati e perché pensieri (dubbiosi) sorgono nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi, giacché sono proprio io! Palpatemi e vedete, giacché uno spirito non ha carne e ossa come vedete che ho io”. E detto ciò mostrò loro le ma­ni e i piedi. Tuttavia, poiché essi ancora non credevano per la gioia e stavano ammirati, disse loro: “Avete qualcosa da mangiare qui?”. Essi allora gli dettero una parte di pesce arrostito, e preso(lo), man­giò davanti a loro (Luca 24, 36-43). Si ricordi che questa scena è nar­rata da un medico e da uno psicologo; la stessa scena narrata da Giovanni (20, 19-23) non concederà tanto campo alle osservazioni sperimentali che sembrano quelle d’un gabinetto di fisica, nè farà sottilmente rilevare che gli Apostoli non credevano per la gioia, ossia per il timore d’ingannarsi, giacché ciò che piace si crede anche troppo facilmente. I dubbi sono dissipati dalla realtà fisica: Gesù nella sua seconda vita ha l’identico corpo della prima vita; può an­che mangiare egualmente come prima. Non è un’ombra vaporosa ri­salita dalla Sheol (§ 79): è un corpo fisico risuscitato, riunito alla sua anima» (§ 632).
Tra l’altro – dettaglio di non poco conto – le testimonianze invocate sono sempre maschili, mai femminili, per evitare di dare adito – secondo la mentalità ebraica e pagana – a vaneggiamenti femminili. Nota sempre il Ricciotti: «Le donne infatti ebbero sempre pessima accoglienza come testimoni della resurrezione di Gesù presso i primi cristiani. Quando le pie donne tornate dal sepolcro riferirono di averlo trovato vuoto e ripeterono l’annunzio degli angeli, i loro discorsi furono stimati una ciancia (§ 623). Qui Maria di Magdala, che riferisce di aver visto Gesù vivo e di avergli parlato, non trova egualmente alcuna fede. Ma anche più tardi, quando gli Apostoli e tutta la Chiesa furono incrol­labilmente ed ufficialmente convinti della resurrezione di Gesù, ri­mase sempre una certa inclinazione a non fare appello a testimonian­ze di donne; nessuna donna infatti è nominata nel celebre passo in cui Paolo adduce, certo non tutti, ma molti testimoni della resurrezione del Cristo: Risorse al terzo giorno secondo le Scritture, e fu visto da Cefa e in seguito dai dodici; poi fu visto da più che cinque­cento fratelli insieme, dei quali i più sono superstiti fino ad oggi men­tre taluni s’addormentarono; poi fu visto da Giacomo, quindi da tutti gli apostoli; ultimo fra tutti, come da un abortivo, fu visto anche da me (1 Cor. 15, 4-8). Tutte testimonianze maschili: nessuna femmi­nile. È probabile che questo contegno della Chiesa ufficiale fosse det­tato da una accorta prudenza, per non dare a Giudei e a idolatri la impressione che troppo leggermente si era creduto sull’attestazione di donne fantasiose e visionarie. È certo ad ogni modo che gli stessi discepoli immediati di Gesù, come apparirà sempre meglio in segui­to, erano tutt’altro che proclivi a prestar fede a chi avesse asserito - uomo o donna che fosse - d’aver visto Gesù redivivo» (§ 626).
Ancora: proprio i nemici giurati di Cristo ed ispiratori e artefici della sua condanna, dinanzi alla testimonianza dei soldati, credettero all’evento. Ma cercarono, nella loro ipocrisia, di mettere la cosa a tacere: «Al contrario, ben pronti a credere si mostrano i Sinedristi a cui si presentarono i soldati fuggiti via dal sepolcro (§ 621). Nel rac­conto fatto dai soldati ancora affannati dalla corsa e sconvolti dalla paura, quei maggiorenti giudei non trovarono nulla d’inverosimile e vi prestarono piena fede; ma naturalmente anch’essi, come già i sol­dati, provvidero ai ripari per salvare insieme se stessi e i soldati. Come al solito, essi cominciarono a stendere pannicelli davanti al sole affinché la luce non trapelasse. I sommi sacerdoti, radunatisi insieme con gli anziani e preso consiglio, dettero molte (monete) d’argento ai soldati dicendo: “Dite: - I discepoli di lui, venuti di notte, lo ruba­rono mentre noi dormivamo! - e se ciò sia udito dal governatore, noi lo persuaderemo e ti renderemo indisturbati”. Quelli allora, pre­se le (monete) d’argento, fecero com’era stato loro insegnato. E si divulgò questo discorso presso i Giudei fino al giorno d’oggi (Matteo 28, 12-15). Il suggerimento dato dai Sinedristi ai soldati fuggiaschi, lo rubarono mentre noi dormivamo, non era un portento d’acutezza; è infatti tut­tora decisiva la replica di S. Agostino, che rivolgendosi in maniera oratoria al Sinedrio gli chiede lepidamente: Ma come? Porti dei te­stimoni addormentati? Molto più efficaci furono le monete d’argento, estratte dallo stesso forziere da cui provenivano quelle di Giuda. Ad ogni modo la calunnia attecchì, e ai tempi in cui scriveva Mat­teo era diventata presso i Giudei la spiegazione ufficiosa del sepol­cro rimasto vuoto: anzi si può vedere in essa il primo seme di quel­la fioritura di calunnie che nei secoli successivi fornì il materiale al giudaismo ufficiale per la biografia di Gesù (§§ 88-89)» (§ 627).
I sinedriti preferiscono far passare i soldati come infedeli e rei di essersi addormentati sul posto di guardia, piuttosto che ammettere la verità! Di qui la loro malafede.
Ogni dubbio, quindi, sulla storicità della Resurrezione non può ragionevolmente reggersi. Non è, dunque, un pesce d’aprile. Come è stato notato, paradossalmente ci vorrebbe più fede nel negare che nell'ammettere il fatto storico della Resurrezione (cfr. Lo sai che che occorre più fede per credere che Cristo non sia risorto, piuttosto che nel contrario?, in Tre sentieri, 1.4.2018; Giuliano Guzzo, Gesù è davvero risorto?, in blog Giuliano Guzzo, 31.3.2018).


Ambito emiliano, Cristo risorto tra SS. Caterina d'Alessandria e Giuda Taddeo, XIX sec., Bologna

Johann Nepomuk Passini, Resurrezione di Cristo, 1842, Trento

Ambito tedesco, Resurrezione di Cristo, 1858, Trento

Peter Molitor, Resurrezione di Cristo, 1866, Trento

Andreas Wolfgang Brennhaeuser, Resurrezione di Cristo, 1875, Sabina

La resurrezione di Cristo non è un pesce d’aprile

di Vito Abbruzzi

Come avevo promesso nel mio articolo pubblicato la vigilia di Natale dal titolo L’arte all’arte e il lupo alle pecore. La storicità del 25 dicembre (v. qui), tratterò adesso, con un linguaggio estremamente chiaro, comprensibile persino ai semianalfabeti (Sant’Agostino, che era innanzitutto un pedagogo, ha scritto un trattato che la dice lunga sull’argomento: De catechizandis rudibus), la fondatezza storico-scientifica della resurrezione di Cristo. E l’occasione mi viene dal fatto che quest’anno la Pasqua cade – quasi per scherzo o per provocazione – il 1° aprile, dimostrando, appunto, che la resurrezione di Cristo non è affatto un pesce d’aprile. O semplicemente, come direbbe San Pietro, una bella ma incredibile favola (nel senso letterale del termine: impossibile a credersi) artificiosamente inventata (cfr. 2 Pt 1,16).
Ed a distanza di duemila anni di storia quali argomentazioni scientifiche possiamo portare avanti a dimostrazione che Cristo è risorto, ed è risorto veramente? Quelle forniteci dalla scienza giuridica. Sì, perché anche la giurisprudenza è scienza, in quanto si avvale di criteri oggettivamente validi e inoppugnabili. Nel caso della resurrezione di Cristo abbiamo le testimonianze di coloro che si dicono «testimoni oculari della sua grandezza» (2 Pt 1,16): gli Apostoli, e con loro tutti i Discepoli di Gesù (comprese le donne, sebbene non godessero allora di credibilità). E non solo hanno visto con i propri occhi, ma che anche hanno toccato con le proprie mani (cfr. 1 Gv 1,1).
Dai racconti evangelici noi sappiamo che dapprima essi fanno la constatazione del sepolcro vuoto, pensando ad un classico furto di cadavere. Ma la sera stessa di quel giorno, mentre a porte chiuse sono a tavola, nel bel mezzo della cena, appare loro Gesù. Gioia grande da una parte, spavento mortale dall’altra. Ma Gesù non è un fantasma, e glielo dimostra abbracciandoli e sedendosi a tavola con loro. Ma provvidenzialmente manca Tommaso: l’incredulo per antonomasia; colui che se non vede non crede; colui che non si fida di nulla e di nessuno; colui che, in nome della prudenza, non vuol passare (e far passare gli altri con lui) per credulone, ma per vero credente. Una prudenza ascoltata tanta volte dalla viva voce di mio padre, e da lui solo, che saggiamente nelle decisioni importanti mi esortava: «Pinzә a mèlә p’acchièrtә bbunә!». Alla lettera: “Pensa a male per trovarti bene”.
La prova di San Tommaso è per noi determinante. A cosa non crede San Tommaso? O, meglio, a cosa egli crede in prima battuta dalle parole entusiastiche degli altri che gli riferiscono di aver visto il Signore? Che siano stati tutti vittima di un’allucinazione collettiva: un po’ per il grande dolore del lutto di una persona cara, che nei primi momenti subito dopo i funerali si desidera ardentemente di vedere e toccare ancora come se fosse ancora viva, e un po’ perché a tavola gli ebrei – si sa – alzano il gomito e, dunque, perdono di lucidità perché brilli. Ma, al di là di questo, San Tommaso non crede che Gesù sia morto realmente, ma solo apparentemente; e se non è veramente morto, non può nemmeno dirsi veramente risorto. Dalla sua Tommaso ha il fatto che il corpo esanime di Gesù fu frettolosamente schiodato dalla croce, chiuso e sigillato nel sepolcro, dando per certo che fosse morto, escludendo da parte dell’autorità romana la necessità di vegliarne il cadavere, almeno per ventiquattro ore (come è la prassi odierna). Per questo Tommaso vuole vederci chiaro, esclamando: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò» (Gv 20, 25). Il suo è un vero e proprio esame medico-legale! Bellissima, in questo senso, la Incredulità di San Tommaso di Caravaggio, in cui si vede plasticamente un Tommaso (e con lui gli altri due discepoli appena dietro di lui) ispezionare a fondo la ferita del costato: ferita che per la sua profondità era già per il Centurione la prova del nove del decesso di Gesù, quando questi «dando un forte grido, spirò» (Mc 15, 37). Ma San Tommaso è San Tommaso.
Ma alla fede di San Tommaso possiamo opporre la nostra incredulità, accusando lui e gli altri discepoli di mistificazione. Domenico Laruccia, un mio amico agnostico, scrisse un libro dal titolo Religione e mistificazione, pubblicato poi come Riflessioni e memorie di un ateo dialogante, a cui il sottoscritto ha dato un piccolo contributo (qui). Ma qui è la scienza giuridica, con la sua autorevolezza, a dirci che Cristo è veramente risorto, a motivo dei suoi testimoni, i quali non possono non essere giudicati che credibili: intrinsecamente ed estrinsecamente. A livello intrinseco: non si sono mai contraddetti. A livello estrinseco: ci hanno messo la faccia e ci hanno rimesso la vita. E dopo duemila anni ancora la fede nella resurrezione di Cristo è una verità; anzi è la Verità, che persino un giudice dichiaratamente ateo non può negare.
Santa Pasqua di Resurrezione.

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