Sante Messe in rito antico in Puglia

sabato 21 luglio 2018

La vita consacrata sottostimata: autolesionismo dello stesso cattolicesimo

Pubblichiamo volentieri questo simpatico contributo del nostro amico Franco Parresio; articolo quanto mai attuale anche a seguito della recente polemica sollevata dall’Istruzione vaticana Ecclesiae Sponsae Imago, in special modo dal § 88, che renderebbe, secondo fondate voci critiche, la verginità … non più necessaria, o meglio non più requisito necessario per accedere all’Ordo virginum (cfr. M. Gatti, "La verginità non è necessaria". E le Spose di Cristo insorgono, in Il Giornale, 17.7.2018, nonché in Corrispondenza romana, 20.7.2018; O. Rudgard, Consecrated virgins need not be virgins, says Vatican, in The Telegraph, July 16th, 2018; V. Ecclesiae Sponsae Imago, in Consecrated Virginity). 
Buona lettura, dunque.

Edmund Blair Leighton, Maternity, 1917, collezione privata

La vita consacrata sottostimata: autolesionismo dello stesso cattolicesimo

di Franco Parresio

Da quando Bergoglio, incontrando più di un anno fa (sabato 28 gennaio 2017 nella Sala Clementina) i rappresentanti degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica, riuniti in Sessione Plenaria per riflettere sul tema della fedeltà e degli abbandoni (vqui), ha parlato di vera e propria «“emorragia” che indebolisce la vita consacrata e la vita stessa della Chiesa», si è visto un fiorire di articoli su questo scottante tema; uno è quello del teologo Giulio Meiattini, benedettino della Scala di Noci, dal titolo C’è posto per la vita consacrata? La debolezza dell’ecclesiologia recente, pubblicato su Apulia Teologica. Rivista della Facoltà Teologica Pugliese (anno 2, luglio-dicembre 2017, pp. 435-464). 
Luise Max-Ehrler,
The Latest Trends, 1920
È proprio il Meiattini ad usare le due espressioni forti che fanno da titolo a questo articolo, incolpando «la teologia corrente (che si insegna e che si studia)», che, con la «svolta antropologica» e la «conversione pastorale», ha finito per sottostimare «uno stile di vita che “rinuncia” in vista di un trascendente non verificabile» (ivi, p. 436).
«Ora, se è vero che “l’attacco specifico ai religiosi”, manifestatosi dalla rivoluzione francese fino alle leggi di secolarizzazione dell’Ottocento e alle persecuzioni comuniste nel secolo scorso, “manifesta che la loro vita è una caratteristica vitale del cattolicesimo”, che appunto si voleva colpire in loro, e se è vero che “l’ecologia cattolica subisce una vera crisi per il disboscamento della foresta, rappresentata dalle comunità religiose”, allora c’è da domandarsi se il silenzio, la sottovalutazione o il raro e modesto apprezzamento che la vita religiosa ha ricevuto nella più qualificata riflessione ecclesiologica post-conciliare non manifestino, in modo sotterraneo, una forma di autolesionismo dello stesso cattolicesimo. […] Tacere sulla vita consacrata o presentarla in modo insufficiente e marginale è un vulnus per l’intera Chiesa. Direi perciò, e ancora di più, che non si tratta neppure semplicemente di una debolezza dell’ecclesiologia attuale, ma di un segno di debolezza dell’ecclesiologia in quanto tale» (ivi, pp. 460-461).

Alla luce di quest’ultima battuta mi è sorto un simpatico sospetto: che il buon Don Giulio abbia letto il mio articolo (pubblicato qualche mese prima del suo) su questo blog dal titolo La crisi del tomismo e il “pensiero debole” a proposito della emorragia di religiosi (vqui), nel quale – guarda caso – lo cito. Ma il sospetto diventa meno simpatico giacché anche la sua analisi appare come il goffo tentativo autoassolutorio, rifuggendo la scomoda autocritica e puntando il dito contro la «neo-manualistica ecclesiologica post-conciliare, dalla quale risulta un prevalente oblio della vita religiosa e/o consacrata» (Meiattini, op. cit., p. 437). Mi verrebbe da chiedergli: quanto gli stessi ordini religiosi sono stati e sono capaci di autopromuoversi? Poco o nulla, e per giunta male… molto male! E questo dal momento che i religiosi si comportano da secolari, anzi di più, con una mentalità tutta mondana (vedi l’abbigliamento firmato indossato da molti di loro). Un amico mi riferiva scandalizzato di un giovanissimo frate con i sopraccigli depilati secondo la moda corrente. Io stesso ho visto un padre cappuccino (non più giovane), come questo frate, in più vestito con jeans un po’ laceri, ma nuovi e, per giunta, costosi, perché così si usa oggi. Alla faccia della povertà vera e anche di quella evangelica!

Pietro Aldi,
Fra Filippo Lippi corteggia la sua modella Lucrezia Buti,
1879, Kelvingrove Art Gallery and Museum, Glasgow
Questi religiosi si salvano solo perché appaiano simpatici agli occhi di quelli che affollano (oramai pochi) le sagrestie. Ma non incantano nessuno!

Ma il problema, che sembrerebbe riguardare più gli ordini di vita attiva, riguarda pure quelli di vita contemplativa, anch’essi oramai seriamente in crisi di identità, tutt’una con la crisi di vocazioni: tanto in entrata, tanto in uscita. Soprattutto quest’ultima, significata dalla sopradetta emorragia di religiosi, che ogni anno, in modo impressionante, abbandonano la vita consacrata.

Che cosa li induce all’abbandono? La durezza della vita religiosa? O non piuttosto la mollezza e la rilassatezza con la quale molti conventi e monasteri vivono la propria regola?

Qui non voglio cavalcare la polemica sollevata circa una ventina di anni fa in Via col vento in Vaticano – libro scandalo pubblicato da un gruppo di ex officiali di Curia con lo pseudonimo de “I Millenari” (vqui) –, in cui un capitolo (il diciannovesimo) mette sullo stesso piano «potere, vegetanza e celibato», ma far riflettere sul fatto che c’è poco da scherzare… quantunque si cerchi di mascherare il tutto col prenderci per mano, abbracciarci e baciarci come vecchi amici (pur conoscendoci molto superficialmente!), e – perché no!? – banchettando ad ogni occasione, nel rispetto della regola oramai consolidata che tutto debba finire a tarallucci e vino. Tanto alla fine ciò che conta è: vogliamoci bene!

Concordo con Meiattini quando scrive: «Il capitolo VI della Lumen gentium e il decreto Perfectae caritatis è come se non fossero mai stati scritti» (Meiattini, op. cit., p. 438); ma mi chiedo, e gli chiedo: solo colpa del post Concilio con «opere di ecclesiologia che tacciono del tutto sull’argomento» (ivi, p. 437)? O non già del Concilio stesso, a più di cinquant’anni dalla sua conclusione ricordato ancora con l’incipit della Gaudium et spes: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo»? Una frase, questa, ripetuta non molti giorni fa dall’arcivescovo di Taranto, intervenuto a Il libro possibile di Polignano a Mare (BA). Quella frase – per come è da sempre enfatizzata – costituisce, secondo me, il vero “vulnus per l’intera Chiesa”! E ciò già all’indomani della conclusione del Concilio. Una prova? L’inchiesta, prima e dopo il Concilio, di Sergio Zavoli sulla vita claustrale femminile. In particolare ricordo l’intervista a una giovanissima monaca carmelitana, che, da dietro la grata, parlava di piena realizzazione di sé, nonostante le signorili provocazioni di Zavoli; la stessa, qualche anno dopo la conclusione del Concilio, contattò il nostro giornalista, per metterlo al corrente della sua nuova scelta di vita: la ex monaca, non più giovanissima, appariva a colori e vestita con abiti secolari, più disinvolta e sicura di sé. Aveva lasciato il carmelo insieme ad una consorella, per condurre con questa, da consacrata laica, una vita nel mondo. Oggi, con ogni probabilità, sarebbe rimasta monaca, dal momento che non è più il mondo a cercare i conventi, bensì il contrario. La dimostrazione qualche giorno fa di una carmelitana, autorizzata dalla sua superiora a uscire dalla rigida clausura per… portate il proprio cane di razza ad un concorso di bellezza. Ci mancava la suora cinofila! Forse per dirci ancora una volta che suora o frate è bello? Certo, se si è nel mondo e del mondo! Un mondo che applaude, rimanendo indifferente al messaggio cristiano della salvezza.

Allora come adesso è quell’incipit dianzi ricordato della Gaudium et spes a dover essere seriamente interrogato. Perché da esso dipende tutto il resto, in primis l’interpretazione in chiave mondanistica delle stesse costituzioni conciliari, tra cui spicca la Sacrosanctum Concilium, dove la troppa comprensibilità della Liturgia ha portato questa a svuotarsi della cosa più seria e più importante per l’uomo: il Sacro. E questo Don Giulio dovrebbe capirlo, insegnando al Sant’Anselmo, dove – ho motivi di credere – sia stato confezionata proprio la Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia. La riforma liturgica parla benedettino! Lo sosteneva nelle sue lezioni un noto professore di Teologia liturgica, formatosi al Sant’Anselmo negli anni immediatamente dopo il Concilio, non perdendo occasione di esaltare quello ritenuto il padre della riforma liturgica: Odo Casel. Ma, allora, perché oggi tra i più agonizzanti ci sono proprio i monasteri benedettini che hanno propugnato la riforma liturgica, a differenza di quelli che, invece, non vi hanno aderito e che sono addirittura in crescita? Perchè la loro è innanzitutto una crisi di identità! Lo dimostrano le sperimentazioni sincretistiche col buddismo tibetano iniziate dal trappista Thomas Merton cinquant’anni fa e portate avanti sino ai giorni nostri (si sente sovente parlare di monasteri benedettini che proprongono corsi di esercizi spirituali con tecniche yoga). Senza tener minimamente conto che il buddismo è religiosamente ateo. È chiaro che un giovane, seriamente intenzionato ma scarsamente motivato dai diretti superiori e confratelli, resiste poco in monastero. Tanto vale essere un buon laico piuttosto che un cattivo religioso… sebbene anche da buon laico non è affatto semplice vivere oggigiorno il proprio cristianesimo. Ma è importante che l’inclito Ordine Benedettino (come è chiamato nell’incipit della Mediator Dei) torni a risplendere dell’originaria bellezza, amando la liturgia gregoriana, che trova la sua più alta espressione nell’usus antiquior del Rito Romano, sull’esempio di quei pochi monasteri in decisa crescita perché lo hanno abbracciato… a differenza di tutti gli altri che, invece, pur storicamente importanti e prestigiosi, rischiano di chiudere, rimanendo tuttavia irremovibili sulla assoluta bontà della riforma liturgica, dichiarata dal magistero bergogliano “irreversibile”… esattamente come il coma.

Intanto stiamo a vedere. Chi vivrà vedrà.

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