Sante Messe in rito antico in Puglia

martedì 15 febbraio 2011

Riflessioni sulla transustanziazione

di P. Giovanni Cavalcoli, OP

Gli abusi liturgici, soprattutto nella celebrazione della S. Messa, oggi spesso lamentati da molti cattolici zelanti fino a giungere allo stesso Sommo Pontefice, sono di varia entità e presentano molti aspetti: si va da atteggiamenti arbitrari che toccano piccoli particolari o norme secondarie del rito liturgico sino ad interventi che alterano, sopprimono o deformano parti più importanti per non dire essenziali della Messa, mettendo a rischio o addirittura invalidando la stessa celebrazione eucaristica.
Per cui, in tal caso, resta in qualche modo una certa configurazione esterna della Messa – gesti, vesti sacre, luogo, altare, oggetti, parole, ministri – ma la Messa viene come svuotata dall’interno trasformandosi in una cerimonia ingannevole o in un atto superstizioso.
La celebrazione della Messa è un atto di culto divino che viene compiuto, come è noto, innanzitutto dal sacerdote col concorso dei fedeli, sulla base di una convinzione di fede relativa a quanto Cristo stesso istituì nell’Ultima Cena in preparazione al Sacrificio della Croce che egli avrebbe compiuto il giorno seguente.

Nella Messa il celebrante compie in persona di Cristo sommo Sacerdote della Nuova Alleanza, ciò che Cristo stesso compì in quella circostanza obbedendo al suo comando: “Fate questo in memoria di me”.

La Chiesa, nel corso dei secoli, oltre ad eseguire fedelmente il comando del Signore con la celebrazione della Messa, in forme liturgiche che, senza tradire l’essenziale, sono andate soggette ad una certa evoluzione e ad una pluralità di diversi riti, è venuta poi a spiegare ai fedeli che cosa avviene nel momento centrale della Messa, ossia nel momento in cui il sacerdote pronuncia le parole che Cristo stesso pronunciò nella suddetta circostanza: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”.

La Chiesa ha fissato come dogma o verità di fede quanto avviene in questo momento solenne: la cosiddetta “transustanziazione”, ossia la conversione di tutta la sostanza del pane e del vino nel corpo e nel sangue del Signore, rimanendo gli accidenti o “specie” del pane e del vino. Tuttavia, dopo le parole della consacrazione delle offerte (pane e vino), il pane non è più pane, ma corpo del Signore, il vino non è più vino ma sangue del Signore.

Da notare la differenza tra la transustanziazione e la trasformazione sostanziale. In quest’ultima cambia la forma e resta la materia. Per esempio la materia di un legno che si brucia, perde la forma del legno ed acquista la forma della cenere, ma rimane la stessa medesima materia. Invece nella transustanziazione c’è la conversione non soltanto della forma, ma anche della materia.

La parola “questo” (è il mio corpo) (lat. hoc, gr. tuto) non vuol dire “questo pane”, ma è un nome neutro, che rappresenta il passaggio dal pane al corpo: appunto la transustanziazione. Se infatti si intendesse “questo pane”, si avrebbe l’assurdità che il pane fosse nel contempo il corpo, il che non ha senso.

Si ha allora quella che la Chiesa chiama “presenza reale e sostanziale” di Cristo, corpo, sangue, anima e divinità, nel mistero eucaristico, ossia sotto le specie del pane e del vino. Gesù, come dice S. Tommaso d’Aquino in un suo splendido e famoso inno, è come “velato” sotto le specie eucaristiche. L’anima cristiana, per riprendere le parole dell’Aquinate, nell’Ostia consacrata “adora devotamente la divinità e la umanità che si nascondono sotto queste figure”, s’intende le specie eucaristiche.

Cristo glorioso certamente ora è in cielo; eppure, a modo di sostanza, è presente in tutti gli altari del mondo al momento della consacrazione per essere offerto dal sacerdote al Padre come vittima di espiazione per i nostri peccati e in tutti i tabernacoli del mondo offrendosi alla nostra adorazione e contemplazione, Destinatario e Termine dei nostri sguardi, delle nostre preghiere, dei nostri affetti, delle nostre effusioni d’amore e di somma confidenza.

Possiamo dunque dire che Gesù eucaristico è sull’altare, è nel tabernacolo. Ma dobbiamo ricordarci che si tratta di questa presenza, sì reale, ma mistica ed ineffabile, che non comporta luogo se non in riferimento alle specie eucaristiche e non certo alla sostanza del corpo e del sangue del Signore, la quale sostanza di per sé non è nel luogo se non mediante gli accidenti eucaristici (dal latino accidentes: ciò che cade sotto i nostri occhi, cioè le specie del pane e del vino). Ma gli accidenti del corpo e del sangue di Cristo sono solo in cielo. E quindi sotto questo punto di vista possiamo dire che Cristo non è presente nell’eucaristia così come Egli è ora in cielo. Infatti sempre l’Aquinate nel suo inno esprime il desiderio di vedere un giorno in cielo apertamente quel Gesù che ora in terra egli contempla nascosto sotto i veli eucaristici e presente nel tabernacolo.

Quindi non vale l'osservazione di alcuni che Dio è presente dovunque e che quindi non ha importanza la presenza nel tabernacolo. Non è così: nel tabernacolo c'è una reale presenza, nei termini che ho detto, del Dio incarnato e sacramentato, che è più importante e significativa per noi che non la presenza metafisica, detta ubiquità, della natura divina in ogni luogo, presenza per percepire la quale basta la ragione, mentre la presenza eucaristica è conoscibile solo nella luce della fede. Senza contare la presenza ancora più importante di Gesù eucaristico nel nostro cuore dopo la S. Comunione.

Secondo una dottrina teologica certa, dopo la consacrazione gli accidenti eucaristici non aderiscono alla sostanza del corpo e del sangue del Signore, i cui accidenti sono solo quelli che Cristo possiede in cielo, ma sono miracolosamente sostenuti dall'onnipotenza divina, essendo venuta meno la sostanza del pane e del vino.

Questa separazione degli accidenti dalla loro sostanza è qualcosa che oltrepassa i limiti della nostra ragione e della nostra esperienza è ci è nota solo dalla fede. Dopo la consacrazione i nostri occhi continuano a vedere il colore del pane, il gusto continua a sentire il sapore del pane, il tatto avverte la tangibilità del pane, per cui saremmo portati a credere che tali accidenti nascondano ed indichino ancora la sostanza del pane; e invece la fede ci dice che dietro a quegli accidenti ben reali si cela la sostanza ben reale del corpo e del sangue di Cristo.

E su questo punto purtroppo nella storia della teologia molti sono stati gli errori. Ne accenno solo a qualcuno, perché il rischio di cadervi anche oggi non è affatto aleatorio. Famosa al riguardo è stata la concezione di Lutero in polemica con quella di Ulrico Zwingli, il famoso riformatore svizzero. Lutero credeva nella presenza reale, ma la intendeva non come transustanziazione, ossia come presenza sostanziale sotto gli accidenti del pane, ma insieme col pane. Ossia per Lutero, anche dopo le parole della consacrazione, il pane resta pane, ma Cristo è presente nel pane o, come alcuni ancor oggi dicono, “sotto il segno del pane”. Per questo la concezione protestante non comporta la transustanziazione, ma la cosiddetta “impanazione”. Inoltre Lutero concepiva l'eucaristia solo in funzione alla comunione, ossia come nutrimento, ma rifiutava l'adorazione, per cui non esiste nella tradizione protestante l'uso di conservare il SS.mo Sacramento nel tabernacolo o di presentarlo nell'ostensorio per l'adorazione. Quanto a Zwingli, egli negava qualunque presenza reale sostenendo che le parole della consacrazione “questo è il mio corpo”, significano “questo significa o simboleggia il mio corpo”. Per questo Zwingli parlava di una presenza puramente spirituale.

Analoga concezione ai nostri giorni è stata quella di Edward Schillebeeckx, il quale ha proposto di sostituire la transustanziazione con la “transignificazione” o “transfinalizzazione” sostenendo che pane e vino restano tali, solo che cambia il loro significato o finalità: mentre prima essi facevano riferimento semplicemente al nutrimento fisico, dopo diventano alimento spirituale dell'anima.

Queste concezioni hanno una parte di verità, ma in quanto negano la transustanziazione, presentano un carattere ereticale, condannato dalla Chiesa. Ed oggi purtroppo non sono rari i segni di questa dimenticanza circa la verità della SS. Eucaristia. Essi non sono dati solo dalla diffusione della suddetta eresia, ma – conseguenza logica – da una certa pratica liturgica che per esempio tende a dimenticare l'adorazione eucaristica, il ringraziamento dopo la S. Messa o dopo la Comunione, mentre non è raro vedere ministri della Comunione che la distribuiscono come un barista porta un caffè a un cliente, mentre invece quanto sarebbe opportuno che il ministro, prima di offrire l'Ostia santa, la presentasse almeno per un istante alla adorazione del fedele! E così pure quanta poca devozione si esprime nel sacerdote che fa l'elevazione con un movimento a scatto – su è giù – come se si trattasse di tirare la corda di una campana, anziché, come dovrebbe, fermarsi almeno un attimo a presentare il SS.mo Sacramento all'adorazione sua e dei fedeli!

Infatti il SS. Sacramento non è solo cibo, ma è anche Ostia offerta al Padre per la remissione dei peccati e presenza stessa della SS. Trinità sotto l'umile aspetto del pane e del vino, per cui il fedele nel contemplare questo augustissimo Mistero, dovrebbe poter pregustare la gioia della visione beatifica.

Per concludere voglio fare un'ultima osservazione. E' noto come questa diffusione dell'eresia circa il sacramento dell'Eucaristia (e quindi circa la Messa e il potere del sacerdote) si è verificata dopo il Concilio Vaticano II, mentre prima non esisteva questo problema. Sia ben chiaro che in ciò il Concilio non c'entra per nulla, ma siamo davanti a una delle tante sfacciate falsificazioni del rinnovamento conciliare, che hanno finito per gettare in tante anime buone, ma non sufficientemente illuminate il discredito sullo stesso Concilio. Dovrebbe esser evidente per tutti che per rimediare a questa eresia non c'è bisogno di tornare alla Messa di S. Pio V - per quanto rispettabile essa sia - , ma è sufficiente celebrare dignitosamente e con vera fede la Messa di Paolo VI. Infatti, si tratta semplicemente di due modalità diverse di celebrare l'unica e medesima Santa Messa della Chiesa Cattolica.

La nostra speranza e il nostro voto è che i nostri Pastori, con spirituale discernimento, evangelica parresia e paterna energia, assistiti dallo Spirito di sapienza e di fortezza, non si limitino a generiche condanne degli abusi cerimoniali o ritualistici, ma vadano al fondo del male per estirparlo alla radice, correggendo e disciplinando quei teologi e quei liturgisti che in questo campo importantissimo dell'Eucaristia, della Messa (si tratti del rito antico o del rito nuovo) e del Sacerdozio, si scostano dal vero insegnamento di Nostro Signore Gesù Cristo.

1 commento:

  1. Ottime riflessioni a proposito di un tema decisivo. Ci fa piacere ritrovare un aspetto che avevamo evidenziato velocemente anche noi qualche tempo fa: http://ctonia.wordpress.com/2010/06/30/ostia/
    saluti
    ctonia

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