Sante Messe in rito antico in Puglia

lunedì 28 febbraio 2011

Presentazione a Taranto del nuovo libro di Nicola Bux

1 commento:

  1. Sul Corriere del giorno del 3 marzo 2011 l’amico professore Giovanni Schinaia, col suo bell’articolo intitolato “Un intellettuale non credente e un teologo cattolico si confrontano sul tema della Messa”, annunciava l’evento dell’indomani: la presentazione a Taranto (nel salone del Circolo Ufficiali della Marina) dell’ultima fatica letteraria di Don Bux, “Come andare a Messa e non perdere la fede”, da parte del Prof. Anzoino: « Una storia culturale – la sua – completamente diversa, se non opposta a quella dell’autore ». Sono parole dello stesso Schinaia, che aggiungeva: « Ed è per questo che si prevede un confronto interessante, provocatorio e, per certi versi, inedito ». Sono pienamente d’accordo! Poiché anch’io mi sono trovato in una situazione analoga: dover presentare, da teologo, proprio a Taranto, il 20 novembre 2010, il libro “Riflessioni e memorie di un ateo dialogante”, scritto da Domenico Laruccia per i tipi di Chimienti editore.

    Ma più che di provocazione, qui si tratta di veri e propri “segni dei tempi”, di cui, quasi cinquant’anni orsono, profeticamente parlava nella sua ultima enciclica il beato Giovanni XXIII: la “Pacem in terris”. Una enciclica, questa, unica nel suo genere, indirizzata non solo “ai fedeli di tutto il mondo”, ma anche “a tutti gli uomini di buona volontà”, per i quali “il diritto alla libertà nella ricerca del vero è congiunto con il dovere di cercare la verità, in vista di una conoscenza della medesima sempre più vasta e profonda” (n. 14).

    Schinaia, riferendosi al libro di don Bux, ha parlato di “titolo provocatorio”. Una mia collega, invece, ha usato l’aggettivo “accattivante”, condividendo appieno quanto si legge a pag. 60: « Ciascuno si fa la sua messa e la maggioranza dei fedeli che viene per partecipare alla messa della Chiesa cattolica sopporta o abbandona ». È esattamente il pensiero del Laruccia, che, spiegando nel suo libro le ragioni del proprio “abbandono” nei confronti della pratica religiosa (ma non dei temi religiosi!), dice a chiare lettere di trovarsi sovente nella condizione di dover “sopportare solo la noia e la violenza verbale di […] moralizzatori ossessivi e ossessionati”, col loro “repertorio di intollerabili, monotone banalità”. Espressioni forti che trovano la loro eco in Come andare a Messa e non perdere la fede, quando, tra i “fenomeni di crescente gravità” in campo liturgico, l’Autore denuncia quelle “prediche di sacerdoti e religiosi che enfatizzano tendenze immorali e scelte politiche al punto da causare sconcerto tra i fedeli” (p. 42).

    È importante, allora – stando a quanto egli afferma –, che ogni celebrazione liturgica, ridotta tante volte “a intrattenimento e a spettacolo” (p. 36), torni invero ad “essere raccoglimento nell’ascolto del mistero e nel rendimento di grazie” (ivi). E ciò, come insegnava il beato Schuster, mediante “un coro ben eseguito, delle funzioni celebrate con ordine, con maestà, con devota pompa” (p. 70): tutte cose, queste, capaci – secondo la collaudata esperienza benedettina del cardinale arcivescovo di Milano – di suscitare veramente “una profonda impressione” persino in protestanti, ebrei, persone senza alcuna religione (cf. ivi).

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