Sante Messe in rito antico in Puglia

martedì 28 maggio 2013

La materia del pane eucaristico: una lacuna legislativa


di Vito Abbruzzi

Nella seconda lettura dell’Ufficio delle letture del sabato fra l’ottava di Pasqua (tratta dalle “Catechesi” di Gerusalemme, n. 22) si esorta il catecumeno in questi termini: «Bene istruito […] e animato da saldissima fede, credi che quanto sembra pane, pane non è, anche se al gusto è tale, ma corpo di Cristo».

Orbene, se, come la Liturgia divinamente insegna, Cristo è “il vero agnello che ha tolto i peccati del mondo” (Prefazio di Pasqua), ci viene da chiedere: ma quale dev’essere, preferibilmente, il tipo di pane che, più degli altri, rappresenta il suo Corpo, col quale Egli, offrendosi sulla croce, “divenne altare, vittima e sacerdote”? Su questo punto il Codice di Diritto Canonico è piuttosto generico, limitandosi a prescrivere che “il pane [eucaristico] dev’essere solo di frumento e confezionato di recente” (can. 924, §2), senza specificare la qualità della farina: se di grano tenero (nella fattispecie quella “00”, da sempre utilizzata) o di grano duro (quella di semola rimacinata, utilizzata in tempi recenti). 

Qualcosa di più sembra dircela l’Ordinamento Generale del Messale Romano, che, al n. 320, così stabilisce: «Il pane per la celebrazione dell’Eucaristia deve essere esclusivamente di frumento, confezionato di recente e azzimo, secondo l’antica tradizione della Chiesa latina». Ma nulla sulla qualità della farina, che, come dianzi dicevo, può variare per tipologia e grado di purezza. Sicché possiamo trovare in commercio ostie da messa di ogni tipo, comprese quelle integrali: diverse o concorrenti con quelle di farina “00”, così confezionate “secondo l’antica tradizione della Chiesa latina”.

Ci si rende subito ben conto di essere di fronte ad una sorta di lacuna legislativa, che nemmeno la Redemptionis Sacramentum – “Istruzione su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia” – tenta di colmare. Infatti, al n. 48 di essa viene ripetuto il principio che “il pane utilizzato nella celebrazione del santo Sacrificio eucaristico deve essere azzimo, esclusivamente di frumento e preparato di recente”. Ricordiamo che stiamo parlando di un documento pubblicato nel 2004, “per disposizione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti d’intesa con la Congregazione per la Dottrina della Fede” (n. 186); documento che, per la sua valenza sanzionatoria, richiede la inderogabile “osservanza da parte di tutti coloro a cui spetta” (ivi). 

Qui non si vuole affatto spaccare il capello in quattro o cercare ad ogni costo il pelo nell’uovo – anche perché non l’uomo è stato fatto per la legge, bensì il contrario (cfr. Mc 2,27) –, ma non possiamo trascurare quanto richiamato dalla suddetta Istruzione al n. 12, secondo cui è “diritto della comunità cattolica che per essa si compia la celebrazione della Santissima Eucaristia in modo tale che appaia come vero sacramento di unità, escludendo completamente ogni genere di difetti e gesti che possano generare divisioni e fazioni nella Chiesa”. E i fedeli, che dovrebbero godere “del diritto di avere una liturgia vera e in particolar modo una celebrazione della santa Messa che sia così come la Chiesa ha [da sempre] voluto e stabilito, come prescritto nei libri liturgici e dalle altre leggi e norme” (ivi), si ritrovano sovente a notare delle incongruenze proprio sulla materia del pane eucaristico, che da chiesa a chiesa diverge a motivo della sua composizione. Sicché capita che un parroco prediliga le ostie di farina “00” – quelle così tradizionalmente confezionate – ed un altro quelle di semola rimacinata, come si vuole da quando, interpretando alla lettera la frase del Canone “Prendete e mangiatene: questo è il mio Corpo” (cf. Mt 26,29), ci si comunica sulla mano. Le ostie preparate con farina di grano duro, infatti, risultano essere più spesse e, perciò, più croccanti: più adatte ad essere prese con le dita e, soprattutto, ad essere masticate. Ma i problemi che ne vengono fuori non sono affatto trascurabili, a motivo del colore e del gusto prodotti da questo tipo di farina. Si sa che il pane di semola è alquanto giallognolo e il suo sapore ben diverso da quello del pane bianco, più gradevole. Nel fedele, perciò, che vede e assapora un’ostia ricavata da grano duro può sorgere il sospetto che essa sia vecchia, ravvisandovi un “pericolo di alterazione”; pericolo dal quale mette in guardia il succitato can. 924, §2 del Codice di Diritto Canonico. Una mia alunna, poco tempo fa, ha riferito in classe, durante la mia ora, di essere rimasta alquanto disgustata ricevendo la comunione con questo tipo di ostia, che, non più fragrante, le sapeva di cartone. Idem la sorellina di un altro mio alunno, alla vigilia della sua Prima Comunione, durante le prove generali in chiesa.

I miei alunni dell’Istituto Alberghiero di Castellana Grotte (BA), non hanno dubbi in proposito, dimostrando di essere più preparati e diligenti di tanti soloni cha amano definirsi “liturgisti”. Alla mia domanda: «Se il sacerdote durante la Messa prega con le parole “hostiam puram, hostiam sanctam, hostiam immaculatam” – e “hostia” vuol dire “vittima”, intendendo Cristo, “agnello senza difetti e senza macchia” (1Pt 1,19) – qual è la farina più idonea al confezionamento del pane eucaristico?», essi, senza esitazione alcuna, rispondono: «Quella “00”, a motivo del suo candore e, soprattutto, del suo elevato grado di purezza». Infatti, parliamo di una farina ricavata dal fiore del chicco di grano tenero: la parte amilacea, chiamata, appunto, “fioretto”.

Questa è la fede dei semplici, che, guidati dal buon senso e dal buon gusto, se la ridono di tutte quelle innovazioni liturgiche, al limite dell’essere veri e propri “abusi”; abusi che “non di rado si radicano in un falso concetto di libertà” (Redemptionis Sacramentum, n. 7) e che “trovano […] molto spesso fondamento nell’ignoranza, giacché per lo più si rigetta ciò di cui non si coglie il senso più profondo, né si conosce l’antichità” (ivi, n. 9).

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