Sante Messe in rito antico in Puglia

sabato 29 dicembre 2018

Tre nuovi testi di Mons. Nicola Bux


1. Perché i cristiani non temono il martirio, con Prefazione di Franco Cardini, ed. Fede & Cultura, Verona, 2018, 2° ed.;

2. No Trifling Matter: Taking the Sacraments Seriously Again, with Preface of Vittorio Messori and Foreword of Christopher J. Malloy, Angelico Press, 2018;

3. Cómo ir a misa y no perder la fecon la colaboración de Vittorio Messori, Editorial Stella Maris, 2015, 1° ed.; Ediciones Del Alcazar (Argentina), 2018.

Martiri e violatori del sigillo della confessione

Nella festa liturgica del santo martire Tommaso da Canterbury (o Becket), rilanciamo questo contributo del prof. De Mattei.

Abiti liturgici indossati da S. Tommaso Becket al momento del suo martirio



Martiri e violatori del sigillo della confessione

di Roberto de Mattei


L’inviolabilità del segreto confessionale è uno dei pilastri della morale cattolica. Il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica ricorda che «ogni sacerdote che ascolta le confessioni è obbligato, sotto pene molto severe, a mantenere un segreto assoluto riguardo ai peccati che i suoi penitenti gli hanno confessato. Non gli è lecito parlare neppure di quanto viene a conoscere, attraverso la confessione, della vita dei penitenti. Questo segreto, che non ammette eccezioni, si chiama “sigillo sacramentale”, poiché ciò che il penitente ha manifestato al sacerdote rimane “sigillato” dal sacramento» (n. 1467). Il nuovo Codice di Diritto Canonico, infligge la scomunica latae sententiae al sacerdote che viola il sigillo sacramentale (canone 1388 – §1). Per la Chiesa nessuna ragione può giustificare la violabilità del segreto confessionale, perché, come spiega san Tommaso «il sacerdote è a conoscenza di quei peccati non come uomo, ma come Dio» (Somma teologicaSuppl.,11, 1, ad 2).
Gli Stati cattolici hanno sempre protetto il segreto confessionale. Alexandre Dumas, nel suo romanzo storico L’avvelenatrice, ricorda un episodio tratto dal Tractatus de confessariis dell’arcivescovo di Lisbona Rodrigo da Cunha y Silva (1577-1643): «Un catalano nato nella città di Barcellona, essendo stato condannato a morte per un omicidio da lui commesso e riconosciuto, giunta l’ora della confessione, rifiutò di confessarsi. Tentarono più volte di convincerlo, ma si difese così strenuamente da ingenerare negli altri la convinzione che una tale ribellione nascesse da un turbamento dell’animo causato dall’approssimarsi della morte. San Tommaso di Villanova (148-1555), arcivescovo di Valenza fu avvertito della questione. L’alto prelato decise così di adoperarsi per indurre il delinquente a confessarsi, in modo da non far perdere l’anima insieme al corpo. Ma fu molto sorpreso quando, avendogli chiesto la ragione del suo rifiuto a confessarsi, il condannato rispose che aveva in odio i confessori, essendo stato condannato per l’omicidio proprio a causa della rivelazione fatta durante quel sacramento. Nessuno era venuto a conoscenza di quell’assassinio, tranne appunto il prelato a cui aveva confessato, oltre che il proprio pentimento, anche il luogo dove aveva seppellito il corpo e le altre circostanze del delitto. Il sacerdote aveva poi riferito tutti i particolari alle autorità e per questo l’assassino non aveva potuto negarle. Solo allora il colpevole aveva saputo che il prete era fratello della vittima e che il desiderio di vendetta aveva fatto leva su ogni altro obbligo sacerdotale. San Tommaso da Villanova giudicò quella dichiarazione assai più grave del processo dato che riguardava il prestigio della religione. Le sue conseguenze erano dunque assai più importanti. Così credette opportuno di informarsi sulla veridicità di quella dichiarazione. Convocò il sacerdote e, fattosi confessare quel delitto di rivelazione, costrinse i giudici che avevano condannato l’accusato a revocare il loro giudizio e ad assolverlo. Le cose andarono così fra l’ammirazione e gli applausi del pubblico. Quanto al confessore fu condannato a una fortissima pena, che san Tommaso mitigò, in considerazione della pronta ammissione del sacerdote e soprattutto per la soddisfazione nel vedere come i giudici tenessero in gran contro quel sacramento» (L’Avvelenatrice, Mursia, Milano 2018, pp. 58-60).
La tradizione giuridica occidentale ha sempre rispettato il sigillo confessionale, ma ilprocesso di secolarizzazione degli ultimi decenni, che secondo alcuni avrebbe dovuto giovare alla Chiesa, sta però modificando la situazione. In un recente articolo sul quotidiano di Roma Il Messaggero, la vaticanista Franca Giansoldati, ha scritto che «l’abolizione del segreto confessionale è una ipotesi che avanza implacabilmente, in diversi Paesi, nonostante la forte opposizione degli episcopati»(20 dicembre 2018). I fatti purtroppo danno ragione a questa previsione. In Australia, la regione di Canberra ha approvato una legge che impone ai sacerdoti di venire meno al sigillo della confessione quando fossero a conoscenza di casi di abusi sessuali. In Belgio, il 17 dicembre, padre Alexander Stroobandt è stato condannato dal tribunale di Bruges per non aver avvisato i servizi sociali che un anziano gli aveva manifestato l’intenzione di togliersi la vita. Secondo il tribunale il segreto confessionale non è assoluto, ma può e deve essere violato nei casi dell’abuso sui minori e della prevenzione del suicidio.
In Italia, la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 6912 del 14 febbraio 2017, ha sancito che i religiosi chiamati a testimoniare durante un processo per abuso sessuale, se si rifiutassero di farlo, in nome del segreto confessionale, incorrerebbero nel reato di falsa testimonianza.
Di questi temi si parlerà presumibilmente anche nel vertice tra il Papa e i presidenti delle conferenze episcopali di tutto il mondo, che si terrà a Roma tra il 21 e il 24 febbraio 2019 per discutere su “La protezione dei minori nella Chiesa”. Ma papa Francesco e le gerarchie ecclesiastiche sembrano inchinarsi alle richieste del mondo quando distinguono tra i peccati che costituiscono un crimine per gli Stati laici, come la pedofilia, ed altri che invece dagli Stati moderni sono protetti, come l’omosessualità. Per i primi, gli uomini di Chiesa invocano la “tolleranza zero”, sui secondi tacciono. Di conseguenza, è prevedibile che la legislazione degli Stati moderni imporrà alla Chiesa di applicare la “tolleranza zero” contro la pedofilia, sciogliendo dal segreto confessionale i sacerdoti che vengano a conoscenza di questi reati. In caso contrario, la persecuzione contro il sigillo sacramentale, che è stata un’eccezione nella storia della Chiesa, diverrà la regola degli anni futuri. Per questo è più che mai necessario l’aiuto spirituale di coloro che non indietreggiarono di fronte alla morte pur di rispettare la legge divina.
E’ celebre il martirio di san Giovanni Nepomuceno (1330-1383), torturato e fatto annegare nel fiume Moldava di Praga dal re Venceslao di Boemia per essersi rifiutato di rivelargli quanto la moglie gli aveva detto in confessione. Meno noto è il caso del sacerdote messicano san Matteo Correa Magallanes (1866-1927). Durante la rivolta dei cristeros contro il governo massonico, il generale Eulogio Ortiz, conosciuto per aver fatto fucilare un suo soldato perché portava uno scapolare, fece arrestare padre Matteo, ordinandogli di andare a confessare in cella i “banditi” cristeros, che il giorno dopo sarebbero stati fucilati, e di riferirgli poi quanto da essi saputo in confessione. Il sacerdote confessò i detenuti, ma oppose uno strenuo rifiuto alla richiesta. Il 6 febbraio 1927, il generale Ortiz lo giustiziò con la propria pistola d’ordinanza, presso il cimitero di Durango. Matteo Correa Magallaes fu beatificato il 22 novembre 1992 e canonizzato il 21 maggio 2000 da papa Giovanni Paolo II.
Dimenticato è invece il martire padre Pedro Marieluz Garcés (1780-1825), peruviano. Il religioso, dell’Istituto dei camilliani, partecipò alle guerre di indipendenza del Perù come cappellano del vicerè spagnolo don Josè de la Serna e delle sue truppe, comandate dal Brigadiere José Ramon Rodil y Campillo (1789-1853). Dopo la sconfitta dell’esercito monarchico nella battaglia di Ayacucho (1824), l’esercito di Rodil fu assediato nella Fortezza di Callao e padre Marieluz Garcés rimase con i soldati, per assisterli spiritualmente. Nel settembre 1825, la demoralizzazione delle truppe provocò una cospirazione tra alcuni ufficiali all’interno della fortezza. La trama fu scoperta dal generale Rodil e vennero arrestati tredici ufficiali sospetti, che negarono però l’esistenza di una cospirazione. Il generale Rodil ordinò di fucilarli e chiamò padre Marieluz per ascoltare le loro confessioni e prepararli alla morte. Alle nove di sera furono tutti giustiziati. Il generale però non era certo di aver scoperto tutti i cospiratori e convocò il cappellano, per chiedergli, in nome del Re, di rivelargli quanto gli era stato rivelato in confessione a proposito della congiura. Padre Marieluz oppose un deciso rifiuto, facendo appello al segreto confessionale. Rodil lo minacciò, accusandolo di tradire il Re, la patria il suo generale. «Io sono fedele al re, alla bandiera e ai miei superiori, ma nessuno ha il diritto di chiedermi di tradire il mio Dio. Su questo punto non posso obbedirvi», rispose con fermezza il sacerdote. A questo punto Rodil spalancò la porta e ordinò a un plotone di quattro soldati di entrare con i fucili pronti a sparare. Poi fece inginocchiare il religioso e gli gridò: «In nome del Re ti chiedo per l’ultima volta: parla!». «In nome di Dio non posso parlare», fu la tranquilla risposta di Pedro Marieluz Garcés, che pochi istanti dopo cadde colpito a morte, martire del segreto confessionale. Rodil al suo rientro in patria, fu insignito del titolo di marchese, divenne deputato, senatore, presidente del Consiglio dei Ministri, Gran Maestro della Massoneria. Pedro Marieluz Garcés attende di essere beatificato dalla Chiesa.

martedì 25 dicembre 2018

Magnificat al termine del Santo Giorno di Natale



Il senso del Natale. Quel 25 dicembre del 1914 .... la c.d. tregua di Natale .... Quando il Signore unisce




Benedizione "Urbi et Orbi" del Sommo Pontefice


Auguri di Santo Natale per i lettori del Blog

Nel Santo Giorno di Natale non possiamo dimenticare il Festeggiato, la vera Luce del Mondo, che nessuno può fermare, nonostante i suoi nemici.
L’augurio del nostro Blog è, quindi, di ricordare che il Natale è questo ricordo. Tutto il resto, benché scintillante, distrae l’attenzione dal vero Protagonista, il Signore Gesù.
D’altro canto, come nota il prof. Massimo Viglione in un suo post, «Tre Natali della nostra fede, della nostra civiltà, della nostra storia.
- Natale dell'anno 800: in San Pietro, un Re conquistatore e profondamente cristiano, in ginocchio davanti al Vicario di Cristo, come i Re Magi si inginocchiarono a Cristo, viene incoronato Imperatore: nasce simbolicamente la Res Publica Christiana, la nostra società, la più grande civiltà mai esistita;
- Natale 1223: a Greccio, un umile frate di nome Francesco, tutto ricolmo di amore per Cristo, "inventa" il presepe: segnando da quel momento la storia stessa di tutte le chiese e le famiglie cattoliche;
- Natale 1914: nel momento tragico del più grande massacro della storia umana, preparato e voluto al fine della distruzione della società nata simbolicamente nel Natale dell'anno 800, i soldati del fronte franco-tedesco, spontaneamente, escono dalle trincee per vivere un momento di fratellanza in nome del Santo Natale.
Nei giorni in cui il Natale è divenuto coca-cola, rossetto e lingerie, nei giorni in cui gli stessi preti della "neo-chiesa" bestemmiano il presepe o lo buttano nell'immondizia per far posto alla nuova "religione" del migrante mondialista, nei giorni del... "Buone feste"... ricordare questi tre meravigliosi istanti della nostra civiltà è senz'altro opera utile. Il Natale è solo la festa della venuta al mondo della Luce del Mondo, della Salvezza, della Speranza. Dal Natale è nata la nostra civiltà, siamo nati noi» (Fonte: Facebook, 24.12.2018).
Il nostro augurio non è “scomodo”. Oggi, ma anche ieri, gli auguri scomodi erano quanto di più conformista e radical-chic ci potesse essere, impregnati com’erano di sentimentalismo buonista, mondialista, ecc., distraendo dal vero Protagonista ed allontanando l’attenzione dal Mistero che si compì in quell’oscura cittadina della Giudea, Betlemme, il cui nome, in ebraico, Beit Leem, è “Casa del Pane” ed, in arabo, Bayt Lam, “Casa della Carne”. Pane e Carne, ecco racchiuso nel nome di quel luogo tutto il Mistero, che si compì e che avrà il suo culmine nel Sacrificio del Calvario: il Figlio di Dio si fa Carne e Pane (nell’Eucaristia) per noi.
Questo i cristiani, estatici, devono contemplare e per il quale devono rendere gloria a Dio, come gli angeli, che portarono l’annuncio ai pastori in veglia al loro gregge: Gloria in excelsis Deo!
Per questo, il nostro augurio a tutti i frequentatori e lettori del Blog non può che essere quello evangelico, che pone al centro di tutto non l’uomo, ma il Verbo:




In principio erat Verbum,
et Verbum erat apud Deum,
et Deus erat Verbum.
[…]
Erat lux vera,
quæ illuminat omnem hominem
venientem in hunc mundum.
In mundo erat,
et mundus per ipsum factus est,
et mundus eum non cognovit.
In propria venit,
et sui eum non receperunt.
[…]
Et Verbum caro factum est,
et habitavit in nobis :
et vidimus gloriam ejus,
gloriam quasi unigeniti a Patre
plenum gratiæ et veritatis.
(Joan. 1, 1. 9-11. 14)

Auguri di Santo Natale nel Signore!!!




Pensiero ed augurio natalizio per il nostro blog da parte di Mons. Nicola Bux

Abbiamo ricevuto questo pensiero e messaggio di auguri da parte di Mons. Nicola Bux per tutti i lettori ed i frequentatori del nostro Blog, che, ovviamente, molto volentieri, ricambiamo.





Il mistero della venuta di Gesù Cristo nel mondo, trova in San Paolo l'interprete efficace. Nella lettera a Tito (2, 11-13), infatti, egli dice: è apparsa la grazia del nostro Salvatore, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini. La manifestazione del Verbo fatto carne è, propriamente parlando, la grazia di Dio che si fa visibile. Si tratta della vita divina che salva tutti gli uomini che la accolgono, insegnando e soprattutto dando la forza di rinnegare l'empietà, ossia la vita come se Dio non esistesse, l'idolatria; insegna inoltre a rinnegare i capricci o desideri mondani che portano l'uomo ad andare contro natura. La grazia soprattutto dà la forza di vivere con sobrietà, giustizia e pietà, tre virtù che salvano l'uomo dal peccato e incrementano la speranza di vivere con il Signore in questo mondo e nell'eternità. È questa la preghiera e l'augurio vero che possiamo scambiarci in questa Solennità.

Mons. Nicola Bux

lunedì 24 dicembre 2018

La prima trasmissione televisiva della S. Messa, Parigi, 24 dicembre 1948


La prima trasmissione televisiva della S. Messa della notte di Natale avvenne nel 1948, esattamente 70 anni fa, dalla cattedrale di Parigi, pontificante l'em.mo card. Emmanuel Suhard, arcivescovo della capitale francese. Fu un evento mondiale ed eccezionale che si dové a Padre Raymond Pichard, domenicano.

200° anniversario del canto "Silent Night"

Esattamente 200 anni fa nasceva una delle più celebri melodie natalizie, Silent NightStille Nacht, resa in italiano con Astro del Ciel, venendo eseguita per la prima volta in questo giorno di due secoli fa, nella chiesa cattolica di San Nicola a Oberndorf, presso Salisburgo. Vogliamo ricordare, dunque, quest’importante anniversario con quest’articolo (in inglese).


PETER KWASNIEWSKI

Exactly 200 years ago today, on December 24, 1818, the beloved Christmas carol “Silent Night” (Stille Nacht), with words by the priest Josef Mohr, set to music by organist Franz Xaver Gruber, was given its first performance at St. Nikolaus Parish Church, in Oberndorf bei Salzburg, Austria.
It may come as a surprise to learn that the original carol featured a guitar accompaniment. The Wyoming Catholic College Choir recorded this version (taken from The New Oxford Book of Carols) on its Christmas in God's Country CD in 2008. One senses immediately the music's kinship with the charming folksongs of the Austrian countryside:


Partly from affection for the lovely tune, and partly from a desire to give the piece a somewhat darker complexion, I made my own arrangement of it in 2010, for SATB choir, with a double descant on the second verse and an optional flute accompaniment on the third verse. For anyone who might be interested in singing it, I have placed the score (which is contained in my book Sacred Choral Works) at the foot of this article. The following rendition, sung by the St. Mary’s Oratory Choir under the direction of Patrick Burkhart, uses the SATB setting for all three verses, without descant or flute:


There is an emotional power and spiritual force in certain Advent and Christmas carols that never fades, even as so much else changes in the Church and in the world. “Silent Night” is a particularly fine example: for all its simplicity and even, in a way, its sentimentality, in lands where the carol has taken root Christmas would somehow seem incomplete without it. “Adeste, Fideles” is another such, and many more could be cited.
In a book called The Ministry of Catechising, which originally appeared in French in 1868 (an English translation appeared in 1890 in London), Bishop Felix Dupanloup recalled memories of his First Communion:
We were delighted with the hymns. We sung them with all our heart, and gradually, by the sweetness or the energy of the singing, the thoughts and maxims of the faith were grafted in our souls. To say the truth, it was the life of the Catechism. Without the hymns, it would all have been very cold. For me, it was the hymns more than anything which converted me and bound me forever to religion.
While we know that the Mass itself is not the optimal place for hymns, which belong more correctly in the Divine Office (with the exception of the Gloria and, if one considers it a hymn, the Sanctus), nevertheless there is an important truth to which Dupanloup bears witness: the value of singing together beautiful vernacular religious songs that have the power to shape the senses, imagination, and memory, and through them, to shape the heart and mind.
We are so blessed with a rich repertoire of famous Advent, Christmas, and Epiphany carols, hymns, and songs, and we should use them abundantly in our homes, in youth groups, in prayer meetings or Adoration, when caroling in the neighborhood, visiting a nursing home or prison, or any other appropriate setting. Let us not surrender the world of sound to secular content, but fill it with joyful singing! It is, in more ways than one, a corporal and spiritual work of mercy.
Children, especially, deserve to have glowing memories of carols, just as Dupanloup recounts. This is a preaching of the Gospel “before the age of reason,” a preaching to all the powers of the soul, not just to the intellect, which has been excessively emphasized in recent decades. Catechesis begins with the senses and the imagination.
In their memoirs, the Ratzinger brothers Joseph and Georg recount how their family circle was often enlivened by the sound of singing and instruments, and how their earliest memories are bound up with music and Christian songs. One of these men went on to become an eminent musician and choral director, while the other went on to become Pope Benedict XVI. While I can’t promise that your boys will have such illustrious careers, there is no question that part of the restoration of Catholic culture is a robust culture of family and community singing.




Santi Adamo ed Eva

Nella commemorazione dei Santi Antenati di Gesù, un posto di rilievo hanno Adamo ed Eva, i nostri progenitori. Rilanciamo questo contributo.
La tradizione orientale, non avendo il periodo di Avvento, dedica nondimeno due domeniche alla preparazione del Natale. Nella prima di queste, corrispondente alla III domenica dell'Avvento romano (la ben nota domenica Gaudete), cioè la penultima domenica prima del Natale di Nostro Signore, la tradizione bizantina celebra la domenica dei Santi Progenitori, in onore di tutti gli antenati secondo la carne del Nostro Salvatore, da Adamo fino a Giovanni Battista. Essa cade tra l’11 ed il 17 dicembre (cfr. P. Romano Scalfi, Memoria dei santi progenitori, in Cultura cattolica.itDomenica dei santi Progenitori, in Traditio Marciana, 15.12.2018).
Rilanciamo questo contributo sui Santi Adamo ed Eva.








Santi Adamo ed Eva

Il 24 dicembre ricorre la memoria liturgica dei santi antenati di Gesù, tra i quali la Chiesa venera Adamo ed Eva. Dopo il libero compimento del peccato originale e la cacciata dall’Eden, i nostri progenitori vissero una vita di preghiera e penitenza - come i Padri della Chiesa hanno insegnato e in accordo alle tracce contenute nell’Antico Testamento - morendo riconciliati con Dio


Il 24 dicembre ricorre la memoria liturgica dei santi antenati di Gesù, tra i quali la Chiesa venera Adamo ed Eva. Dopo il libero compimento del peccato originale e la cacciata dall’Eden, i nostri progenitori vissero una vita di preghiera e penitenza - come i Padri della Chiesa hanno insegnato e in accordo alle tracce contenute nell’Antico Testamento - morendo riconciliati con Dio e in attesa della salvezza promessa per i giusti che si sarebbe compiuta con il nuovo Adamo, Cristo, incarnatosi grazie al fiat della nuova Eva, Maria, inizio di una nuova creazione che supera in gloria l’originaria perché redenta dai meriti di Nostro Signore, obbediente fino alla Croce. In questo senso la liturgia pasquale recita: O felice colpa, che ha meritato un tale e così grande Redentore.

Adamo ed Eva vissero e morirono perciò nella speranza della redenzione, che era stata misteriosamente predetta da Dio proprio dopo la loro disobbedienza, nel mentre di quel primordiale dramma in cui pensarono di non poter recuperare l’amicizia con Lui (ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto), che invece non li abbandonò, annunciando nelle parole rivolte al serpente tentatore ciò che la Tradizione ha chiamato «protovangelo» della salvezza, poiché, spiega il Catechismo, «è il primo annunzio del Messia Redentore, di una lotta tra il serpente e la Donna e della vittoria finale di un discendente di Lei». Si tratta del celebre versetto della Genesi: Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno (Gn 3,15). È l’inizio del combattimento spirituale che da allora accompagnerà la vita terrena di ogni uomo, chiamato a combattere, con l’aiuto della grazia di Dio, per restare unito al bene.

L’esperienza di Adamo ed Eva - creati in uno stato di santità e giustizia originali, partecipi della vita divina, in perfetta armonia tra loro e con tutta la creazione, dove non esistevano né morte né sofferenze - mostra già all’inizio della storia dell’uomo l’infinita misericordia di Dio, che cerca fino all’ultimo di attrarre a Sé la sua creatura, amata al di sopra di tutto il creato: ne ha compassione nonostante il tradimento della Sua amicizia (il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì) e arriva a donarle le grazie necessarie per la santificazione. I progenitori, dopo aver abusato della loro libertà, cadendo nell’inganno di Satana di poter diventare «come Dio» ma «senza Dio e anteponendosi a Dio, non secondo Dio» (san Massimo il Confessore), sperimentarono tutto l’orrore del peccato; e nel loro stato di pellegrini sulla terra ebbero il merito di riconoscere la loro colpa e di vivere per espiarla, stavolta assecondando la grazia.

Si ha un segno di questo riconoscimento di Dio nelle parole che Eva pronuncia dopo aver partorito Caino: Ho acquistato un uomo dal Signore (Gn 4,1). Sono parole di lode all’Onnipotente. I progenitori comprendono cioè di essere stati resi partecipi, in «una sola carne», della Sua opera di creazione più alta. Pochi versetti più avanti l’autore sacro, spesso scarno, riferisce un ringraziamento in tutto simile per la nascita del terzo figlio, chiamato Set: Perché - disse - Dio mi ha concesso un’altra discendenza al posto di Abele, poiché Caino l’ha ucciso. Le discordie tra gli uomini, che sono sempre liberi ma feriti nella loro natura in conseguenza del peccato originale, li precipitano in un abisso senza fine, eppure Dio continua a non abbandonarli propiziando una nuova discendenza. Set diventa padre di Enos e il capitolo 4 della Genesi si chiude con una notizia significativa: Allora si cominciò a invocare il nome del Signore. Un Signore che perdona chi ha contrizione per i propri peccati e lo riconosce come Padre e fine ultimo.

La santità raggiunta, o si potrebbe dire recuperata, da Adamo ed Eva ci ricorda che, finché si è nello stato della prova (il nostro stato qui sulla terra, prima del Giudizio), Dio non fa mancare il suo aiuto all’uomo disposto ad accoglierlo. Ricorda anche tutte le conseguenze concrete del peccato originale, che il mondo oggi preferisce ignorare e deridere mentre crede ciecamente a una pseudo-teoria secondo cui l’uomo, l’unica creatura dotata di intelletto e chiamata a conoscere e amare Dio, avrebbe un antenato in comune con la scimmia [per un approfondimento sul tema, vedi Evoluzionismo. Dubbi e obiezioni, di Marco Respinti; Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, del fisico Antonino Zichichi].

Non è questo il luogo per esporre la dottrina sul peccato originale, basti ricordare che la Chiesa insegna con chiarezza che «il racconto della caduta (Gn 3) utilizza un linguaggio di immagini, ma espone un avvenimento primordiale, un fatto che è accaduto all’inizio della storia dell’uomo» (CCC 390). È alla luce di quel fatto che si riempie di senso il mistero di Cristo incarnato e morto in croce, secondo quell’intima connessione che san Paolo sintetizzò così: «Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia». I progenitori caduti, e ravvedutisi, a questa grazia hanno saputo credere.

Per saperne di più:
Catechismo della Chiesa Cattolica, L’uomo (punti 355-384); La caduta (punti 385-421)

“Chi impara a credere impara a inginocchiarsi” – letterina di Mons. Nicola Bux a Gesù Bambino

Il giornalista Aldo Maria Valli ha pubblicato nel suo blog una serie di “letterine” a Gesù Bambino di alcune personalità e persone impegnate nella difesa della fede (ad es., Ettore Gotti Tedeschi, don Alfredo M. Morselli, Giuseppe Rusconi, Marco Tosatti, Alessandro Gnocchi, vQUI).
Noi rilanciamo quella di Mons. Nicola Bux.

“Chi impara a credere impara a inginocchiarsi”

È arrivata anche la letterina di monsignor Nicola Bux. Eccola!
Di nuovo buon Natale a tutti!

***

Caro Gesù Bambino, o Gesù, tu sei il Verbo, tu sei la Sapienza, perché per tuo mezzo tuo Padre ha creato tutte le cose, perciò tu sei il Pensiero che abbraccia ogni cosa, sei cattolico. Solo tuo Padre ti conosceva e vedeva, ma nella Notte Santa ti ha rivelato come suo Figlio, cioè ti ha reso visibile al mondo perché il mondo ti vedesse e potesse essere salvato da quel peccato nel quale era caduto a causa del primo uomo.  Nessuno ti aveva mai visto, perché nessuno aveva mai visto Dio, ma tu uscendo dal seno del Padre e venendo nel mondo, proprio tu ce ne hai fatto l’esegesi. Senza di te, nulla è stato fatto, eppure il mondo non ti ha conosciuto. Sei venuto tra i tuoi fratelli ebrei ma non tutti ti hanno accolto. Anche nella Chiesa da te voluta, c’è chi non vuole nominarti per non dividere. Perciò, ispira al papa e ai vescovi di parlare al mondo della fede in te, della vita in te – la vita morale – e della vita eterna con te, non delle migrazioni, della ecologia e degli altri problemi di questa terra, su cui non hai dato loro alcuna competenza e alcun mandato. Spiega ai teologi che tutto ciò che scrivono, le loro esegesi, servono alla Chiesa se la mettono di fronte alla tua Presenza, quella che tanti cercano e vorrebbero incontrare nella bellezza della liturgia quando è rivolta a te e non all’uomo. Così, quelli che non credono, saranno colpiti e si convertiranno alla verità, che sei tu. Per questo sei nato e sei venuto nel mondo, lo hai detto al culmine della tua passione. Ora, amato Gesù, ti chiedo di aiutarci a capire che non v’è altro Nome – il tuo – nel quale possiamo essere salvati, e per questo – ha detto il tuo Apostolo – ogni ginocchio deve piegarsi in terra, così come si piega in Cielo e persino sottoterra. Ma nella Chiesa, in ossequio al pensiero di moda che si è allontanato dalla fede, c’è chi vuole imporre di non inginocchiarsi perché non saremmo schiavi. Ahi, quanti padroni – dice sant’Ambrogio – finiscono per avere coloro che rifiutano l’unico Signore! Allora ti chiedo che la Madonna e san Giuseppe, i pastori e i Magi, tutti i personaggi del presepio, particolarmente il bue e l’asino, che non solo si inginocchiarono ma si prostrarono profondamente davanti a te, ricordino a quei tuoi ministri che hanno tolto gli inginocchiatoi dalle chiese, che solo il diavolo non si inginocchia perché, come ha detto un padre del deserto, non ha le ginocchia. Chi impara a credere impara a inginocchiarsi, una fede o una liturgia che non conoscano più l’atto di inginocchiarsi, sono ammalate in un punto centrale. Per questo il divieto di inginocchiarsi appare come l’essenza stessa del diabolico. O Gesù, come non inginocchiarsi davanti alla tua umiltà, giunta fino alla morte di croce? E pensare che nella liturgia celeste descritta dall’Apocalisse, l’inginocchiarsi – proskynein – ricorre 24 volte. Per questo il piegare le ginocchia alla tua presenza, di te Dio vivente, è irrinunciabile. Dunque, ti prego di far tornare l’inginocchiatoio nelle chiese, per aiutare l’uomo moderno a capire che per amore sei venuto a salvarci dal peccato, a convertirsi e ad adorarti.
Monsignor Nicola Bux

Antifona al canto dell'Alleluja della Messa di Viglia di Natale: "Crástina die delébitur iníquitas terræ: et regnábit super nos Salvátor mundi"







Genealogia di N.S.G.C. secondo Matteo

Almeno dal IV sec. (come ci testimonia un testo della pellegrina Egeria a Gerusalemme), un vangelo era cantato solennemente alla fine dell’Ufficio notturno nelle domeniche e nei giorni festivi. Questo vangelo dell'Ufficio divino è conservato a questo punto nella maggior parte dei riti (per es., nel rito bizantino, v'è anche una serie di 11 Vangeli della resurrezione, che sono cantati nei mattutini di ciascuna Domenica; S. Benedetto prescrive, nella sua Regola, anche questo vangelo nei Mattutini al quale si risponde Amen, ecc. ...). Il Vangelo dei mattutini non riprende il testo del Vangelo della Messa del giorno; esso è cantato dal vescovo, dall'abate o dal sacerdote officiante, ma non dal diacono (contrariamente al Vangelo della Messa).
Nel puro rito romano, tuttavia, non c'è rimasto molto oggi: solo la prima strofa del Vangelo del giorno è cantata nel III Notturno, seguito da tre Lezioni, tratte dalle omelie dei Padri su questo vangelo. I differenti usi diocesani francesi, tuttavia, avevano mantenuto una struttura primitiva più antica del rito romano: di solito, il canto solenne del Vangelo giungeva - come nella Regola di San Benedetto – al termine dell'ufficio notturno, tra il IX responsorio dell’ultimo Notturno (responsorio scomparso nel rito romano attuale) ed il Te Deum.
Per la Vigilia di Natale, sia tra i benedettini sia negli antichi usi diocesani francesi, il Vangelo dei Mattutini consiste nella genealogia di Cristo secondo San Matteo. Il canto solenne di questa genealogia è sempre stato modulato in un tono molto particolare, di grande suggestione. Allo stesso modo, si cantava, su un'altra melodia solenne, la genealogia secondo San Luca alla fine dei Mattutini dell'Epifania. Alcune diocesi conoscevano anche il canto solenne al saluto, dopo i secondi Vespri di Natale, del Prologo di San Giovanni su una sublime melodia (ma questo uso è più recente).
Quando la pratica del canto dei Mattutini di Natale prima che la messa di mezzanotte iniziasse a sgretolarsi, molte parrocchie mantennero il canto genealogico a mezzanotte, prima della prima messa di Natale.
Vi presentiamo qui di seguito la versione parigina di questa genealogia. Notate, in cui il finale termina un po' curiosamente, ma questo finale è calcolato per essere in grado di collegarsi direttamente con l'intonazione del Te Deum finale.

(Nostra traduzione dal francese)