Sante Messe in rito antico in Puglia

martedì 28 febbraio 2023

Così “si vendica” Gesù...

Molte volte ci capita di pensare per chi è stato un grande peccatore che, allorché muoia, sia destinato a perdizione, dimenticandoci assai spesso che il Signore possa chiamare anche all’ultimo momento alla conversione e che solo l’ostinato rifiuto di quell’ultima grazia che il Signore offre fa sì che l’uomo, dopo la morte, sia irrimediabilmente separato da Lui. Il Signore, infatti, è assai rispettoso della libertà umana, che non può forzare alla salvezza colui che non voglia essere da Lui salvato. Il santo vescovo di Ippona e dottore della Chiesa cantava con queste lapidarie espressioni il suo meraviglioso inno alla libertà: “Qui ergo fecit te sine te, non te iustificat sine te”, cioè “Chi ti ha formato senza di te, non ti renderà giusto senza di te” [Sant'Agostino, Sermo CLXIX, 11.13, in PL 38, 923. Il testo latino del Discorso può leggersi qui].

Dunque, è nella libertà dell’uomo accogliere l’ultimo appello che Dio possa offrire all’anima peccatrice. Spetta all’uomo lasciarsi redimere.

Abbiamo avuto nella storia tanti esempi di accoglimento della grazia all’ultimo minuto utile. Possiamo ricordare l’esempio di Napoleone Bonaparte (ne parlammo qui), ma anche Giosué Carducci (v. qui).

Un caso di questi ultimi giorni è quello relativo alla morte del giornalista e conduttore televisivo Maurizio Costanzo, che era ateo ed affiliato alla massoneria (che l’ha celebrato come “fratello”) e che ha avuto quattro mogli. È parso strano a molti che, nonostante ciò, gli siano state concesse delle esequie ecclesiastiche nella Basilica romana di Santa Maria in Montesanto, detta volgarmente “chiesa degli artisti” (sic!). Eppure, nelle ore immediatamente dopo la morte si è appreso che, prima di morire, con il suo amico avvocato (e cattolico), Giorgio Assumma, abbia voluto recitare l’Ave Maria ed interrogarsi cosa ci fosse “dietro l’angolo”, cioè dopo la morte (vqui). Il celebrante i funerali ha poi ricordato: «Nel momento del combattimento finale ha alzato lo guardo al cielo e ha invocato la protezione della Vergine Maria. È stato compassionevole, lo commuoveva la fragilità delle persone, ha aiutato tanti artisti in difficoltà» (vqui).

Non possiamo sapere se il giornalista in questione, ora, si sia salvato. Però è plausibile pensarlo: la Vergine Maria non sarà rimasta a quell’ultimo appello che quel figliol prodigo le ha lanciato alla fine della vita e quindi possiamo ragionevolmente sperare che la grazia possa averlo investito in quel momento, essendosi aperto alla stessa.

Veramente la salvezza è un mistero per noi; un mistero noto solo a Dio.

Per questo, rilanciamo questo contributo, che riprende una storia lasciataci dal celebre medico francese dell’800, Jean Baptiste Félix Descuret.  

Così “si vendica” Gesù...

di Paolo Risso

Aveva ucciso diciassette preti e ne avrebbe eliminato un altro se si fosse presentato sul suo letto di morte senza consenso. Questa la storia di uno dei migliaia di malati visitati dal dottor Descuret, che però cambiò sorte prima di morire, per una grazia inattesa...


Mi è capitato tra le mani un vecchio libricino datomi da un giovane e dotto prete che – ormai non è più scontato dirlo – crede in Dio e in Gesù Cristo, e nella presenza reale di Gesù nella Santissima Eucaristia. Il libricino raccoglie mirabili “storie d’amore” di Gesù con le anime, anche le più lontane da Lui, recuperate grazie al loro pentimento e alla Sua misericordia. Una la voglio narrare ai miei Lettori.

Un malato impossibile

Il dottor Descuret, illustre e famoso medico francese, nella sua lunga e prestigiosa carriera aveva compiuto ben 13.000 visite a pazienti di ogni genere; tutto questo lo scrisse nel suo libro La medicina delle passioni, che gli valse di diventare membro dell’Accademia di Parigi. A pagina 52 del secondo volume, trattando dell’ira, racconta di un singolare ammalato, protagonista di una vita terribile.

Verso la metà dell’anno 1826, Descuret fu chiamato a visitare un albergatore di circa 60 anni, che teneva da anni un’osteria al numero 215 di via San Giacomo, a Digione. Affetto da grave cirrosi epatica, si era rivolto ai più illustri primari di Francia per curarsi, ma senza alcun risultato. Fin dalla sua prima visita, Descuret giudicò quest’uomo anziano ormai prossimo alla fine, per cui si limitò a ordinargli del siero con laudano, ossia una pozione calmante, una sorta di “impiastro” di oppio. Era la medicina palliativa del tempo. 

Con questi narcotici, il medico riuscì a calmare i dolori atroci che il malato provava e a procurargli una delle notti più serene che avesse trascorso da molto tempo. La mattina dopo l’infermo strinse con affetto la mano al medico fino a chiamarlo suo salvatore, e gli promise di seguire in tutto e per tutto anche i suoi minimi consigli.
Descuret, per altro, avvertì la famiglia che era imminente la morte dell’anziano: non conveniva per nulla credere a un vero miglioramento – che sarebbe stato solo momentaneo –, ma approfittarne per fargli mettere a posto “gli affari materiali e spirituali”... e se ne andò. Verso le sei del pomeriggio, il medico fu di nuovo chiamato in gran fretta, non per l’anziano, ma per sua moglie, che era stata ferita al petto proprio dal marito, il quale le aveva gettato addosso un vaso di porcellana. 
Dopo aver fermato l’emorragia e curata la donna ferita, il dottor Descuret stava per uscire, quando l’uomo, al quale non aveva neppur detto una parola, lo trattenne per la giacca dicendogli in modo manieroso: «Come, signor dottore, se ne va senza rivolgermi almeno uno sguardo?». Il medico gli rispose: «Perché dovrei curarmi di un malato che fa di tutto per rendere inutili i miei sforzi? Ho anche saputo che avete ingiuriato, come un villano, i vostri due primi medici, e che il nostro venerando decano prof. Portal non vi ha abbandonato se non quando siete giunto persino ad alzare le mani contro di lui! A tutti questi atti violenti, ora avete aggiunto la brutalità usata verso vostra moglie... e allora giudicate voi stesso se devo ancora curarmi di voi o partirmene subito!».

«I vostri rimproveri – replicò il malato con tono addolorato – sono giustissimi, sono davvero colpevole di aver maltrattato mia moglie. Ma se sapeste, dottore, che cosa voleva da me! Voleva che per forza facessi chiamare un prete, io che li ho sempre avuti in orrore!».

«L’intenzione di vostra moglie era lodevolissima. Proponendovi di mettere in pace la vostra coscienza, vi dava una nuova prova di affetto, e se ciò era in opposizione alle vostre idee, dovevate solo dirle di no, ma non fare ciò che avete fatto».

«Ma alla fine, dottore, voi che siete sapiente, che fareste nei miei panni, se vi proponessero tali cose?».

«Io non esiterei a mettermi in pace con la coscienza, prima per convinzione, poi perché la calma dell’anima contribuisce con forza ad alleviare i nostri patimenti, e anche a dissimulare le nostre malattie».

«Oh, questa è singolare davvero, che voi che avete studiato abbiate questa maniera di vedere!».

«Anzi – concluse l’illustre medico –, le mie convinzioni religiose sono in gran parte frutto dei miei studi».

Seguì un lungo attimo di silenzio, poi il malato prese a dire: «Ebbene, sia, facciamo venire il prete; è tanto, tantissimo tempo che non mi confesso. Ne ho proprio delle grosse, e pesantissime sulla coscienza!».

Preti ammazzati

La moglie, ancora dolorante per la ferita causata dall’ira del marito, ma felice per questa soluzione insperata, manda subito a cercare uno dei sacerdoti della parrocchia di San Giacomo. Appena il sacerdote fu entrato nella camera del malato, questi, con voce tremolante, prese a dire: «Prenda, reverendo, mi tolga subito questo coltellaccio che avevo posto sotto il cuscino... Dovete sapere che mi ero provvisto di quest’arma per conficcargliela nel cuore se lei fosse venuto senza il mio consenso!».

Quindi davanti a tutti i presenti soggiunse: «Nel settembre 1793, al tempo della Rivoluzione francese, massacrai diciassette preti e poco ci volle che lei non fosse il diciottesimo! Ma stia sicuro, Dio ha avuto pietà di me; per illuminarmi è bastato un raggio della sua grazia».

Non solo un povero peccatore, questo albergatore in fin di vita, ma un assassino, un delinquente, più volte omicida. E ora sta per “rubare” pure la misericordia di Dio! Il quale perdona, ma vuole il nostro pentimento, la nostra espiazione. Sì, Dio perdona... ma se ti penti. Pentirsi è la somma grazia di Dio. Chi ha ottenuto a costui questa grazia? Sicuramente molti hanno pregato per lui: pregare per la conversione dei peccatori è massima carità. Ne va di mezzo la vita eterna o la dannazione eterna delle anime. Noi sappiamo pure, come spiegano santi quali san Bernardo di Chiaravalle, sant’Alfonso M. de’ Liguori e ancor di più san Luigi M. Grignion da Montfort, che ogni grazia passa per le mani di Maria Santissima, “l’onnipotenza supplice” per i più lontani, la “raptrix cordium”, la rapitrice dei cuori, la condottiera delle anime a Gesù unico Salvatore. Sicuramente la Vergine Maria ha ottenuto la conversione di questo “disgraziato”.

Morto in ginocchio

Il dottor Descuret continua a narrare che il buon prete, fatto chiamare, prese il coltellaccio che gli veniva consegnato e che sarebbe servito ad ammazzarlo, quindi si intrattenne a lungo con il moribondo per ascoltare la Confessione di quella povera pecora nera e donargli il perdono di Dio. Stava uscendo dalla sua camera per annunciare la conversione ai suoi famigliari e che sarebbe tornato per il santo Viatico, quando l’infermo esclamò: «Torni presto, reverendo, ho bisogno della consolazione di Dio; ma non accosti il divino Redentore alle mie labbra che hanno orribilmente bestemmiato. Sono indegno di Lui».

«Ho visto il vostro pentimento che è sincero. Vi porterò i sacramenti della nostra santa fede cattolica», gli rispose il sacerdote. «Li riceverò, reverendo – rispose l’uomo –, ma dopo che avrò chiesto perdono anche a quelli che finora ho scandalizzato con le mie scelleratezze».

Fece chiamare due vicini, già suoi “compagni” nel male, e chiese perdono degli orribili esempi che aveva loro dati. Poi, piangendo, abbracciò la moglie e le chiese perdono della sua arroganza che era durata una vita intera. Quando ritornò il sacerdote con Gesù-Ostia per il santo Viatico, il pentito raccolse le sue ultime forze e si inginocchiò presso il letto e ricevette, in quella posizione, tutto tremante, Gesù Pane di Vita eterna.

Il sacerdote voleva che tornasse a letto, ma quello gli rispose: «Sento che la mia vita su questa terra sta per finire; e non posso offrire a Dio che le mie preghiere e le mie lacrime; mi lasci almeno la consolazione di morire in ginocchio, ciò che è ben poco per espiare i miei delitti». A mezzanotte, con un profondo sospiro, si addormentò nel Signore, ancora in ginocchio e, con le labbra appoggiate sulle piaghe del Crocifisso, che grondava delle sue lacrime.

Il suo volto perse la bruttezza ributtante che presentava in vita ed era avvolto di serenità e di pace, perché era andato incontro a Dio che l’avrebbe ancora purificato nel Purgatorio, ma che pure lo accoglieva tra i suoi.

Un’intera vita sbagliata. Diciassette preti ammazzati, peccati, scandali e chi più ne ha più ne metta. Il Cristo avrebbe potuto più volte fulminarlo, ma con chi si pente e gli chiede perdono, Lui “si vendica così”. Proprio come scrive santa Teresa di Gesù Bambino, concludendo la sua Storia di un’anima: «Sì, io lo sento, quand’anche avessi sulla coscienza tutti i peccati che si possono commettere, andrei con il cuore spezzato dal pentimento a gettarmi tra le braccia di Gesù, perché io so quanto Egli ama il figlio prodigo che torna a Lui».

Fonte: Il Settimanale di Padre Pio, fasc. 9, 26.2.2023

domenica 26 febbraio 2023

I luoghi delle tentazioni di Gesù


Grotta delle Tentazioni, associata alla prima tentazione, Monte della Quarantena (o delle Tentazioni) Jebel (o Jabal) Quruntul

Ciò che rimane del pinnacolo del Tempio, Gerusalemme. Il diavolo dalla sommità invitò Gesù a gettarsi di sotto


Sperone di roccia associato alla terza tentazione e su cui sarebbe stato assiso Gesù, Monte della Quarantena (o delle Tentazioni).
Probabilmente il diavolo, da questo sperone roccioso, nel mostrare i regni della terra, avrà semplicemente indicato la florida città di Gerico, che sorgeva sotto il monte con la rigogliosa zona della valle del fiume Giordano


sabato 25 febbraio 2023

25 febbraio 1570 - S. Pio V scomunicava la regina Elisabetta I e la deponeva


Il 25 febbraio 1570 il Papa san Pio V pubblicava la bolla Regnans in excelsis:

“... Sorretti dunque da quella Autorità che volle collocarci, sebbene impari rispetto a tanto onere, su questo supremo trono di giustizia, nella pienezza della potestà apostolica, dichiariamo la predetta Elisabetta eretica e fautrice di eretici, e dichiariamo che, assieme ai suoi seguaci, è incorsa nella sentenza di scomunica e che così sono distaccati dall’unità del corpo di Cristo. In aggiunta, dichiariamo la medesima Elisabetta privata del preteso regno, così come di ogni dominio, dignità e privilegio; nonché sciogliamo da ogni giuramento i nobili, i sudditi ed i popoli di questo regno ..."

martedì 21 febbraio 2023

Oggi, martedì che precede le ceneri ricorre la festa del Volto Santo

Rilancio questo contributo sulla festa del Volto Santo.

Oggi, martedì che precede le ceneri ricorre la festa del Volto Santo

Oggi ricorre la festa del Volto Santo di Nostro Signore. Una bellissima devozione da recuperare. Per questo continuiamo a disseppellire, e comunque a ricordare o a riscoprire i tesori de La Catholica. Per l'occasione, possiamo cercare di approfondire il volto santo per eccellenza, la Sindone [qui - qui - qui qui]. La sua storia, le sue peripezie (non del tutto chiare ma tracciabili), la sua veridicità.

La devozione che caratterizza il martedì precedente le ceneri (inizio del tempo di Quaresima) può aiutarci a intensificare l’adorazione e la confidenza con il Signore Gesù. La pratica devota nasce dall’invito rivolto dalla Beata Vergine Maria, nel maggio del 1938, quando apparve con uno scapolare in mano a suor Pierina De Micheli che stava pregando davanti al Santissimo Sacramento nel suo convento a Milano.

Su una faccia dello scapolare vide scritto “Illumina Signore il tuo volto su di noi” e sul retro c’era un’Ostia (che significa vittima) recante impresso “Resta con noi o Signore”. Ne seguirono ulteriori rivelazioni private con l’invito a supplire allo scapolare con una medaglia da portare, recitando ogni giorno 5 Gloria al Volto Santo. Alla Beata Madre De Micheli la SS.ma Vergine spiega che il male dilaga e si tendono reti diaboliche per estirpare la fede dai cuori. È necessario un rimedio: il Volto Santo di Gesù.

Maggiori dettagli possono essere trovati facilmente. L’essenziale è sapere che il Signore fa partecipe la suora dei dolori dell’agonia del Gestsemani dicendole: “Voglio che il mio Volto sia più onorato: chi mi contempla mi consola”. Furono forti anche altre espressioni consegnate da Gesù alla veggente, ma le lascio all’interesse di chi vorrà approfondire.

Gesù volle che il giorno dedicato a questa particolare intenzione di riparazione fosse, dopo novena, il martedì grasso, culmine del carnevale. Oggi purtroppo abbiamo consegnato ai “balli in maschera” tutta la Quaresima.

La devozione al Volto Santo è collegata a quelle al Santissimo Sacramento, al Cuore Eucaristico, al Sacro Cuore e ci dice della Divina Misericordia. Già nel secolo precedente Gesù parlò del suo Santo Volto a Santa Suor Geltrude e a Suor Maria Saint Pierre, carmelitana a Tours e forse non tutti sanno che il nome completo da Suora di Santa Teresina di Lisieux, Dottore della Chiesa, è Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo.

La devozione al Volto Santo e il portarne la medaglia si accompagnano alle promesse di Nostro Signore ai devoti e sono svariati i miracoli riferiti a questo affidamento (come per la medaglia chiesta a Suor Caterina Labourè a Rue Du Bac, a Parigi). Si tratta di una contemplazione che viene dall’Eucaristia e guarda al Volto Divino del Redentore, a beneficio dei consacrati, per tutte le necessità e per la salvezza di tutte le anime.

Il volto nella medaglia è simile a quello della Sindone perché l’allora l’Arcivescovo di Milano, il Cardinal Schuster, che sostenne subito la devozione, donò alle suore un quadro del Volto di Gesù preso dalla Sindone, adoperandosi anche per introdurre Suor Pierina presso Pio XII. Vengono alla mente alcuni celebri versi dei salmi: l’anima mia ha sete del Dio vivente: quando vedrò il suo volto? Di te ha detto il mio cuore: “Cercate il suo volto”; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezza. È il volto umano del Verbo Incarnato, vero Dio e vero uomo. Si rende riconoscibile nella sua unicità, adorata dai pastori e dai magi, quando ancora il corpo era avvolto dei panni che lo fasciavano bambino. Poi è il volto che dice la Parola, compimento della sete di Dio che attraversa l’antica alleanza. Ancora: "Ecce homo!".

Gesù ci mette proprio la faccia, sfigurata dai colpi. In Isaia era scritto: Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per potercene compiacere.

Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia... Così redime e sancisce la nuova ed eterna alleanza. Il volto di Gesù ci fa vedere il Padre, come Gesù disse a Filippo durante l'ultima cena. Il corpo e sangue dell’Eucaristia abita i tabernacoli del mondo e attende il nostro rispetto, la visita e l’adorazione. La voce di quel volto risuona nel Vangelo. La luce inonda ogni Santa Messa celebrata.

Il volto di Gesù chiede amore e consolazione. Vi scesero le lacrime del pianto da bambino, poi per l’amico morto, o anche guardando Gerusalemme. È stato rigato di sangue durante la Passione, per i colpi, le cadute, la corona di spine. Si è bagnato del sudore di sangue e degli sputi ricevuti. È capace di sguardi che cambiano la vita (il giovane ricco). Un volto rivolto al Padre in tante circostanze. Trasfigurato dalla luce sul Tabor.

Baciato da chi lo ha amato (Giuseppe e Maria) e da chi l’ha tradito come Giuda.

Un volto che, mancando allora macchine fotografiche e cineprese, ci è comunque pervenuto attraverso la Sindone, il Volto Santo della Veronica e le visioni mistiche dei santi. Ha catturato lo sguardo di tutti quelli che erano fissi su di lui. È stato il primo volto visto dai ciechi dalla nascita che ha guarito.

Il sacro cuore eucaristico di Gesù esprime la volontà del Padre e ci si consegna nell’umiltà che ebbe colei che, con un umile sì, l’ha portato in grembo e messo al mondo come Redentore. Della mamma ci rimane quest’ultima frase riportata nel vangelo di Giovanni: “Fate tutto quello che vi dirà”. Quel Volto Santo ci dice: “Chi mi contempla mi consola”.

E di quante indelicatezze, indifferenze, abusi (anche liturgici), sacrilegi, oltraggi e bestemmie viene offeso! (tralcio)

Fonte: La Catholica e la sua continuità, 21.2.2023

lunedì 20 febbraio 2023

Tempo quaresimale e pasquale, tempo di Quarantore e di adorazioni eucaristiche


Le adorazioni eucaristiche come anche le Quarantore si svolgevano nella Cappella Paolina, in Vaticano. Qui Pio VI in adorazione dinanzi all'Eucaristia solennemente esposta nella ridetta Cappella

 

sabato 11 febbraio 2023

La Madonna di Lourdes ed il diritto. Il legame antico della Vergine con la regione della Bigorre

Oggi, 11 febbraio, è una delle feste mariane, che ricorda una mariofania, assieme a quella del 13 maggio, più care alla devozione popolare.

Mi son sempre chiesto perché la Vergine scegliesse queste località, sovente in luoghi montuosi, spesso inaccessibili o comunque non facilmente raggiungibili. Certo non lo sapremo mai. Né mai potremmo sperare di comprendere i disegni imperscrutabili di Dio.

Ma forse per Lourdes c’è qualche antico legame – e per la verità anche per Fatima – che può essere investigato. Un legame che è giuridico, fondato sul diritto. Sì, avete capito bene, col diritto e con la legge. Col diritto feudale, in particolare.
Le scelte di Dio non sono frutto del caso fortuito.
Per Lourdes, c'è un legame, che risalirebbe a Carlo Magno e sicuramente ad oltre un millennio fa.


Anni fa, Vittorio Messori riferiva – per la prima volta in Italia – nel suo bestseller “Ipotesi su Maria”, oggi riedito nel 2020 dalla casa editrice Ares,  di un testo di tale Émile Brejon, un avvocato di Bordeaux fattosi storico anche per un debito di riconoscenza alla Vergine: la madre, infatti, era stata guarita miracolosamente alla Grotta.

Questo bâtonnier (presidente) dell’Ordine degli avvocati della sua città – dove, tra l’altro, fece tappa per alcune ore Bernadette nell’unico viaggio della sua vita, recandosi al convento di Nevers – raccolse il frutto delle sue ricerche in questo libriccino, che ho a casa, stampato da un editore ad Avignone nel 1926. Il titolo è significativo: Notre-Dame de Lourdes avant les apparitions de 1858 («Nostra Signora di Lourdes prima delle apparizioni del 1858»). Il sottotitolo: Un chapitre d’histoire tombé en oubli («Un capitolo di storia dimenticato»). Il testo può leggersi online qui. Nel 1983 il libretto era ripubblicato in reprint da una piccola editrice di provincia, ma ha continuato a circolare in modo ridotto, tanto che non se ne trova traccia neppure in molte delle bibliografie specializzate.
Il punto centrale del libro era la risposta alla domanda: «Pourquoi Lourdes en France?». Ma perché, rispondeva, qui la Vergine è «chez Elle», è «a casa sua» e «in nessun altro luogo al mondo sarebbe forse stata così a casa sua come lo è qui».

Come ci racconta il Messori nel suo libro Ipotesi su Maria, alle pagg. 159 ss. della nuova edizione ed in alcune inchieste giornalistiche (v. qui) e conferenze (v. qui), in effetti, stando a una tradizione antichissima (e confermata da consuetudini altrettanto antiche, suffragate da documenti coevi), il castello e la città di Lourdes furono dati in feudo, ai tempi di Carlo Magno, alla Vergine venerata nel grande e celebre santuario di Le Puy-en-Velay, il luogo mariano che per secoli fu il più prestigioso di tutta la Francia. Dunque, la Madonna del Puy («poggio», in francese antico) era stata dichiarata «Signora e sovrana» di Lourdes, con il diritto a un omaggio annuale – che ne riconosceva l’autorità, secondo le consuetudini feudali – che, in questo caso, consisteva in erba e in zolle di terra tratte dal prato davanti al castello.

Come Brejon dimostrava, ancora per la festa dell’Assunta del 1829 (dunque solo 29 anni prima delle apparizioni a Bernadette), una rappresentanza delle ragazze di Lourdes affrontò per l’ultima volta, dopo oltre un millennio di tradizione, il lungo viaggio fino a Le Puy, nel Massiccio Centrale, circa cento chilometri a ovest di Lione, per portare a Maria, «Signora e contessa della città», l’antico omaggio. Qui, tra l’altro, sembra sfuggire a Brejon, nota sempre il Messori, un particolare che dà a pensare: l’erba e le zolle portate a Maria, a segno della sua autorità su Lourdes, dovevano essere prese, come comandava la consuetudine, dal «prato del Conte» che si stende ai piedi del castello. Ebbene, questo è il luogo che ai tempi di Bernadette era indicato come domaine de Savy, la «tenuta di Savy», ed è l’attuale esplanade davanti alle basiliche, dove si svolge ogni sera la processione eucaristica. Non basta, perché questo luogo, che da tempo immemorabile simboleggiava con la sua terra stessa la signoria di Maria sulla città, scomparsa la contea di Bigorre, passò in proprietà – sin dal secolo XVI – alla «Confraternita del Santissimo Sacramento». Ab immemorabili, dunque, ci riferisce il Messori, questo luogo è «terra della Vergine» e anche «terra dell’Eucaristia».

Lourdes ed il suo castello sarebbero, dunque, un «feudo di Maria» e la costituzione di questo titolo feudale sarebbe avvenuta in modo al contempo poetico e drammatico. Carlo Magno, di ritorno dalla Spagna, avrebbe invano assediato la fortezza che da sempre stava e tuttora sta, anche se trasformata in museo, sulla roccia, e che era tenuta allora dai musulmani. Poiché i difensori non si arrendevano, e Carlo già pensava di levare l’assedio, il vescovo di Le Puy, che faceva parte del suo seguito, si recò a parlamentare con il capo saraceno dicendogli: «Poiché non vuoi cedere ad alcun uomo, cedi a una Signora: la Madre di Dio venerata a Le Puy». Toccato dalla grazia, il musulmano accettò il patto e, seguito dai suoi, cavalcò sino a quel già celebre luogo di culto: tutti i capi saraceni portavano legati alle lance dei fascetti di erba e di fiori falciati nel prato sotto la roccia dove sorgeva la fortezza. Posero quei fascetti – in segno di sudditanza – sull’altare di Maria. Il capo già musulmano chiese il battesimo e, da «Mirat» come si chiamava, assunse il nome di «Lordus»: Lourdes da lì avrebbe poi preso la denominazione, mentre prima era chiamata «Mirambel».

A conferma dell’antichissimo diritto feudale di Notre-Dame du Puy su Lourdes sta anche il fatto che lo stemma di entrambe le città è costituito da un’aquila. Quella di Lourdes ha le ali spiegate e porta nel becco un pesce: forse a simboleggiare che viene dai monti del Centro della Francia a portare il Cristo, il cui simbolo antichissimo è appunto un pesce?

Brejon sintetizzava così: «Nostra Signora di Le Puy, dopo essere stata riconosciuta “Signora e Contessa” di Lourdes e della sua cittadella sin dai tempi di Carlo Magno, è divenuta “Signora e Contessa” dell’intera Contea di Bigorre, per l’atto di sottomissione spontaneo e volontario che il conte Bernardo I concesse al Capitolo di Le Puy, per se stesso e per tutti i suoi successori, nell’anno 1062».
È infatti il 1062 l’anno in cui, recatosi appositamente con la moglie sino al lontano santuario della Gallia centrale, venendo dalla sua Bigorre, il conte Bernardo decideva di far depositare ogni anno sessanta scudi sull’altare della Vergine «a titolo di censo». E, cioè, secondo il diritto feudale, come segno di vassallaggio a Maria; che, così, da «Signora» di Lourdes lo diventava di tutta la regione, la Bigorre appunto. Al contempo, Bernardo lanciava l’anatema contro i suoi discendenti che non avessero riconosciuto il vassallaggio, pagandone la relativa rendita. Il documento è giunto integralmente sino a noi ed è tuttora conservato all’archivio dell’antica Bigorre, a Pau.
Nel santuario di Le Puy, Maria era venerata sotto il titolo di «Annunciata» da tutti i popoli d’Europa. I quali vi accorrevano in enormi masse soprattutto quando il 25 marzo coincideva con il Venerdì santo, ed era allora possibile godere del Grande Perdono, cioè dell’indulgenza plenaria concessa dai papi.

Il prestigio del luogo era tale che, stando alla tradizione – alla quale aderiva lo stesso san Bernardo –, qui sarebbe nata la Salve Regina, la preghiera più recitata dopo l’Ave Maria e che il Medioevo chiamò «l’antifona di Le Puy». Qui, nel 1449, si stabilì l’usanza, presto diffusasi in tutta la cristianità, di recitare l’Angelus non solo all’alba e al tramonto, ma anche a mezzogiorno. Non vi era lì, dunque, un culto locale, bensì universale, al punto che la Vergine nera sull’altare (bruciata poi, nel 1794, dal vandalismo rivoluzionario su un falò formato dalle carte dell’archivio, dopo essere stata portata dove si impiccavano i malfattori sulla carretta dell’addetto alle fogne), al punto che questa Vergine fu chiamata, da santi e papi, Mater omnium, Madre di tutti.

Il tributo dovuto alla «Contessa e Signora» fu versato ogni anno sull’altare di Le Puy fino a quando durò la contea della Bigorre. Anzi, nel 1303, per una disputa tra il re d’Inghilterra e i canonici del santuario di Le Puy, il Parlamento di Parigi, dopo avere riesaminato i titoli legali, ribadì solennemente che Lourdes e la Bigorre erano «dominio di Maria». Nel 1307, Le Puy concedeva la sua contea pirenaica al re di Francia (era Filippo il Bello, quello della soppressione dei Templari), ma anche il nuovo sovrano doveva riconoscere, secondo il trattato che fu steso, di non essere che «vassallo», che «amministratore» di quella Terra Virginis, che era la Bigorre. A prova di quella sudditanza, il re impegnava se stesso e i suoi successori a versare al santuario di Le Puy il censo – assai elevato – di 300 lire tornesi all’anno. Da allora, tutti quelli che si alternarono sul trono di Francia mantennero l’obbligo dell’omaggio, pagando il diritto di amministrare ciò che apparteneva alla Madonna stessa. Fu solo la fine sanguinosa della monarchia, con la decapitazione del re e della regina, la proclamazione della repubblica, la persecuzione del clero, l’abolizione della diocesi di Le Puy, lo spogliamento del santuario, il rogo della veneratissima immagine stessa; fu solo, insomma, il dramma della Grande Révolution che sembrò porre fine per sempre ai diritti della Vergine su Lourdes e la sua intera regione, la Bigorre.

Sembrò, diciamo, perché una ripresa, per quanto breve, vi fu con la Restaurazione. Infatti, nel 1827 Carlo X, successore di Luigi XVIII, ristabilì la diocesi di Le Puy e ricominciò a versare il tributo dovuto.

E le giovani di Lourdes si recarono al lontano santuario a portarvi l’omaggio dei sudditi, le erbe e i fiori colti davanti al castello. Ma durò pochissimo: pare che il 15 di agosto del 1829 sia stata l’ultima volta in cui l’antica Bigorre si presentò sul monte Anis a riannodare ufficialmente i legami con Le Puy.

L’anno seguente, un’altra rivoluzione portava sul trono Luigi Filippo, il «re borghese» del quale abbiamo già parlato e che, in gioventù, aveva parteggiato per quei giacobini che avevano bruciato la Vergine nera, trasportandola al rogo sul carretto delle immondizie. Un personaggio che, di certo, non intendeva rispettare gli obblighi assunti dai sovrani precedenti. Così, in quel 1830, le autorità cessavano per la prima volta (a parte, ovviamente, gli anni della tormenta rivoluzionaria) di riconoscere l’autorità mariana su Lourdes e sulla Bigorre, autorità riconosciuta forse dall’epoca carolingia, certamente dal 1062, dal diploma di Bernardo I.

Osservava Brejon, uomo di legge, che i diritti di un feudatario su una terra si estinguevano dopo trent’anni dai mancati adempimenti degli obblighi «censuari» (il pagamento, cioè, delle rendite) e degli onori dovuti al signore stesso. I termini della prescrizione, nel nostro caso, iniziavano in quel 1829 in cui per l’ultima volta la Bigorre si era presentata a Le Puy con i suoi rappresentanti a portare l’omaggio dovuto. Dunque, nel 1859 i diritti di Maria sulla sua terra di Lourdes sarebbero caduti in prescrizione. Nel 1858, ecco la «Signora» (questo il nome con cui, significativamente, la chiamava Bernadette) apparire in una cavità della collina davanti al castello dove per secoli la sua bandiera aveva diritto di sventolare.

Annotava Brejon (ripreso dal Messori): «Senza dubbio, le prescrizioni della terra sono vane in Cielo e la Vergine Maria non aveva bisogno di difendere dei diritti riconosciutile dagli uomini per essere la più nobile delle Dame e per essere ovunque a casa sua. Certo: la corona di Contessa della Bigorre sulla fronte non le aggiungeva alcuna grandezza. Eppure, è caro ai nostri cuori pensare che la Vergine abbia amato questo legame terrestre che dovette forse alla pietà di Carlo Magno, di certo a quella del principe Bernardo. È all’ultima ora (un anno prima soltanto della prescrizione, che iniziava nel 1859, ma in tempo comunque utile) che Ella stessa è apparsa nella Bigorre per chiedervi, con l’omaggio dei suoi cari e antichi vassalli, quello di tutto il mondo. L’omaggio del mondo? Ebbene, sì: non era questo che avveniva a Le Puy nei secoli cristiani, dove era invocata come “Madre di tutti”?».




Antonio Ciseri, Apparizione della Vergine a Lourdes, 1879, Chiesa del Sacro Cuore, Firenze




giovedì 9 febbraio 2023

La beata Anna Katharina Emmerich

Oltre che di S. Cirillo d'Alessandria, vescovo e dottore della Chiesa, invitto difensore del dogma (contro l'eresia nestoriana) della divina maternità di Maria e, può dirsi a giusto titolo, primo santo mariano, e della santa martire - sempre di Alessandria - Apollonia, a cui, per la confessione della fede, furono cavati i denti con le tenaglie e che morì arsa sul fuoco, giacché preferì le fiamme piuttosto che rinnegare Cristo, oggi si fa memoria della beata Anna Katharina Emmerick (o Emmerich), grande mistica agostiniana, che, oltre a partecipare ai patimenti del Cristo (ricevette le stigmate!), ebbe modo di vedere - come in un film - la vita del Signore Gesù, di Maria e di alcuni Santi. Famosa è per la profezia dei due Papi (cfr. il libro Saverio Gaeta, La profezia dei due papi. Rivelazioni sulla fine della Chiesa ai tempi di Benedetto e Francesco, Casale Monferrato, ed. Piemme, 2018; Antonio Socci, La profezia della beata Anna Caterina Emmerich sul tempo dei due papi e delle due Chiese. Parla di oggi?, in Blog Lo Straniero, 31.1.2015) e per l'infestazione di un clero tiepido. Nota è anche la riscoperta, grazie alle sue visioni, della casa della Vergine Maria ad Efeso alla fine dell'800 (cfr., tra i tanti, Giulio Carulli, Efeso, a casa di Maria, in Terra Santa.net, 8.7.2016; La casa di Maria a Efeso (Meryem Ana), in Tanogabo.it, 8.9.2021).

Gabriel von Max, Anna Katharina Emmerick, 1885

mercoledì 8 febbraio 2023

Maria Stuarda. Uccisa in odio al Cattolicesimo

L’8 febbraio 1587 nel castello di Fotheringhay viene martirizzata mediante decapitazione Mary Stuart (italianizzata Maria Stuarda), Regina di Scozia. Dopo varie angustie, ultima la ventennale prigionia, fu condannata al patibolo dall’empia Elisabetta I, sua cugina, che si arrogava illegittimamente prerogative regie: la pia sovrana morì rivestita del rosso dei martiri, spargendo il nobile sangue per rimanere fedele a Gesù Cristo e alla sua Santa Chiesa Cattolica Romana, rifiutando lo scisma anglicano.

Daniel Mytens, Ritratto di Mary Stuart, 1625-32 circa, Royal Collection

Scuola inglese, Mary Stuart, XVIII sec., collezione privata

François Clouet, Mary Stuart, 1560, Royal Collection


Maria Stuarda. Uccisa in odio al Cattolicesimo

di Corrado Gnerre

Nell’esecuzione capitale della regina cattolica Mary Stuart, oltre la facciata politica e le false accuse, si scorge una intenzione chiaramente anti-cattolica: infatti ella era l’unica che professava ancora e indefessamente la fede cattolica in Inghilterra.

Alla Scozia è legato il famoso personaggio di Mary Stuart (italianizzata Maria Stuarda). Figura molto discussa ma che ha subìto una morte (e questo lo si dice poco) che il Magistero della Chiesa ha giudicato un vero martirio per la Fede.

La vita

Maria Stuarda nacque l’8 dicembre del 1542 e morì l’8 febbraio del 1587. Figlia di Giacomo V di Scozia e di Maria di Guisa, fu incoronata nel 1543 ad appena 9 mesi di età. Vennero pertanto nominati reggenti il cugino, James Hamilton, e la madre.

In quegli anni Enrico VIII cercava di porre la Scozia sotto il dominio dei Tudor. Maria di Guisa, pertanto, decise di trasferire Maria in Francia. Le cronache ne parlano come di una bambina intelligente e dal carattere dolce ed amabile. Alla piccola regina fu dato in sposo, nel 1558, Francesco di Valois, primogenito di Enrico II e di Caterina de’ Medici. Dopo appena due anni di matrimonio, Maria rimase vedova; ed ella, come regina legittima di Scozia, nel 1561 tornò nel suo regno in cui, però, la presenza calvinista si era fatta significativa.
Nel 1565 Maria sposò un nobile cattolico, l’inglese Henry Darnley, da cui ebbe un figlio, il futuro Giacomo VI. Ma Maria dovette gradualmente esautorare il nuovo marito perché questi aveva modi violenti. Ella, di fatto, rimase nuovamente sola. Il suo carattere dolce la faceva essere lontana da qualsiasi calcolo politico. Fu così che trovò nel conte protestante, James Bothwell, colui che la potesse aiutare e difendere. Nel 1567 Darnley fu ucciso. Si disse ch’era stato Bothwell, ma non si riuscì mai a dimostrarlo né tanto meno si riuscì a dimostrare che Maria fosse a conoscenza di un complotto contro Darnley. Maria sposò il conte Bothwell, matrimonio che provocò una reazione da parte degli aristocratici scozzesi. Fu così che ella fu costretta ad abdicare in favore del figlio Giacomo VI (che aveva appena un anno) e a rifugiarsi presso la cugina Elisabetta, regina d’Inghilterra, che l’accolse... ma per ridurla in prigionia: una prigionia che durò ben diciotto anni. In realtà Maria faceva paura perché poteva legittimamente pretendere il trono d’Inghilterra, in quanto Elisabetta era figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, la cui unione rimaneva illegittima per la Chiesa Cattolica.

Nel 1586 Maria venne coinvolta nella congiura di Babington, ordita per assassinare Elisabetta. Scoperti, i congiurati vennero immediatamente uccisi. Maria fu processata il 15 ottobre del 1586 e fu condannata a morte perché accusata di alto tradimento.

Ella si proclamò innocente, ma era chiaro che si voleva colpire un simbolo: malgrado il suo comportamento non fosse stato sempre adamantino, Maria non aveva mai nascosto la sua fede cattolica e la sua fedeltà al Papato e per questo era la speranza di molti cattolici che in Inghilterra stavano subendo feroci persecuzioni.

Al dottor Flescher, decano anglicano di Peterborough, che le si avvicinò per convincerla ad abiurare il Cattolicesimo, Maria rispose fermamente di voler morire cattolica. Disse di sentirsi come Cristo dinanzi ai farisei, si abbandonò totalmente alla Volontà di Dio e dichiarò di perdonare i suoi carnefici. L’8 febbraio del 1587, il giorno fissato per l’esecuzione, si presentò con un abito di velluto rosso (il colore della Passione) e, appoggiando la testa sul cippo, allargò le braccia a forma di croce.

Martire per la Fede

Maria Stuarda uccisa in odio alla Fede cattolica? Leggiamo cosa Pio VI (1717-1799) ha scritto su Maria Stuarda nella sua Quare Lacrymae del 17 giugno 1793 ai nn. 3, 4 e 5: «Maria Stuarda [...], come narrano molti storici, quante avversità dovette affrontare da questa sua rivale [Elisabetta] e dai facinorosi Calvinisti, che le portarono insidie e violenze!

Spesso incarcerata, spesso soggetta agli interrogatori dei giudici, rifiutò di rispondere, dicendo che una regina deve rendere conto della sua vita solo a Dio. Vessata continuamente e in tutti i modi, rispose, dimostrò l’infondatezza dei crimini che le erano stati attribuiti e provò la propria innocenza. Ma non per questo, tuttavia, i giudici si astennero dal compiere l’ingiustizia già premeditata e pronunciarono contro di lei la condanna a morte [...]». Poi Pio VI cita Benedetto XIV e scrive: «Benedetto XIV nel terzo libro sulla “Beatificazione dei Servi di Dio”, cap. 13, n. 10, ragiona così su questo evento: “Se si dovesse istituire un processo sul martirio di questa Regina, processo che finora non è mai stato disposto, risalterebbe subito un’obiezione evidente contro il suo martirio, desunta dalla sentenza del processo e da tutte le calunnie che contro di lei hanno farneticato gli eretici [...]. Ma se si esamina la vera causa della sua morte, che si riassume nell’odio contro la Religione Cattolica che ella sola, unica superstite, professava in Inghilterra; se si esamina l’invitta costanza con la quale respinse le proposte di abiurare la Religione Cattolica; se si osserva la forza ammirevole con cui sostenne la morte; se si tien conto, come si dovrebbe, che ella protestò prima della decapitazione, e nell’esecuzione stessa, che era sempre vissuta da cattolica e che moriva volentieri per la fede cattolica; se non si omettono, come non devono essere omesse, le evidentissime ragioni dalle quali emerge non solo la falsità dei crimini attribuiti alla regina Maria dai suoi oppositori, ma anche l’ingiusta sentenza di morte, fondata su calunnie ispirate dall’odio contro la Religione Cattolica, perché restassero immutabili i dogmi ereticali nel regno d’Inghilterra; allora si comprenderà che non manca nessuna condizione necessaria per affermare che il suo fu un vero martirio”». Pio VI continua: «Sappiamo da Sant’Agostino che “non è il supplizio che fa il martire, ma la causa”. Per questa ragione Benedetto XIV si dichiarò propenso a ritenere vero martirio l’uccisione di Maria Stuarda. Egli si chiese “se per il martirio è sufficiente dimostrare che il tiranno fu mosso dall’odio contro la Fede di Cristo, anche se si attribuisce l’occasione della morte ad un’altra causa che non riguarda la Fede di Cristo o vi appartiene soltanto accidentalmente”. Risolse il caso affermativamente [...]. Pertanto per dichiarare un vero martirio è sufficiente che il persecutore, per procurare la morte, sia mosso dall’odio contro la Fede, anche se l’occasione della morte provenisse da altri motivi, che, a causa delle circostanze, non appartengono alla fede».

Fonte: Il Settimanale di Padre Pio, fasc. 11, 16.3.2014

domenica 5 febbraio 2023

Soppressione dell'Alleluia

Il calendario sta per commemorare i dolori di Cristo e le gioie della Risurrezione. Nove settimane ci separano da queste grandi solennità. È tempo che il cristiano disponga la sua anima alla nuova visita del Signore, che sarà più santa e decisiva di quella che si degna di farci con la sua Natività.

Intanto la santa Chiesa sente il bisogno di scuoterci dal nostro assopimento e vuole dare ai nostri cuori un potente impulso alle cose celesti. Perciò sopprime l'Alleluia, il canto celeste che ci associava ai cori degli Angeli. Siamo degli uomini fragili, peccatori sempre rivolti alla terra: come abbiamo potuto con la nostra bocca pronunciare quella parola di cielo? Fu l'Emmanuele, il divino conciliatore fra Dio e gli uomini, che ce la portò da lassù fra le gioie della sua nascita; e noi osammo ripeterla. La ripeteremo ancora con rinnovato entusiasmo fra le allegrezze della sua Risurrezione; ma per cantarla degnamente dobbiamo aspirare al soggiorno donde essa discese la prima volta. Alleluia non è una parola vuota di significato, o una profana melodia: è il ricordo della patria nell'esilio e lo slancio verso il ritorno.


Significato della parola Alleluia.


La parola significa Lodate Iddio. Ma il suo accento è tale, che la Chiesa, per non potersi sottrarre al compito di lodare il Signore per ben nove settimane, la sostituirà con un'altra espressione: Laus tibi Domine, Rex aeternae gloriae! Lode a Te, Re dell'eterna gloria! Ma questa è una lode che nasce dalla terra, mentre l'altra discese dal cielo.

"La parola Alleluia, dice il pio Ruperto, è una goccia di quella gioia suprema di cui trasalì la Gerusalemme celeste. I Patriarchi e i Profeti la custodirono in fondo al cuore, finché non la emise lo Spirito Santo con maggiore pienezza sulle labbra degli Apostoli. Significa l'eterno festino degli Angeli e delle anime beate che lodano Dio, contemplano senza fine la sua faccia e cantano senza mai stancarsi le sempre nuove infinite meraviglie. La nostra limitatezza di viatori non arriva a gustare tale festino; solo possiamo partecipare alle gioie dell'attesa e sentirne la fame e la sete. Forse per questo la misteriosa parola Alleluia non fu mai tradotta dall'originale ebraico, quasi a significare, nell'insufficienza di riprodurla, ch'è un'allegrezza molto estranea alla nostra vita presente" (Des divins offices L. I, c. 35).


Austerità della Settuagesima.


Durante i giorni che dobbiamo sentire l'asprezza dell'esilio, se non vogliamo essere abbandonati come disertori in seno a Babilonia, è necessario essere premuniti contro gli allettamenti del pericoloso soggiorno nella terra della cattività. Ecco perché la Chiesa, preoccupata delle illusioni e pericoli che corriamo, ci viene incontro con un provvedimento così solenne. Togliendoci il grido della gioia, ci esorta a purificare le nostre labbra; se vogliamo un giorno tornare a ripetere la parola degli Angeli e dei Santi, dobbiamo purificare col pentimento i nostri cuori, contaminati dal peccato e dall'affetto ai beni terreni. Quindi svolge sotto ai nostri occhi il triste spettacolo della caduta originale, da cui scaturirono tutte le disgrazie, e ci fa rilevare la necessità d'una redenzione. Piange per noi e vuole che anche noi piangiamo insieme a lei.

Accettiamo dunque la legge che ci viene imposta. Sospese per breve tempo le sante gioie, comprendiamo ch'è ora di smetterla con le frivolezze del mondo. Soprattutto liberiamoci dal peccato, che ha regnato tanto tempo in noi. Cristo s'avvicina con la sua Croce e viene a riparare ogni nostro danno col frutto sovrabbondante del suo Sacrificio. Non permetteremo, no, che il suo sangue, a guisa di rugiada mattutina che piove sulla calda sabbia del deserto, cada invano sulle nostre anime. Confessiamo umilmente la nostra condizione di peccatori, e come il pubblicano del Vangelo che non osava alzar lo sguardo, riconosciamo che è giusto, almeno per poche settimane, non accennare a quei canti che furono troppo familiari alla nostra lingua di peccato, né presumere eccessivamente di quella fiducia che molte volte distrusse in noi il santo timor di Dio.

Purtroppo, la negligenza delle norme liturgiche è l'indice manifesto dell'affievolimento nella fede, in una cristianità. Eppure ce n'è tanta intorno a noi, che anche molti dei cristiani abituati a frequentare la chiesa ed i Sacramenti, si accorgono ben poco e con molta indifferenza della sospensione dell'Alleluia. A stento parecchi di loro vi prestano una leggera attenzione, imbevuti come sono d'una pietà affatto privata, e forse estranea al pensiero della Chiesa. Se cadranno queste righe sotto ai loro occhi, ci auguriamo che servano a farli riflettere sulla sovrana autorità e saggezza della Chiesa, Madre comune, la quale effettivamente considera la sospensione dell'Alleluia come uno dei fatti più gravi e solenni dell'Anno Liturgico.

A tale proposito presentiamo due belle Antifone, che pare siano di origine romana, e che noi attingiamo nell'antifonario di san Cornelio di Compiègne, pubblicato da Dom Dionigi di S. Marta:


Ant.
- Il buon Angelo del Signore t'accompagni, Alleluia.

E ti faccia fare un prospero viaggio, affinché ritorni con noi nella gioia, Alleluia, Alleluia.


Ant.
- Alleluia. Resta con noi anche oggi; domani partirai, Alleluia.

Quando si farà giorno ti metterai in cammino, Alleluia, Alleluia, Alleluia.


Le Chiese di Francia, nel XIII secolo e oltre, ai Vespri del sabato di Settuagesima cantavano quest'Inno commovente, conservato in un manoscritto del X secolo:

INNO

Alleluia è un canto di dolcezza, una voce d'eterna gioia.

Alleluia è il canto melodioso che i celesti cori non cessano di far risuonare nella casa di Dio.

Alleluia! celeste Gerusalemme, madre beata, patria alla quale abbiamo diritto di cittadinanza.

Alleluia! è il grido dei tuoi abitatori fortunati; ma noi esiliati sulle rive dei fiumi di Babilonia, non abbiamo altro che lacrime.

Alleluia! non siamo sempre degni di cantarlo. Alleluia! i nostri peccati ci obbligano a sospenderlo, perché è l'ora di piangere le nostre colpe.

Accogliete dunque, o Beata Trinità, questo canto per il quale vi supplichiamo di farci assistere un giorno alla Pasqua celeste, dove a gloria vostra, in seno alla felicità, canteremo l'eterno Alleluia. Amen.

Nell'attuale Liturgia l'addio all'Alleluia che fa la Chiesa è più semplice, e consiste nel farci ripetere quattro volte la misteriosa parola alla fine dei Vespri del Sabato:

Benediciamo il Signore, Alleluia, Alleluia.

Rendiamo grazie a Dio, Alleluia, Alleluia.

D'ora in poi, a partire dalla seguente Compieta, non sarà più udito quel canto celeste fino a quando esploderà sulla terra il grido della Risurrezione.

Fonte: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 424-426.



I monaci di Norcia seppelliscono l'Alleluia prima della Settuagesima del 2023.
Fonte Facebook