lunedì 4 gennaio 2016

I divorziati e la Chiesa. Interviene don Nicola Bux: «Il sacerdote non è un notaio e il pentimento non basta»

Segnalata, rilancio volentieri questa recente intervista di don Nicola Bux sul tema assai dibattuto sulla Comunione ai divorziati risposati e se sia possibile l’assoluzione in foro interno (nella Confessione) al divorziato passato a nuove nozze che non manifesti alcuna intenzione di lasciare il neo-coniuge. Ancora una volta, da parte cattolica, una parola chiara, nonostante non manchino quelli che Riccardo Cascioli, in un suo recentissimo intervento su La Nuova Busssola quotidiana, chiamava "i furbetti del sinodino", che vorrebbero "aprire" la Comunione ai divorziati risposati (v. Riccardo Cascioli, I furbetti del sinodino, in NBQ, 31.12.2015. L'articolo di Cascioli è pure rilanciato da Il Timone del 4.12.2016).

I divorziati e la Chiesa «Il sacerdote non è un notaio e il pentimento non basta»

La Basilica di San Nicola

BARI - Qualcosa è cambiato, nei rapporti tra i fedeli e la Chiesa Cattolica. La vicenda di un uomo divorziato e risposato, recatosi per la confessione a San Nicola alla vigilia di Natale, riaccende il dibattito su un concetto che con il Giubileo è diventato mediatico. In una lettera, che la Gazzetta ha pubblicato mercoledì 30 dicembre, l’interessato ha raccontato la propria delusione per l’assoluzione negatagli. E ha rivendicato la misericordia di Papa Francesco.
«Ma il sacerdote non è il notaio che ratifica una decisione già presa dal penitente» commenta don Nicola Bux, teologo, consultore in Vaticano, autore tra i più citati a livello internazionale. Il suo ultimo libro, “Come andare a messa e non perdere la fede”, è stato già tradotto in cinque lingue.

Ma l’assoluzione, ci ha scritto il nostro lettore, «va data a tutti quelli che si confessano».

«È un’affermazione assurda. Qui si confonde il perdono con il condono. Nella confessione, il sacerdote è allo stesso tempo giudice e medico dell’anima. Assolvere vuol dire “sciogliere”, ossia slegare il penitente dal legame con il peccato. È il sacerdote, non il fedele, che valuta se ci sono le condizione per assolvere o meno».

Il pentimento non basta?

«Il pentimento vero implica la disponibilità del fedele a sciogliere quel legame. Nel Vangelo Gesu Cristo dice: Va', e non peccare più. Mica va' e continua a fare di testa tua».

Il sacerdote ha ritenuto che non vi fossero le condizioni di cui parla?

«Certamente. Non si può pretendere l’assoluzione senza il fermo proposito di non peccare più».

E qui entra in gioco il Giubileo della misericordia.

«Concetto parecchio frainteso, negli ultimi tempi. Le regole non sono cambiate e i sacerdoti si attengono alla solita dottrina, tutti allo stesso modo, esattamente come tutti i giudici si attengono alla legge, senza eccezioni. Perché questo concetto è dato per scontato in tribunale e vorremmo sovvertirlo nelle chiese?».

È chiaro da che parte stia don Bux.

«Dalle parte di Gesù Cristo, ovviamente. Nessuno, su questa terra, ha l’autorità di cambiare le regole della sua Chiesa. Tant’è vero che dal sinodo è uscito un documento che non cambia assolutamente nulla, in materia di disciplina dell’eucaristia ai divorziati risposati».

Però, papa Francesco, a molti sembra intenzionato a cambiare rotta.

«Un altro enorme fraintendimento. Lo ha spiegato molto chiaramente il cardinale Muller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, ossia il custode della fede cattolica, il quale afferma: “La dottrina non è una teoria costruita dagli uomini. Il magistero del Papa e dei vescovi non è superiore alla Parola di Dio”».

A giudizio del sacerdote il nostro lettore sarebbe ancor più peccatore in quanto faceva la comunione, nonostante avesse divorziato e si fosse poi risposato.

«E vorremmo fare una colpa al sacerdote? È Gesù Cristo che, nel Vangelo, decreta l’indissolubilità del matrimonio. E San Paolo mette in guardia dal ricevere il sacramento indegnamente. Come si può pretendere di accedere all’eucaristia, se non si è più in comunione con la propria moglie? È una contraddizione in termini. Ed altre ne emergono, da quella lettera».

A cosa si riferisce?

«Innanzitutto il dato di partenza. Il lettore si definisce “cattolico credente”, ma anche divorziato e risposato, il che tradisce l’indissolubilità del vincolo coniugale. Poi parla, testualmente, di uno “schiribizzo”, che lo avrebbe spinto a confessarsi dopo dodici anni di assenza dal confessionale. Ma almeno una volta all’anno, i cattolici hanno l’obbligo di confessarsi e di comunicarsi. È un tipico esempio di “cristianesimo fai da te”, che dovrebbe adattarsi alla nostre esigenze. Un fenomeno dal quale ci aveva messi in guardia il papa Benedetto XVI».

Ultima questione. La porta santa aperta nella Basilica, non rappresenta un percorso penitenziale speciale?

«Anche su questo bisogna fare chiarezza. Il peccato, un po’ come il reato, comporta la colpa ed una pena. La confessione assolve dal peccato, non dalla pena che sarà scontata nell’aldilà a livello soprannaturale. È a questo punto che entra in gioco il Giubileo che, in via straordinaria, serve ad assolvere anche dalla pena. Le porte della misericordia, nella Chiesa, erano, sono e saranno sempre aperte. Ma alle consuete condizioni. E i sacerdoti sanno che non devono cedere, non devono lasciarsi intimorire dalle opinioni dominanti».

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