sabato 6 dicembre 2014

"Ego dilécto meo, et diléctus meus mihi, qui páscitur inter lília" (Cant. 6, 2- Offert.) - IN VIGILIA CONCEPTIONIS IMMACULATÆ BEATÆ MARIÆ VIRGINIS - San Massimiliano Maria Kolbe: «Il culto dell'Immacolata Conce­zione»

La Vigilia dell’Immacolata Concezione e l’Ottava della festa costituisce come un privilegio liturgico, mediante il quale Pio IX, nel 1854, volle rendere più solenne la festa dell’Immacolata Concezione dichiarata da lui dogma della fede cattolica. Entrambe – la vigilia e l’Ottava – furono soppresse col decreto di semplificazione delle rubriche del 1955.
Di fatto, poiché l’usanza delle grandi stazioni vigiliali precedenti la domenica e le feste dei martiri più celebri era scomparsa sin dall’Alto Medioevo, le feste mariane solenni introdotte a Roma nell’VIII sec., come la Purificazione e la Natività della Beata Vergine, non sono precedute da alcuna vigilia nei sacramentari.
Non vi è eccezione che per la vigilia dell’Assunzione, celebre a Roma a causa di una solenne processione con fiaccole, che, dal Laterano andava sino alla basilica di Santa Maria Maggiore, passando da Santa Maria Nova e per i fori imperiali. Questo spiega la ragione per la quale, sino al ‘55, questa Vigilia si atteggiasse a vero e proprio privilegio liturgico, col quale Pio IX aveva inteso solennizzare la festività dell’Immacolata. Tuttavia, la preghiera delle ore era incentrata tutta su sant’Ambrogio, non facendosi nulla della Vigilia nell’Ufficio.
In questa vigilia, come del resto in tutte le messe vigiliali di carattere per così dire penitenziale, intimo, frequentate da un’assemblea abbastanza ristretta di chierici e di fedeli, a differenza delle messe stazionali o domenicali alle quali prendeva parte un tempo tutto il popolo, si omette il canto alleluiatico per riservarlo alla solennità dell’indomani mattina.
La festa dell’Immacolata Concezione della santa Vergine è intimamente legata a quella della sua santa Natività, perciò la Chiesa legge oggi la genealogia del divin Salvatore (Mt. 1, 1-16), già prescritta per l’8 settembre. L’albero della discendenza di Gesù - di carattere mnemonico e rappresentativo, ma con alcune lacune nel catena genealogica – offre un senso teologico molto più profondo di quello di un semplice dettaglio storico, perché ha per scopo di confermare la divina promessa fatta ad Abramo ed a Davide, facendo sapere che dalla loro discendenza sarebbe nato il Messia. Difatti Egli volle avere non solo per madre la Vergine Maria, ma dispose anche che i suoi antenati fossero Abramo, Isacco, Giacobbe, ecc., affinché per la realtà della sua natura umana, che rimane indubbia, gli uomini apprendessero che il Verbo si era unito alla loro carne per elevare questa al trono della divinità.

L’albero di Jesse, in Rabano Mauro, De Laudibus Sancte Crucis, 1250-1300, Bibliotheque Municipale, Douai

Jan Mostaert (attrib.), L’albero di Jesse, 1520 circa, Rijksmuseum, Amsterdam


Victor, L'Albero di Jesse, 1674, Museo delle Icone, Venezia

Emmanouil Tzanes Bounialìs, Maria e l'Albero di Jesse, 1644, Museo delle Icone, Venezia


Si nota spesso, negli antichi manoscritti dei Vangeli, che la pagina di pergamena sulla quale si trascriveva l’albero genealogico del Salvatore, era sottoposta ad un bagno di porpora e che i caratteri erano di oro; ciò aveva per scopo di indicare la sovrana devozione che dobbiamo nutrire per tutto ciò che si riferisce all’adorabile Persona del divin Salvatore.
Dopo Gesù, Maria è il capolavoro della creazione, quella che, in maniera più perfetta di ogni altra creatura, porta in sé l’impronta e l’immagine del Creatore. Le altre creature non si dedicano a Dio che parzialmente o troppo tardi, quando già il peccato ha ferito e ha indebolito le loro potenzialità. Gesù voleva una madre che fosse tutta sua che gli appartenesse interamente con tutti quei titoli in virtù dei quali una Madre di Dio può appartenere a Dio solo. Egli allora creò Maria; formò il suo corpo, creò la sua anima e vi effuse tutti i tesori di grazia di cui è capace una tale creatura. E, come il fiore fa la bellezza della pianta, così il Salvatore volle nascere, secondo la profezia di Isaia, dal gambo senza macchia di Maria, per esserne la gloria, il prezzo ed il frutto dell’immacolata verginità.
In questo giorno della vigilia anticipata dell’Immacolata – stante domani la ricorrenza della II Domenica di Avvento con la memoria di S. Ambrogio, vescovo, confessore e dottore della Chiesa – e del grande vescovo e confessore S. Nicola di Myra (o di Bari), che è molto celebrato dalla liturgia e dall'arte (v. qui), sembra quantomeno opportuno riportare quest’articolo scritto dall’alfiere dell’Immacolata, S. Massimiliano Maria Kolbe, riproposto dall’ottimo Corrispondenza romana e rilanciato dall’altrettanto insigne Cantuale Antonianum.








San Massimiliano Maria Kolbe: « Io sono l’Immacolata Concezione »

copertina del Cavaliere dell'Immacolata
Si era a Parigi nell’anno 1305. Dal convento dei Frati Francescani esce un giovane religioso e in grande raccoglimento si dirige verso la più celebre scuola di quel tempo, l’università della Sorbona. Pensa all’Immacolata e La invoca con sommesse giaculatorie affinché lo aiuti nel difendere il suo privilegio, a Lei tanto caro, di Immacolata Concezione.
Proprio in quel giorno, infatti, per ordine del Papa e di fronte ai suoi legati, si deve svolgere una disputa generale tra i fautori di questo privilegio e i suoi avversari.
E la disputa è stata provocata proprio da lui…
Da poco tempo egli si è insediato sulla cattedra universitaria, lasciata libera da Guglielmo Ware, ritiratosi a causa dell’età avanzata. Per ordine del P. Generale ha abbandonato la cattedra universitaria di Oxford, dove aveva parlato pubblicamente e con vero entusiasmo della « Concepita senza peccato ». E gli studenti erano accorsi da ogni parte, fino a raggiungere il numero di 30.000. Ora è giunto a Parigi.
Nemmeno qui perde l’occasione di difendere apertamente l’Immacolata Concezione. È solo dal 18 novembre del 1304 che egli si è insediato a Parigi, dopo aver lasciato Oxford, tuttavia al Papa Clemente V, ad Avignone, giungono già lagnanze nei suoi confronti, per il fatto che egli sostiene pubblicamente il privilegio dell’Immacolata Concezione, quasi che egli insegnasse una dottrina contraria alla fede, per una esagerata devozione verso la santissima Vergine. E proprio oggi egli deve giustificarsi a tutti i professori e perfino alla presenza dei legati del Papa.
Potrebbe fare diversamente? Lui, francescano, figlio spirituale del santo Patriarca d’Assisi? …
Il Padre s. Francesco… Egli, in effetti, mandando i primi frati alla conquista delle anime, insegnava loro una preghiera alla Madonna: « Ti saluto, Signora… eletta dal santissimo Padre del cielo, che ti consacrò con il santissimo e dilettissimo Figlio e con lo Spirito Santo Paraclito. In Te vi è e vi fu tutta la pienezza di grazia e ogni bene ».
Era stato ancora lui, a Rovigo, nell’Italia settentrionale, a celebrare l’Immacolata Concezione di Maria [P. Kolbe annota “nel Sermone di Pentecoste”, in realtà il riferimento è nel Sermone antoniano per la domenica di Quinquagesima] alla presenza di una gran folla di ascoltatori e nella stessa località proprio lui in persona aveva raccolto offerte e costruito una chiesa dedicata alla Madonna, erigendo pure in essa un altare alla Concezione della ss. Vergine. S. Antonio, poi, uno dei primi figli del Padre s. Francesco, non chiamava forse Maria nelle sue prediche con il dolce nome di « Vergine Immacolata »? Solo 40 anni più tardi, nel capitolo generale di Pisa (1263) il settimo ministro generale dei Frati Francescani, S. Bonaventura, aveva ordinato a tutti i figli del Padre s. Francesco, a tutti i conventi e a tutte le Province, di celebrare la festa dell’Immacolata Concezione.
Sì, egli ha il diritto, ha il dovere, come francescano, di lottare in difesa di un privilegio tanto sublime della Genitrice di Dio.
I professori di Parigi asseriscono che si tratta di una dottrina nuova. è vero che la denominazione può sembrare nuova, ma la medesima realtà non era professata, forse, dai fedeli fin dalle origini della Chiesa? Non viene professata, forse, dappertutto, quando si proclama che Ella è piena di grazia, che è purissima, santissima? Ebbene, la macchia del peccato originale e proprio una negazione della pienezza di grazia e di santità.
Una dottrina nuova? …I Padri della Chiesa non proclamano, forse, abbastanza chiaramente la loro fede e quella dei loro secoli nell’Immacolata Concezione di Maria, quando affermano che Ella è purissima sotto ogni aspetto e totalmente senza macchia, purissima, sempre pura, che in Lei il peccato non ha mai dominato, che Ella è più che santa, più che innocente, santa sotto ogni aspetto, pura senza macchia, più santa dei santi, più pura degli spiriti celesti, la sola santa, la sola innocente, la sola senza macchia, la senza macchia oltre ogni misura, la sola beata oltre ogni misura?…
La verità è che non tutti quei signori conoscono con esattezza gli scritti dei Padri della Chiesa, soprattutto di quelli orientali; leggano, quindi, anche quelle pergamene.
Essi sostengono che l’affermazione secondo cui la ss. Vergine fu immune dalla macchia del peccato originale, è un oltraggio alla dignità di Cristo Signore, il quale ha redento tutti senza alcuna eccezione ed è morto per tutti. Ma non è proprio per questo, per i meriti della sua futura morte, che Egli non ha permesso neppure che Ella fosse macchiata da qualsiasi colpa? Non è proprio per questo che Egli L’ha redenta nel modo più perfetto? Colui che porta via un sasso dalla strada, affinché un altro non inciampi e cada, non usa, forse, una cortesia maggiore di colui che solleva chi è già caduto?…
Ho ascoltato tante e tante obiezioni di tipo diverso, ma nessuna può resistere alla critica.
Sì, Dio aveva la possibilità di preservare la propria Madre anche dalla macchia del peccato originale. Senza dubbio l’ha voluto fare; infatti, perché non avrebbe potuto voler fare questa cosa per Colei che doveva divenire la degna Madre di un Dio infinitamente puro e santo; e quindi… non lo ha forse fatto?…
Sì, indubbiamente lo ha fatto.
Scoto sollevò lo sguardo; stava appunto passando accanto ad un palazzo: dal vano di una nicchia di esso l’Immacolata, scolpita in una statua di marmo, lo guardava con benevolenza.
Il suo cuore palpitò di gioia. Gli vennero alla mente gli anni della sua adolescenza, allorché si era presentato alla porta del convento dei Frati Francescani di Oxford; allorché, dopo essere stato accettato, incontrava grosse difficoltà nello studio per mancanza di capacità e, avendo pregato la Vergine Immacolata, sede della sapienza, aveva ricevuto tale grazia in grande abbondanza e aveva promesso all’Immacolata di consacrare alla sua gloria tutto il proprio genio e tutta la propria scienza.
Per Lei, appunto, stava andando in quel momento a combattere. Si tolse il cappello e pregò interiormente con fervore: «Fammi degno di lodarti, Vergine santissima. E dammi forza contro i tuoi nemici». E si accorse che l’Immacolata, con un inchino del capo, gli prometteva l’aiuto. (La statua dell’Immacolata col capo inchinato rimase esposta fino al 1789, anno in cui i massoni la distrussero durante la Rivoluzione).
Continuò il cammino pieno di riconoscenza, immerso nella propria indegnità, infiammato d’ amore verso la sua Immacolata Signora.
Nell’ampia aula dell’università i numerosi oppositori avevano occupato i posti su ambedue i lati. Anche il modesto Scoto si recò al proprio posto e attese umilmente che gli venisse concessa la parola. Fecero il loro ingresso pure i tre inviati del Papa e si posero al centro dell’aula nei posti loro assegnati, per ascoltare la disputa e presiederla.
Si fecero avanti per primi gli avversari. Con molteplici argomentazioni, che i contemporanei enumerarono fino a 200, essi confutarono le affermazioni del povero francescano.
Finalmente, esaurite le obiezioni, si fece silenzio. Il legato del Papa accordò la parola a Scoto. Questi, con la più grande meraviglia dei numerosi presenti, enumerò tutte le obiezioni nell’ordine in cui erano state presentate, le confutò con molta decisione e continuò giustificando con chiare dimostrazioni, la dottrina dell’Immacolata Concezione della ss. Vergine. Le sue argomentazioni furono tanto convincenti che i professori e i dotti presenti gli attribuirono, secondo l’usanza del tempo, l’appellativo di « sottile », a motivo della sua abilità.
Ecco come viene descritta la scena da Pelbart di Temesvar, quasi contemporaneo di Scoto: « A costoro (quelli che negavano l’Immacolata Concezione) si oppose il valente oratore. Erano state presentate solide argomentazioni contro di lui, in numero di 200. Le ascoltò tutte una dopo l’altra con serenità e con disinvoltura, ma con attenzione, e con una memoria sorprendente le ripeté nello stesso ordine, sciogliendo le intricate difficoltà e dimostrazioni con grande facilità, come Sansone aveva fatto con i legami di Dalila [cf. Gdc 16, 9-14]. Inoltre Scoto aggiunse altre numerose e assai valide argomentazioni per dimostrare che la santissima Vergine è stata concepita senza macchia di peccato. La sua dissertazione impressionò talmente gli studiosi dell’università parigina, che in segno di approvazione Scoto fu insignito del titolo onorifico di “Dottore Sottile” ».
Da allora i Francescani, sparsi per le varie località dell’Europa, con franchezza sempre maggiore proclamarono ovunque ai fedeli l’Immacolata Concezione della Vergine purissima.
Allorché il giorno 8 novembre 1308 il coraggioso difensore del privilegio dell’Immacolata Concezione lasciava questo esilio terreno, a Colonia, nella cui università aveva insegnato negli ultimi anni, la fede nell’Immacolata Concezione di Maria aveva posto ormai radici così profonde che giustamente il celebre teologo spagnolo Vasquez poteva scrivere nel secolo XVI: « Dai tempi di Scoto (la fede nell’Immacolata Concezione) è cresciuta tanto non solo tra i teologi scolastici, ma anche in mezzo al popolo, che nessuno ormai è più in grado di farla scomparire ».
170 anni dopo la disputa di Parigi ebbe luogo un’altra disputa, che durò parecchi giorni, in Vaticano, alla presenza del Papa Sisto IV, anche egli francescano. P. Francesco Nanni, 39°ministro generale dei Frati Francescani, in quella occasione sciolse in modo così brillante le difficoltà mosse dagli avversari, che il Papa, incantato, esclamò: « Tu sei davvero un Sansone fortissimo ». Poco tempo dopo lo stesso Pontefice emanava, in data 27 febbraio 1477, una celebre costituzione, nella quale confermava l’ufficio e la Messa dell’Immacolata Concezione, composti da Leonardo de Nogarolis e concedeva indulgenze a tutti coloro che avrebbero recitato tale ufficio o celebrato la s. Messa nel giorno della festa o nell’ottava dell’Immacolata Concezione.
La fede nell’Immacolata Concezione della Madonna si faceva sempre più e più viva. Ciò che in passato era implicito nella fede nell’espressione: « pienezza di grazia », vale a dire la santità e la purezza senza macchia della Madonna, ora lo si manifestava espressamente, si venerava in tutta la sua ampiezza e si chiamava con un nome proprio, fino al giorno in cui, nei decreti divini, giunse a maturazione il momento in cui il Papa Pio IX, 256° successore di s. Pietro, circondato da 53 cardinali, 42 arcivescovi, 92 vescovi e da una folla incalcolabile di fedeli, nella sua veste di supremo Pastore di tutta la Chiesa, dichiarava solennemente che la dottrina — la quale affermava che la ss. Vergine Maria nel primo istante della sua concezione è stata preservata immune da ogni macchia del peccato originale, per una grazia particolare e per un privilegio dell’onnipotente Iddio, in considerazione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano — era stata rivelata da Dio.
In tale occasione, poi, il Papa incoronava un quadro dell’Immacolata Concezione, che era stato collocato ancora dal Papa Sisto IV, francescano, sopra l’altare della cappella dedicata a questo privilegio mariano.
Quattro anni più tardi l’Immacolata stessa, quasi per confermare il dogma definito, dichiarava a Lourdes: « Io sono l’Immacolata Concezione».

San Massimiliano Kolbe O.F.M.

Articolo pubblicato in Kalendarz Rycerza Niepokalanej, 1925, pp. 40-46.
In italiano, Il culto dell’Immacolata Concezione, in trad. it. a cura di C. Zambelli OFM conv., Gli scritti di Massimiliano Kolbe, Città di Vita, Firenze 1978, vol. III (SK 1081), pp. 170-176.

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