lunedì 17 dicembre 2018

Introduzione alla "Sacrosanctum concilium" di Mons. Nicola Bux in occasione dell'inizio delle Antifone Maggiori

Oggi, 17 dicembre, iniziano le Antifone Maggiori, dette anche Antifone “O” dall’esclamazione di meraviglia con cui si aprono.
La prima inizia con “O Sapientia”.






In questi giorni delle Antifone e di Novena al Santo Natale, pubblicheremo ogni giorno un contributo dei membri della Scuola Ecclesia Mater dedicato ognuno all’esame di un capitolo della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, solennemente promulgata nel dicembre 1963.
Questi interventi sono stati tenuti, in occasione degli incontri formativi, a Bari, della Scuola nell’arco temporale dal 2014 al 2016.
Cominciamo con il commento al Proemio da parte di don Nicola Bux.

COMMENTO AL PROEMIO DELLA COST. SACROSANCTUM CONCILIUM

di Nicola Bux

Nella versione italiana del Proemio della Sacrosanctum Concilium (§§ 1-4), si notano alcune alterazioni di carattere teologico e filologico. Innanzitutto, l’uso improprio (presente in alcune versioni ufficiali, soprattutto quella presente sul sito del Vaticano - qui citata) del minuscolo: “Liturgia”, tradotto “liturgia”; “Eucharistiae Sacrificio”, “sacrificio dell’eucaristia” (SC n. 2).
Si concorda sulla necessità “di favorire ciò che può contribuire all’unione di tutti i credenti in Cristo; di rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa” (SC n. 1), ma si rimane perplessi quando si vuole mettere la Liturgia, che ha «la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina (SC n. 2), alla stregua di tutte “quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti [instutiones quae mutationibus obnoxiae sunt]» (SC n. 1).
Dobbiamo, pertanto, comprendere l’esatto significato della frase: «Il sacro Concilio [...] ritiene quindi di doversi occupare in modo speciale anche della riforma e della promozione della liturgia [Sacrosanctum Concilium [...] suum esse arbitratur peculari ratione etiam instaurandam atque fovendam Liturgiam curare]» (SC n. 1). Che la Liturgia sia ognora da ‘promuovere’ (fovendam), incrementandola presso «i fedeli [affinché] esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa» (SC n. 2), è fuori di dubbio; non altresì quando si dice di essa che sia da ‘riformare’, traducendo in tal modo il gerundio latino instaurandam. Quantunque si parli nei testi magisteriali di «riforma liturgica del Concilio [liturgica Concilii reformatio]» (Istruzione Redemptionis Sacramentum, n.4; Enciclica Ecclesia de Eucharistia, n. 10), il verbo ‘instaurare’ - in latino e in italiano - va inteso come restaurare (cfr. Devoto-Oli, Dizionario della lingua italiana) e non già come trasformare. È quanto si legge nel testo in francese: «A la restauration et au progrès de la liturgie». D’altro canto, lo stesso verbo latino ‘reformare’ si traduce con ‘restaurare’ (cfr. Castiglioni-Mariotti, Vocabolario della lingua latina, ed. Loescher, Torino 1966). ‘Instaurare’, allora, può significare: ‘ritornare ai fondamenti’.
Bisogna, infine, parlare di ‘sana Tradizione’, distinguendo tra Tradizione divina e tradizione umana.

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