venerdì 23 marzo 2018

Cristianesimo e Islam, la storia di uno scontro secolare in un saggio di Massimo Viglione

Il Venerdì di Passione, che precede la Settimana Santa, commemora i Sette Dolori della B. V. Maria. La Chiesa Romana commemora due volte questi Dolori. Nella festa del 15 settembre essi sono onorati quale fonte di gloria e trionfo, mentre nell’odierna commemorazione, all'antivigilia dell'inizio della Settimana Santa, come fonte di asprissimo dolore. In entrambi i casi la Chiesa propone alla venerazione Maria in quanto Corredentrice del genere umano, in subordine al Cristo Redentore: Ella cooperò alla nostra redenzione col suo martirio e con l'offerta a Dio Padre della vittima del sacrificio perfetto, il Figlio Gesù.
Fasciculus myrrhæ *
dilectus meus mihi inter ubera mea commorabitur
(Ant. Canticum Trium Puerorum, Laudes).
In questa Commemorazione, rilanciamo questa recensione dell’ultimo saggio del prof. Viglione.





Francesco Coghetti, Addolorata, 1868, Bergamo

F. Del Re, Addolorata, 1883, Manfredonia

Scuola lombarda, Madonna addolorata, XIX sec., Bergamo

Ambito bergamasco, Madonna addolorata, XIX sec., Bergamo

Giovanni Pezzotta, Addolorata, 1890-1911, Bergamo

Cristianesimo e Islam, la storia di uno scontro secolare in un saggio di Massimo Viglione

di Veronica Rota


L’ultima fatica (parola più che mai indovinata, trattandosi di una epocale ricostruzione storica) di Massimo Viglione presenta quattro secoli e oltre di storia religiosa, politica, diplomatica, ovviamente militare. Il quadro che esce da La conquista della “mela d’oro” (Solfanelli, 360 pagine, 30 euro) è impressionante, tra Papi e Sultani, Imperatori e re, santi e visir, battaglie di terra e di mare, condottieri e avventurieri, diplomatici e corsari, e la grande massa delle popolazioni massacrate ma anche ribelli. Ogni potenza europea ne viene coinvolta: oltre al Papato e all’Impero, troviamo la Francia con la sua ambigua e a volte per niente ambigua politica filo-ottomana, la Borgogna, la Spagna di Carlo V e Filippo II, ovviamente Genova e soprattutto Venezia (le due potenze dei “mali christiani”, vittime della loro stessa scaltra politica), anche gli Stati italiani minori, l’Ungheria di Huhyadi e l’Albania di Scanderbeg e gli Stati balcanici minori, la Polonia di Sobieski e la Russia di Pietro il Grande, la Grecia e le potenze islamiche africane, con i fratelli Barbarossa in primis. Un grande ed epocale affresco di uomini e di eventi politici, militari, diplomatici e anche religiosi.

Vengono nello specifico descritte (sebbene mai in maniera troppo approfondita, per lasciare più spazio alle vicende politiche, diplomatiche e religiose) le battaglie di Kossovo, Nicopoli, gli assedi di Costantinopoli, Varna, Belgrado, la caduta di Costantinopoli, la tragedia di Otranto (e tante altre tragedie), Rodi, Mohács, il primo assedio di Vienna, Tunisi, Algeri, Buda, Malta, Cipro, Lepanto, e quindi la Lunga Guerra, Candia, il trionfo di Vienna, le guerre di Morea e quelle finali di Eugenio di Savoia. Soprattutto però viene descritto l’operato dei grandi protagonisti militari e politici (da Hunyadi a Scanderbeg, da Maometto II a Barbarossa e a Solimano il Magnifico, da La Valette a don Giovanni D’Austria e i protagonisti di Lepanto, dal Montecuccoli al Morosini, da Hunyadi ad Eugenio di Savoia), per non parlare dei grandi predicatori, come Giovanni da Capistrano, Lorenzo da Brindisi e, soprattutto ovviamente, padre Marco d’Aviano.
Ma la maggiore attenzione viene data alla politica. Anzitutto a quella pontificia, che vide decine e decine di papi combattere gli ottomani, sebbene non certo in ugual misura; quindi a quella dei sovrani cristiani, dal XV secolo ai Re Cattolici, da Carlo V – cui si è dato particolare spazio, essendo stata la sua politica crociata un aspetto sempre sottovalutato finora – e Filippo II al collaborazionismo dei sovrani francesi, da Leopoldo imperatore al Re Sole, il “Turco Cristianissimo”, come venne chiamato per la sua costante alleanza con gli ottomani (senza dimenticare personaggi “minori” ma importanti, come Carlo di Gonzaga Nevers o Vlad III Dracul, e vari altri del suo genere…); infine, agli aspetti più diplomatici e ideologici di questa immensa vicenda, che vede coinvolti decine e decine di protagonisti di ogni genere e tipo.
Poi vi sono i corsari, tanto islamici (a partire dai fratelli Barbarossa) che cristiani; i cavalieri di Rodi e Malta e quelli di Santo Stefano; gli avventurieri, i rinnegati, e le figure, spesso davvero interessanti, dei gran visir (quasi tutti rinnegati un tempo cristiani) e dei paşa. Il tutto contornato da una costante caterva di inumane violenze, che avvennero sempre, fino alla fine.
Piuttosto indovinata risulta la scelta di compiere questa ricostruzione generale dell’intero plurisecolare fenomeno, perché in Italia non esiste nulla del genere. La quasi totalità dell’enorme produzione storiografica sulla Crociata si incentra infatti nei due secoli usuali medievali. Da qualche decennio ci si interessa del XIV e XV secolo, sebbene vi sia ancora molto da approfondire. Ma ancora poco è stato scritto dei tre secoli successivi, e quel poco non sempre ha avuto spiegazioni o interpretazioni corrette. Soprattutto, gli studi – che comunque non mancano, sia chiaro – si sono sempre incentrati su specifici aspetti, limitati nello spazio o nel tempo. Ma nessuno insomma aveva finora offerto alla storiografia italiana, e anche al grande pubblico, la ricostruzione generale, intera, di tutta la guerra “crociata” e “non crociata” tra Impero ottomano e Cristianità.
“Crociata” e “non crociata”: Viglione fa molta attenzione a questa fondamentale distinzione. Pur seguendo i più seri e importanti lavori degli ultimi decenni, ha scelto, con piena convinzione, di non sposare in toto la linea, dominante, della relativizzazione degli ideali crociati e comunque dei grandi ideali cavallereschi come spiegazione degli eventi (tipico atteggiamento della storiografia irrigimentata). E la semplice veritiera ricostruzione dei fatti dimostra la giustezza della scelta di Viglione. Se molto di questa storia non può essere definito “crociata” (ma solo guerra antiottomana: basti pensare a Venezia o ad alcuni potentati balcanici, preoccupati solo di sopravvivere e pronti in ogni momento a collaborare con il Nemico a tal scopo), molto può invece esserlo definito, e nel XVII secolo più che nel XV. La storia non procede in linea retta, anche questa grande vicenda lo dimostra ampiamente. Per Carlo V o Filippo II, per Hunyadi o Scanderbeg, per Morosini o Montecuccoli, per Carlo di Gonzaga Nevers o per Eugenio di Savoia, non si trattava solo di “guerra antiottomana”, ma di vera e propria “Crociata”, nel perdurare dello spirito plurisecolare nella Cristianità medievale. Ma furono soprattutto i pontifici, come detto, gli artefici dell’immenso sforzo di resistenza all’aggressore della Cristianità, per tutti i secoli dell’età moderna (come di quella medievale): furono i pontefici romani a salvare, anche sotto questo aspetto, la nostra civiltà e libertà.
Anche se, come detto, non tutti alla stessa maniera: uno dei risvolti più interessanti che ci offre l’autore è proprio l’evidenziazione delle differenze tra pontefice e pontefice nella resistenza all’invasore ottomano. Se un Niccolò V scriveva, nei giorni della caduta di Costantinopoli, che Maometto era «filius satana, filius perditionis, filius mortis, animas simul et corpora cum patre suo diabulo cupiens devorare» e subito dopo Callisto III giurava a Dio, nel giorno della sua intronizzazione, di spendere ogni giorno del suo pontificato, fino alla morte, per recuperare «Costantinopoli, che, a punizione del peccatore genere umano, fu conquistata e distrutta dal nemico del Crocifisso Salvatore, dal figlio del diavolo, Mohammed; per liberare inoltre i cristiani languenti in schiavitù, per rialzare la vera fede ed estirpare in Oriente la diabolica setta del reprobo e infedele Mohammed», se Pio II moriva di crepacuore per il dolore di essere abbandonato da tutti nel suo tentativo di Crociata, se san Pio V, Clemente VIII e il beato Innocenzo XI saranno i salvatori della Cristianità sotto attacco, altri pontefici ebbero ben altro atteggiamento: a volte “distratto”, a volte perfino complice (Clemente VII), a volte… inconcepibile (Paolo IV Carafa, in pieno Concilio di Trento, afferma pubblicamente che era pronto a ricorrere ai turchi pur di fermare gli Asburgo!).
Sono questi alcuni dei più interessanti rivolti di questa storia, fermo rimanendo che le pagine forse più da scoprire sono, al dunque, quelle dell’immenso scontro tra Carlo V da un lato a difendere la Cristianità e il traditore Francesco I di Francia con Solimano uniti dall’altro, scontro proiettato sul mare nei due uomini rivali giganti della guerra di corsa: il Barbarossa (uno dei più grandi criminali della storia umana, ma geniale in guerra) e Andrea Doria, colonna dell’impero asburgico.
Sottilmente interessante rimane anche scoprire la vita al TopKapi: il ruolo dei visir, quello dei giannizzeri, quello dei rinnegati e dei loro figli (in pratica, sultani e visir erano tutti di sangue occidentale), quello delle donne dell’Harem, spesso cristiane rapite da fanciulle, come la onnipotente Roxellana, preferita di Solimano e difensore dei cristiani. Da notare è che gli stessi sultani hanno quasi sempre arrecato la guerra anzitutto per ragioni religiose: essi stessi dovevano rispondere agli Ulema, oltre che a tutto il loro complesso mondo politico-militare. E solo in seconda battuta per ragioni economiche.
Insomma, si tratta di un’opera unica nel suo genere, finora inesistente in lingua italiana, che fornisce l’intero mosaico della plurisecolare guerra tra Islam ottomano e Cristianità. E apre le porte alla comprensione di tanti eventi successivi, fino ad arrivare al presente, nel quale, la Turchia, come sempre, svolge il suo preoccupante ruolo di “penetrazione” dell’islam in ambiente europeo.

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