domenica 23 luglio 2017

L’Abate Caronti, testimone della Grande Guerra

Il 22 luglio del 1966 si spegneva nell’abbazia di Noci l’abate Emanuele Caronti.
Per ricordare l’evento rilanciamo volentieri questo contributo del prof. Abbruzzi.








L’Abate Caronti, testimone della Grande Guerra

di Vito Abbruzzi

Il 22 luglio di cinquantuno anni fa moriva l’Abate Emanuele Caronti. Per una misteriosa coincidenza, un amico – ignaro della cosa – mi ha telefonato chiedendomi dove e come poter acquistare il Diario di Guerra (1917 – 1918) che il nostro Abate redasse da cappellano dei bersaglieri in quella che il Papa di allora, Benedetto XV, non esitò a stigmatizzare come “inutile strage”.
Quel Diario (amabilmente curato da Padre Lunardi), purtroppo non è più in commercio; la stessa abbazia della Scala di Noci ha esaurito tutte le copie in vendita e non credo abbia l’intenzione di ristamparlo.
Peccato!
Peccato, perché, pur trattandosi di “semplici appunti”, esso è altamente interessante per “l’immediatezza del linguaggio che ci immerge nella drammaticità delle sofferenze, nella monotonia delle interminabili giornate in una baracca del Campo e infine nella gioia della liberazione. Ne scaturisce un Caronti ‘inedito’, probabilmente diverso da quella immagine che ne avevamo. Qui ci troviamo di fronte a un uomo che si commuove quando ripensa alla Mamma o al monastero lontani, che gode della amicizia dei suoi colleghi, ma specialmente, che sa affrontare sofferenze inattese e atroci, perché dietro ad esse il suo sguardo di fede scorge sempre la mano di un Dio che è Amore”.
È quanto scrive nella premessa al Diario di Guerra il buon Don Giovanni Lunardi, che dell’Abate Caronti è il depositario delle memorie scritte e non scritte. Un personaggio, quello dell’Abate Caronti, che va assolutamente riscoperto, rivalutato e, soprattutto, riattualizzato… perché di attuale è attuale; anzi, è attualissimo!
C’è una frase del Diario che mi commuove assai assai, scritta il 14 dicembre del 1917 da un Caronti sofferente, duramente provato dalla spietata prigionia nella lontana e freddissima Ungheria:
« Sono vari giorni che nel mio cuore sento un abbandono completo nelle mani di Dio ».
Due giorni prima egli, a causa del freddo intenso, aveva accusato “dolori acuti di palpitazione del cuore”, appuntando nel taccuino: « Erano già vari anni che non sentivo questo disturbo. L’attacco odierno mi impressiona ».
L’“abbandono completo nelle mani di Dio” altro non è che un momento di profondissima estasi: la stessa, certamente, provata dall’altro importante testimone della Grande Guerra: Giuseppe Ungaretti, che – guarda caso – nello stesso anno (il 26 gennaio 1917) scrive: « M’illumino d’immenso ». Struggimento totale.
Ma se Ungaretti si limita a testimoniarci l’orrore della Prima Guerra Mondiale attraverso i suoi sublimi versi divenuti celeberrimi nella loro scarna bellezza, Caronti fa lo stesso nel suo Diario, raccontando in poche ma lapidarie battute la quotidianità da combattente prima e da prigioniero dopo.
Un interessante documento da leggere!


Le immagini dell'articolo sono state scannerizzate dal prof. Vito Abbruzzi

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