martedì 7 marzo 2017

La crisi del tomismo e il “pensiero debole” a proposito della emorragia di religiosi

«Se riconosciamo la nostra debolezza e chiediamo perdono, allora la misericordia risanatrice di Dio risplenderà dentro di noi e sarà pure visibile al di fuori; gli altri avvertiranno in qualche modo, tramite noi, la bellezza gentile del volto di Cristo». Queste le irenistiche parole di Francesco con cui si sancisce l’avvicinamento della Chiesa di Roma a quella d’Inghilterra (non il contrario!), visitando pochi giorni fa la chiesa anglicana All Saints’ della Capitale (vqui), ancora una volta sfacciatamente incurante che, proprio in quel luogo, nel 2010, fu ordinata la prima prete donna italiana (vqui).
A dar man forte alla “debolezza” della teologia bergogliana, l’attuale generale dei Gesuiti, P. Sosa, che, in una recente intervista, ha svelato l’arcano: la dottrina non è vincolante; priorità della prassi o “discernimento” (vqui). Intervista che ha immediatamente suscitato la ferma reazione dell’insigne teologo Mons. Antonio Livi, confutando il compagno nonché amico di Bergoglio, Sosa, che «per la sua assoluta incoerenza logica, non meriterebbe alcun commento teologico ma solo una risata» (vqui). Volentieri, nella festa tradizionale di S. Tommaso d’Aquino, pubblichiamo questo contributo di Franco Parresio.

La crisi del tomismo e il “pensiero debole” a proposito della emorragia di religiosi

di Franco Parresio

Sabato 28 gennaio 2017, il vescovo di Roma Francesco, incontrando nella Sala Clementina i rappresentanti degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica, riuniti in Sessione Plenaria per riflettere sul tema della fedeltà e degli abbandoni (v. qui), ha parlato di vera e propria «“emorragia” che indebolisce la vita consacrata e la vita stessa della Chiesa».
Mettendo da parte, una volta tanto, il suo solito affettato ottimismo (tutt’uno con l’orfanezza autoreferenziale del suo pontificato), e ricorrendo all’anacronistico plurale maiestatico (ben diverso dal deriso camauro indossato da Ratzinger), Bergoglio ha solennemente ammesso: «Gli abbandoni nella vita consacrata ci preoccupano».
Finalmente se n’è accorto!
Finalmente si è accorto della crisi che morde – e forte – la vita della Chiesa!
Ma quel chiedersi, con fare retorico, «Che cosa è accaduto?», appare, ancora una volta, come il goffo tentativo autoassolutorio, rifuggendo la scomoda autocritica e puntando il dito contro altro: altro come «questo che è un cambio di epoca e non solo un’epoca di cambio, in cui risulta difficile assumere impegni seri e definitivi […], immersi nella cosiddetta cultura del frammento, del provvisorio, […] vittime della logica della mondanità, […] di contro-testimonianza” che “proviene dall’interno della stessa vita consacrata».
È vero quando egli sottolinea che, «parlando di fedeltà e di abbandoni, dobbiamo dare molta importanza all’accompagnamento. […] Non poche vocazioni si perdono per mancanza di validi accompagnatori». Ma è pur vero che stiamo ora tristemente vedendo e toccando con mano i risultati della più che mai decantata Chiesa in uscita, i cui risultati fallimentari fanno pensare, invero, ad una Chiesa in liquidazione.
La verità è che è cambiata l’ortoprassi e l’ortodossia cattolica!
E le colpe non sono solo da attribuire alla svolta impressa dal Concilio alla vita della Chiesa!
Il Concilio ha recepito le istanze moderniste di inizio Novecento, ribaltando il primato del Lógos sull’Éthos, dell’onestà intellettuale su quella morale: primato consolidato grazie alla teologia e alla disciplina ecclesiastica del Medioevo. E a denunciarlo – guarda caso – è un autore in odore di modernismo: Romano Guardini. Già cento anni fa, ne Lo spirito della liturgia, il filosofo tedesco di origine italiana così scriveva: «Per esso [il Medioevo] il Lógos aveva il primato sull’Éthos. […] L’età moderna portò a questo riguardo una profonda mutazione. […] Così la vita attiva venne anteponendosi a quella contemplativa, la volontà alla conoscenza. […] Da qui viene anche che istituzioni spirituali come gli antichi ordini contemplativi, […] oggetto di predilezione per tutto il mondo credente, ora non trovano spesso comprensione neppure presso cattolici, e debbono essere di continuo difese dai loro amici dalla taccia di ozioso perditempo. […] Un accentuato attivismo domina tutto; l’Éthos ha la preminenza sul Lógos, l’aspetto attivo su quello contemplativo. […] Che atteggiamento tiene la religione cattolica di fronte a questo sviluppo? […] Questa spiccata preminenza della volontà sulla conoscenza, dell’Éthos sul Lógos, contraddice allo spirito del cattolicesimo. Il protestantesimo […] rappresenta l’espressione più o meno religioso-cristiana di questo spirito; e con pieno diritto Kant è detto il suo filosofo. Questo spirito ha progressivamente sacrificato la salda verità religiosa, e ha fatto della convinzione religiosa, sempre più di giorno in giorno, un mero oggetto del giudizio, del sentimento, dell’esperienza personale. La verità scivolò così dal dominio dell’oggettivamente saldo a quello del soggettivamente fluttuante. […] Non […] più una “vera fede”, bensì solo un’esperienza della fede del tutto personale, […] non più un contenuto di fede professabile e insegnabile, bensì la dimostrazione della rettitudine dello spirito mediante la rettitudine dell’azione. […] Il credente si era radicato non più nell’eternità, ma nel tempo. […] In tal modo la religione prese un orientamento sempre più mondano (weltfreudig). Essa divenne sempre più la consacrazione dell’esistenza umana temporale nei suoi aspetti più vari, una santificazione dell’attività terrena: del lavoro professionale, della vita sociale, della famiglia e simili. Ma chiunque abbia considerato per un certo tempo queste cose, rileva quanto inadeguata sia questa spiritualità, quanto contraddica alle leggi supreme dell’esistenza e dell’anima. Essa è falsa e perciò innaturale nel più profondo significato di questa parola. Qui sta la fonte specifica dell’angustia dell’età nostra. […] La religione cattolica si oppone con tutta la sua forza a questa mentalità. La Chiesa perdona ogni altra mancanza più facilmente che un attentato alla verità. Essa sa bene che, se uno manca ma non intacca la verità, egli può ritrovarsi e riprendersi» (pp. 100-106).
Se Guardini riscrivesse oggi il suo libro noterebbe che la religione cattolica, ahimè!, non solo non si oppone più a questa mentalità, ma la giustifica; si pensi, ad esempio alla questione che sta dividendo i cattolici sull’apertura della Chiesa circa la comunione ai divorziati risposati. «Senza un serio ripensamento e una rinnovata prassi della […] iniziazione cristiana, che attualmente nella maggioranza dei casi ha come esito non l’aggregazione, ma il congedo dalla Chiesa, è illusorio voler rimediare ai problemi del matrimonio e della famiglia cristiani, applicando magari delle toppe apparentemente “nuove” sul tessuto già molto invecchiato della cultura familiare attuale. Fa impressione constatare come si accendano i toni intorno alla questione dei fallimenti matrimoniali e alle strategie pastorali da seguire, mentre invece si assiste alla catastrofe del battesimo e della iniziazione cristiana con una specie di assuefatta indifferenza! Ma non c’è troppo da sorprendersi. Ciò non è che la ovvia conseguenza […] di una cultura che è stata abbondantemente assimilata anche dalla teologia» (G. Meiattini OSB, Innanzitutto figli. Nascere, sposarsi, generare, ed. La Scala, Noci 2015, p. 18).
Esattamente la sopradetta cultura del frammento, del provvisorio, della logica della mondanità, di cui è portavoce il “pensiero debole” predicato da Gianni Vattimo: «un tipo particolare di sapere caratterizzato dal profondo ripensamento di tutte le nozioni che erano servite da fondamento alla civiltà occidentale in ogni campo della cultura. Secondo questa prospettiva i valori tradizionali sarebbero diventati tali solo a causa di precise condizioni storiche che oggi non sussistono più; per questo motivo deve essere messa in crisi la loro pretesa di verità. A fondamento del pensiero debole c’è l’idea che il pensiero non è in grado di conoscere l’essere e quindi non può neppure individuare valori oggettivi e validi per tutti gli uomini» (v. qui).
Di qui l’odierna debolezza della teologia sacramentaria, in modo particolare quella riguardante l’Ordine Sacro, messo sensibilmente in crisi da una mentalità, tutta ecclesiale, che lo ha ripensato come mezzo “per consacrare il mondo”; per cui viene spontaneo chiedersi: «Il sacerdozio: un dono dall’alto o un incarico sociologico?» (cfr. Con i Sacramenti non si scherza. Intervista a don Nicola Bux, in questo Blog, 29.1.2017).
Non c’è da stupirsi se poi anche quel “bravo ragazzo con laurea universitaria, che lavorava in parrocchia”, a cui fa riferimento Francesco nel suo discorso, sia andato dal suo vescovo e gli abbia detto: «Io voglio diventare prete, ma per dieci anni». Evidentemente il suo discernimento vocazionale lo aveva fatto ascoltando quella famosissima canzonetta sentimental-religiosa, in cui il chiamato viene pateticamente gasato con la prospettiva di divenire «sacerdote dell’umanità» (v. canto del gruppo Gen Rosso Servo per amore), assurgendo a una sorta di supereroe all’interno delle comunità in cui dovrà svolgere il proprio ministero presbiterale… fino a che gli altri glielo faranno credere …

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