lunedì 20 marzo 2017

Inno "Te Joseph celebrent"

Giuseppe Carnelli, Madonna con Bambino, S. Giuseppe e S. Pietro, 1893, Chiesa Parrocchiale, Grumello de' Zanchi

Giuseppe Carnelli, Transito di S. Giuseppe, 1905, Chiesa Parrocchiale, Albino

Il culto a san Giuseppe è molto antico: nella Chiesa d'Oriente risale con tutta probabilità direttamente alle primitive comunità giudeo-cristiane, che lo hanno tramandato anche alla Chiesa Copta. Invece nella chiesa di Occidente, pur essendo attestato fin dal secolo VIII, per tutto il primo millennio cristiano e per quasi metà del secondo rimase nelle celebrazioni dei vari ordini monastici e religiosi, ma la festa fu istituita piuttosto tardi.
Fu il papa Pio V ad inserirla con rito doppio nella riforma del breviario (1568) e del messale (1570) e l’8 maggio 1621 Gregorio XV la rese obbligatoria per tutta la Chiesa (il decreto, tuttavia, non trovò esecuzione ovunque e Urbano VIII il 13 settembre 1642 lo rinnovò con la bolla Universa per orbem).
Clemente X (6 dicembre 1670) elevò la festa al rito doppio di seconda classe, introducendo nel breviario (1671) i tre inni in onore di san Giuseppe:
Te, Ioseph, celebrent
Caelitum, Ioseph, decus
Iste, quem laeti.
La festa ebbe poi alterne vicende, e attualmente in Italia non è più di precetto dal 1977.

* * *


L'inno Te, Ioseph, celebrent è usato ai secondi Vespri per la festa di San Giuseppe, sposo della Beata Vergine Maria (19 marzo) e poi di nuovo il 1° maggio (San Giuseppe Lavoratore).
Si tratta di un testo più tardo rispetto al corpus gregoriano; risale al secolo XVII o al più tardi agli inizi del XVIII e l'autore è assai incerto: potrebbe essere il monaco fogliante e cardinale Giovanni Bona (morto nel 1674), ma altri indicano Johannes von der Empfängnis (morto intorno al 1700) e altri ancora il coevo Fr. Juan Escollar.
La poesia latina del testo si segnala chiaramente come un'aggiunta successiva al repertorio classico del canto gregoriano: i suoi più sofisticati schemi metrici e la sua mancanza di rima hanno chiaramente rotto con la devozione medievale alle strutture ambrosiane.
La melodia del canto su cui ogni strofa è impostata è strutturata in quattro frasi melodiche ben definite cadenti su Re, La, Do, e infine di nuovo su Re; ogni frase descrive un arco melodico, e il risultato è una forma complessiva finemente cesellata, che raggiunge il climax nella terza frase e ritorna delicatamente alla cadenza finale più riposante.


Fonte: blog LaSacraMusica, 18.3.2014

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