mercoledì 1 marzo 2017

“Immutémur hábitu, in cínere et cilício: jejunémus, et plorémus ante Dóminum: quia multum miséricors est dimíttere peccáta nostra Deus noster” (Joël. 2, 13 - Antiph.) - FERIA QUARTA CINERUM

Dopo il periodo di Settuagesima,  dai tempi di san Gregorio Magno, questo giorno inaugurava a Roma la santa quarantena ed era anche chiamato in capite ieiunii; nel IV sec., esso segnava l’inizio della penitenza canonica che i penitenti pubblici dovevano compiere, al fine di essere assolti il Giovedì santo. Secondo i rituali del VII sec., il mattino di questo giorno i penitenti si presentavano ai sacerdoti deputati a questo ministero nei differenti Titoli e nelle basiliche patriarcali; confessavano i loro peccati e, se questi erano stati gravi e pubblici, ricevevano dalle mani del penitenziere una veste di cilicio ruvido ricoperto di cenere, con l’ordine di ritirarsi in un monastero – un centinaio circa si ergevano all’epoca nell’Urbe – al fine di compiere la penitenza di questa quarantena, che era stata loro imposta. Ecco l’origine delle quarantene che si ritrovano nelle antiche formule di concessione delle indulgenze.
Per il rito della benedizione delle ceneri, il messale attuale conserva ancora un’ultima traccia della cerimonia dell’imposizione della penitenza canonica ai penitenti pubblici.
In origine, il concetto della santità trascendente dello status sacerdotale era così elevato e così vivo, che i ministri sacri non erano ammessi in questa umiliante categoria. Fu verso l’XI sec. che, nella cerimonia di questo giorno, essendo cessata la disciplina della penitenza pubblica, ai penitenti di una volta si sostituirono indistintamente il Papa, i membri del clero ed il popolo romano, che cominciavano da allora a camminare a piedi scalzi e con il capo coperto di cenere sino alla basilica di Santa Sabina, aprendosi così sotto gli auspici di questa santa Martire la penitenza quaresimale. Questa basilica fu fondata (o ricostruita) sotto Celestino I da un certo Pietro, sacerdote illirico, ma una donna chiamata Sabina dové contribuirvi anch’ella, in modo che la basilica ricevette il suo nome, prima che nella stessa vi si trasportasse, dall’area Vindiciani, i resti della martire omonima, Sabina. Gregorio Magno vi intimò la sua famosa litania Septiformis di penitenza, e, nel Medioevo, l’abitazione che vi è annessa servì più volte da dimora del Pontefice. Il papa Silvero vi abitò quando fu esiliato da Roma da Belisario; Onorio III Savelli la munì di muraglie e di torri che sussistono in parte ancora oggi; ed alla morte di Onorio IV, i cardinali vi si riunirono per il conclave che durò circa un anno. Dopo questo tempo, il prestigio della residenza pontificia sull’Aventino decrebbe poco alla volta e l’antico palazzo fortificato divenne finalmente l’asilo pacifico dei Padri Predicatori di san Domenico, che ancora oggi, mostrano con grande venerazione ai visitatori le celle già santificate dalla residenza di san Domenico e di san Pio V. Sotto l’altare maggiore, con le ossa di santa Sabina e di santa Serapia, si conservano i corpi dei martiri di Ficulea sulla via Nomentana: Alessandro, Evenzio e Teodulo.
Tornando all’imposizione delle ceneri, questa nel IX sec. era ancora un rito penitenziale a se stante, senza alcuna relazione con la stazione eucaristica. Verso l’Ora Settima – vale a dire quando il Romano si apprestava a terminare la sua giornata civile di lavoro, per andare a prendere il suo bagno alle terme e disporsi dopo alla coena, che costituiva il principale pasto di tutto il giorno – il popolo, avendo alla sua testa il Papa ed il clero, si raccoglieva dapprima nel titolo di Anastasia, nella stretta valle compresa tra il Palatino e l’Aventino e, da là, al canto lamentoso delle litanie, si dirigeva processionalmente verso la basilica di Sabina. Quando vi era arrivato, l’Introito essendo omesso poiché era già stato eseguito nel tempio della «colletta», si celebrava il sacrificio eucaristico; dopo l’ultima preghiera di benedizione, all’invito del diacono: ite missa est, i fedeli rientravano nelle loro case e rompevano il digiuno.
Sebbene, come abbiamo detto, la penitenza pubblica cominciasse a cadere in desuetudine, l’uso d’imporre in questo giorno le ceneri a tutti i fedeli divenne sempre più generale e prese posto fra le cerimonie essenziali della Liturgia Romana. È difficile dire esattamente in quale epoca si produsse tale cambiamento. Sappiamo solo che nel Concilio di Benevento (1091) Urbano II ne fece un obbligo a tutti i fedeli. Nel XII sec., il rito apparve molto più sviluppato nell’Ordo Romanus del canonico Benedetto, venendo indicate le antifone, i responsori e le preghiere della benedizione delle Ceneri, sebbene queste fossero già in uso fra l’VIII e il X secolo.
Una volta i cristiani si avvicinavano a piedi nudi a ricevere l’ammonimento sul niente dell’uomo. Ancora nel XII sec., lo stesso Pontefice, per recarsi da Sant’Anastasia, dove aveva imposto le ceneri, a Santa Sabina, dov’è la Stazione di questo giorno e dove si celebrava la messa, percorrendo le dolci pendenze dell’Aventino, faceva tutto il tragitto senza calzatura ed in abiti penitenziali, come pure i Cardinali che l’accompagnavano. La Chiesa, in seguito, mitigò questo rigore esteriore; ma continuò a dare valore ai sentimenti interni che deve produrre in noi un rito così espressivo. Prima della comunione, il Suddiacono Regionario avvertiva il popolo: «Crastina die veniente, statio erit in ecclesia Sancti Georgii Martyris ad velum aureum» («Domani la stazione sarà nella chiesa di San Giorgio al Velabro (al vello d’oro)»), e tutti rispondevano: Deo gratias (Ord. Rom. XI, § 34, in PL 78 col. 1038C).
Se il Papa era trattenuto da occupazioni urgenti nell’episcopium del Laterano, un accolito, dopo la messa, immergeva un po’ di cotone nell’olio profumato delle lampade, che ardevano davanti l’altare della chiesa stazionale, e si recava al patriarchium, dove si faceva introdurre alla presenza del Pontefice: Jube, domne, benedicere, gli diceva rispettosamente il chierico. Avendo ottenuto la benedizione, presentava il cotone aggiungendo: «hodie fuit statio ad Sanctam Sabinam, quæ salutat te» («Oggi, la stazione si è svolta a Santa Sabina che Ti saluta»).
Il Papa baciava allora con riverenza questo fiocco di cotone e lo rimetteva al cubicolario, perché, dopo la sua morte, lo mettesse nel suo cuscino funebre (ivi, col. 1038D). Così era costume di fare tutte le volte che il Pontefice non interveniva alla stazione.
Va ricordato che l’odierna sacra funzione incomincia con la benedizione delle ceneri, ottenute dalle Palme benedette l’anno prima nella Domenica che precede la Pasqua. La nuova benedizione ch’esse ricevono in questa circostanza ha lo scopo di renderle più degne del mistero di contrizione e di umiltà che stanno a significare.
Accostiamoci, oggi, perciò a ricevere questo segno penitenziali, seguendo le regole tradizionali fissate dalla Chiesa circa il digiuno e l’astinenza, che abbiamo indicato anche gli anni passati ed a cui rinviamo (v. qui e qui).






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