sabato 28 gennaio 2017

L’«unità dei cristiani» e la lezione dimenticata di Bonhoeffer

Nella festa del beato Carlo Magno, della natività di S. Agnese, vergine e martire (II memoria di S. Agnese) e di S. Pietro Nolasco, pubblichiamo questo contributo di Franco Parresio.



Jean-Victor Schnetz, Il beato Carlo riceve il beato Alcuino di York ed i suoi monaci, che presentano alcuni manoscritti, 1830, musée du Louvre, Parigi 

Karl Baumeister, Beato Carlo Magno e S. Ildegarda, 1895, chiesa di S. Giovanni Battista, Bussen

La Vergine della Marcede e S. Pietro Nolasco


Juan Luis Zambrano (allievo di Francisco de Zurbarán), Morte di S. Pietro Nolasco, 1634 circa, museo Thyssen-Nornemisza, Madrid

Gaspar de Crayer, S. Pietro Nolasco, 1655 circa, Mudeo del Prado, Madrid


Alonso del Arco, La Vergine della Mercede appare a S. Pietro Nolasco, 1682, Mudeo del Prado, Madrid

Juan de Toledo, S. Pietro Nolasco, 1660 circa, Mudeo del Prado, Madrid

Scuola spagnola, S. Pietro Nolasco, XVIII-XIX sec., collezione privata

L’«unità dei cristiani» e la lezione dimenticata di Bonhoeffer

di Franco Parresio

Nel ricordo della deposizione delle reliquie del santo dottore Tommaso D’Acquino, il sommo teologo, avvenuta nel 1369 a Tolosa nella chiesa a lui dedicata e la cui festa celebreremo il prossimo 7 marzo, nonché al termine dell’Ottavario di preghiera per il ritorno dei dissidenti in seno alla Santa Madre Chiesa Cattolica Apostolica Romana, voglio ricordare la lezione dimenticata del teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, ucciso dalla ferocia nazista. E la lezione consiste proprio nel suo forte avvicinamento alla teologia cattolica, professando quanto nel Simbolo Apostolico è detto circa la “Sanctorum communio”. Ecco cosa egli scrisse in una lettera ad amici, che avevano subito un lutto in famiglia:

«Non c’è nulla che possa sostituire l’assenza di una persona cara; non c’è nessun tentativo da fare. Bisogna semplicemente tener duro e sopportare. Ciò può sembrare a prima vista molto difficile, ma è al tempo stesso una grande consolazione, perché, finché il vuoto resta aperto, si rimane legati l’un l’altro per suo mezzo. È falso dire che Dio riempie il vuoto, Egli non lo riempie affatto; anzi lo tiene espressamente aperto, aiutandoci, in tal modo, a conservare la nostra antica reciproca comunione, sia pure nel dolore. Ma la gratitudine trasforma il tormento del ricordo in una gioia silenziosa».

Stiamo più che certi che Dietrich Bonhoeffer, se sopravvissuto, avrebbe aderito alla Chiesa di Roma, visto che era profondamente attratto non solo dalla sua teologia (stanco delle cinciscaglie protestanti), ma anche dai suoi riti, tant'è che passava lunghi periodi di ritiro e studio in un monastero benedettino e, recandosi a Roma, frequentava esclusivamente le liturgie capitolari in Santa Maria Maggiore, come apprendiamo dalla biografia che ne ha scritto Eraldo Affinati (Un teologo contro Hitler. Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer, Milano, 2002).
Perciò, non mi trovo assolutamente d’accordo con chi strumentalizza il nome di Bonhoeffer per avvicinare i cattolici alla teologia protestante, perché è vero esattamente il contrario! 
Ricordiamoci: «a definire e descrivere questa verace Chiesa di Cristo (che e la Chiesa Santa, Cattolica, Apostolica Romana), nulla si trova di più nobile, di più grande, di più divino che quella espressione con la quale essa vien chiamata "il Corpo mistico di Gesù Cristo" [ad definiendam describendamque hanc veracem Christi Ecclesiam — quae sanctā, catholica, apostolica, Romana Ecclesia est —nihil nobilius, nihil praestantius, nihil denique divinius invenitur sententia illa, qua eadem nuncupatur «mysticum Jesu Christi Corpus»]» (Pio XII, enc. Mystici Corporis Christi, 29.6.1943).

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