sabato 21 gennaio 2017

Il deandreano Dio di misericordia

Nella festa di sant’Agnese, vergine e martire, rilanciamo questo contributo del prof. Vito Abbruzzi.




Seguace di Sebastien Bourdon, Martirio di S. Agnese, XVII sec., collezione privata

Francesco Furini, S. Agnese, XVII sec., collezione privata


Onorio Marinari, S. Agnese, XVII sec., collezione privata

Anonimo, S. Agnese, XVII sec.

Anonimo, Martirio di S. Agnese, XVII sec., collezione privata


Domenichino, Martirio di S. Agnese, 1621-1625, Pinacoteca Nazionale, Bologna



G. Audran, Riproduzione del quadro del Domenichino del Martirio di S. Agnese, XVII sec., collezione privata

Ambito trentino, Martirio di S. Agnese, 1631 circa, Trento

Giovanni Evangelista Draghi, Martirio di S. Agnese, 1690-1710, Piacenza

Bernardo Lorente Germán, S. Agnese, XVIII sec., collezione privata

Giovanni De Min (attrib.), Martirio di S. Agnese, XVIII-XIX sec., Parrocchia di San Vendemiano, S.Vendemiano



Nicolò Traverso, S. Agnese in gloria, 1790 circa, Chiesa di Nostra Signora del Carmine e Sant'Agnese, Genova

Giovanni David (e Carlo Alberto Baratta), S. Agnese rifiuta le nozze col figlio del Prefetto, 1790-1799, Chiesa di Nostra Signora del Carmine e Sant'Agnese, Genova

Giovanni David (e Carlo Alberto Baratta), Tentazione di S. Agnese, 1790-1799, Chiesa di Nostra Signora del Carmine e Sant'Agnese, Genova


Joseph Désiré Court, Martirio di S. Agnese, 1864, Musée des Beaux-Arts, Rouen


Bottega italiana, S. Agnese, 1890-1910, Piacenza

Il deandreano Dio di misericordia

di Vito Abbruzzi


A giorni il mondo della musica d’autore ricorderà i cinquant’anni della prematura e tragica scomparsa di Luigi Tenco: morto suicida alle prime ore del 27 gennaio 1967, profondamente turbato, dopo la prima serata di Sanremo, per la bocciatura della sua struggente canzone Ciao amore, ciao.
L’occasione è propizia per parlare dell’ambivalente rapporto giustizia-misericordia divina: non sempre ben compreso; anzi, fonte, ultimamente, di non pochi dubbi di carattere biblico-teologico. E lo facciamo alla luce dell’altrettanto struggente canzone Preghiera in gennaio: una sorta di commendatio animae composta e interpretata dal grande Fabrizio De Andrè, per raccomandare al “Dio di misericordia” il suo amico fraterno Luigi Tenco, pesantemente vilipeso, in mortem e post mortem, da quelli che sprezzantemente sono chiamati nella canzone “signori benpensanti”.
Il deandreano “Dio di Misericordia” non è affatto diverso dal “Dio di giustizia”.
Sembra, infatti, che l’espressione “Dio di giustizia” si riferisca a un dio spietato, mentre, al contrario, “Dio di misericordia”, a un dio pietoso. I due concetti non solo non sono confliggenti, ma sono uno espressione dell’altro, come lo stesso Giovanni Paolo II ci ricorda nella sua Catechesi su “Giudizio e misericordia: due dimensioni del mistero di amore”: «A prima vista giudizio e misericordia sembrerebbero due realtà inconciliabili, o almeno la seconda sembra integrarsi con la prima solo se questa attutisce la propria forza inesorabile. Occorre invece capire la logica della Sacra Scrittura, che le lega assieme e anzi le presenta in modo che l’una non possa esistere senza l’altra» (udienza gen. 7.7.1999).
Invocare, dunque, il “Dio di misericordia” – esattamente come fa De Andrè – è affermare la giustizia di Dio, non diversamente dal Salmista che accoratamente prega: «Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa contro gente spietata» (Ps. 42, 1).
Se così non fosse daremmo ragione a chi, come Moshe Idel, il più noto studioso contemporaneo della mistica ebraica, autore de Il male primordiale nella Qabbalah. Totalità, perfezionamento, perfettibilità, pubblicato recentemente da Adelphi (cfr. P. Citati, Il Dio imperfetto degli ebrei, in Corriere della sera, 15.12.2016), sostiene la tesi di un “Dio imperfetto”, perché «luce e tenebre, bene e male insieme; misericordia e giudizio, giustizia e malvagità, paradiso ed inferno; mano destra e mano sinistra» (ivi). Il dualismo verrebbe attenuato e mitigato, giacché, secondo Idel, «il male abita Dio»: un fatto che distingue radicalmente il cristianesimo dall’ebraismo: nel cristianesimo Dio è perfetto, e ignora perfino che qualcuno possa parlare, a suo proposito, di mancanza; nella Qabbalah, Dio conosce la mancanza: egli non sarebbe onnipotente né perfetto. Tesi sostenuta anche da Galimberti quando, parlando del sacro nella cultura ebraica, dice della «con-fusione (syn-bàllein) che regna […] tra il bene e il male» (U. Galimberti, Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto, ed. Feltrinelli, Milano 2012, p. 21): «Il sacro è il luogo dell’indifferenziato, dove il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il benedetto e il maledetto si con-fondono» (ivi, p. 9).
La confusione, ahinoi!, non è in Dio, bensì nell’uomo, il quale, nella sua reale imperfezione, non ha capito quanto «dice il Signore: “I miei pensieri non sono come i vostri e le mie azioni sono diverse dalle vostre. I miei pensieri e i vostri, il mio modo di agire e il vostro sono distanti tra loro come il cielo è lontano dalla terra” » (Is. 55, 9).
Ed ecco perché De Andrè si rivolge direttamente a Dio – a quel “Dio di misericordia” –, chiedendogli giustizia per il suo amico suicida, accogliendo l’anima di lui nel suo «cielo: là dove in pieno giorno risplendono le stelle». E chiedendo questo, egli non forza affatto la mano, dal momento che anche per la Chiesa, che – non dimentichiamolo! – è «madre e maestra» (Giovanni XXIII), «non si deve disperare della salvezza eterna delle persone che si sono date la morte. Dio, attraverso le vie che egli solo conosce, può loro preparare l’occasione di un salutare pentimento. La Chiesa prega per le persone che hanno attentato alla loro vita» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2283).
Aveva ragione mia madre: «Gesù non vuol vedere nessuno disperato».

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