martedì 6 ottobre 2015

“Igitur, solitúdinis amóre, erémum quamdam apud Squillácum in Calábriæ fínibus pétiit. Quo in loco, cum ipsum orántem Rogérius comes Calábriæ inter venándum, latrántibus ad illíus spelúncam cánibus, reperísset, sanctitáte viri permótus, illum ac sócios fovére et cólere impénse cœpit. Nec liberálitas sine præmio fuit; cum enim idem Rogérius Cápuam obsidéret, eúmque Sérgius quidam excubiárum magíster pródere statuísset, Bruno, adhuc in dicta erémo vivens, in somnis illi ómnia apériens, ab imminénti perículo cómitem liberávit” (Lect. VI – II Noct.) – SANCTI BRUNONIS, CONFESSORIS ET ORDINIS CARTHUSIANORUM INSTITUTORIS


Dopo la memoria di san Mauro, che abbiamo celebrato ieri, ecco un altro figlio spirituale del Patriarca dei monaci d’Occidente, il quale, sul grande tronco della vita monastica, innestò un ramo speciale di vita semi-anacoretica (cfr. per una rilettura moderna ed aggiornata della figura di san Bruno, Pietro De Leo (a cura di), San Bruno di Colonia: un eremita tra Oriente ed Occidente, Catanzaro 2004, passim).
Questo grande riformatore dell’istituto eremitico alla fine dell’XI sec., che, all’autorità del padre sapeva congiungere la tenerezza della madre (Si tratta di un verso di un breve componimento dedicatorio, di sette versi, che apparve in alcune edizioni intorno al 1515 dell’Epistola dei monaci certosini calabresi, scritta dopo la morte del Santo, e con la quale chiedevano suffragi per l’anima del loro fondatore: … Cum terrore [le versione moderne usano: vigorendr.] patris monstravit viscera matris…, cioè  «Bruno  … alla severità di un padre si associò la tenerezza viscerale di una madre. …»: Epistola encyclica a S. Brunonis obitum quaquaversum nuntiarunt ejus in Turritana eremo discipuli, solitaque pro illius anima suffragia postularunt, in PL 152, col. 553-554, nt. 252), ha, d’altronde, un titolo speciale nei fasti agiografici della Chiesa romana. Risiedé a Roma per qualche tempo, a fianco del beato Urbano II, allo scopo di aiutarlo con i suoi consigli e con la sua collaborazione (cfr. Pietro De Leo (a cura di), L’Ordine certosino e il papato dalla fondazione allo scisma d’Occidente, Catanzaro 2004, passim). Ma affinché, nella capitale del mondo cattolico, il Santo ritrovasse in un certo qual modo l’atmosfera di devoto raccoglimento che circondava la sua prima fondazione certosina della diocesi di Grenoble, secondo la leggenda, Bruno chiese ed ottenne dal papa, nel 1091, l’antica chiesa del titulus Cyriaci alle terme di Diocleziano, che erano all’epoca assolutamente deserte e desolate (così ricorda M. ArmelliniLe chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p. 820). La chiesa sorgeva dove ora si trova il Ministero delle Finanze e se ne sono riconosciute le vestigia gettando le fondamenta del nuovo palazzo nel 1874 (cfr. ibidem, p. 819; C. HuelsenLe Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 246). Dopo questa donazione, più o meno leggendaria, sarebbe nata l’aspirazione dei Certosini di fondare un convento sulle rovine delle limitrofe Terme di Diocleziano.
Dopo aver eretto, nel 1370, una certosa a Santa Croce in Gerusalemme – che però per l’afflusso di pellegrini e per la sua posizione malsana – la rendevano poco adatta alla vita semi-eremitica dei figli di san Bruno, finalmente i certosini riuscirono, dopo vari tentativi, ad ottenere le Terme di Diocleziano ottenendo dal papa Pio IV l’autorizzazione a trasferire la Certosa da Santa Croce alle Terme, che si trovavano all’epoca in uno stato pietoso e che l’incuria aveva quasi raso al suolo (cfr. M. Armelliniop. cit., p. 797).
La certosa di Santa Maria degli angeli alle Terme (S. Mariæ Angelorum in Thermis Diocletiani) (per riferimenti sulla Chiesa e sulla relativa certosa, cfr. ibidem, pp. 821-822; C. Huelsenop. cit., p. 535), dapprima chiusa sotto Napoleone Bonaparte nel 1810, fu riaperta nel 1814 col ritorno del papa a Roma. Nel 1873 allorché furono estese a Roma le leggi eversive dell’asse ecclesiastico e di soppressione degli ordini religiosi contemplativi, la Certosa fu incamerata dal governo italiano. Alcuni monaci continuarono coraggiosamente ancora ad abitarla con grandi difficoltà non potendovi esercitare la loro vocazione solitaria. Quel luogo, un tempo aperta campagna, si andava popolando di palazzi moderni; nelle vie circostanti la circolazione diventava sempre più intensa; per di più gran parte del monastero era stato trasformato in museo che attirava folle di visitatori. Di conseguenza il Capitolo Generale, nel 1884, ordinò ai monaci di lasciare Roma.
Dopo la soppressione della Certosa, il Procuratore Generale visse con qualche confratello in un modesto appartamento di Via Palestro, sino alla fine della seconda guerra mondiale, quando la Procura fu trasferita in Via Cassia alla Tomba di Nerone.
L’intero Convento, con gli opportuni adattamenti, è stato sede del Museo Nazionale Romano e della Soprintendenza alle Antichità di Roma fino agli anni ‘90 del XX sec., ospitando tra l’altro, nel chiostro piccolo, la celebre collezione di sculture “Ludovisi”, poi trasferita insieme alla maggior parte dei reperti a Palazzo Massimo sul fianco destro della Stazione Termini e quindi poco lontano dalla vecchia Certosa.
Nel 2000 tutto il Convento è stato ristrutturato, lasciando intatti all’esterno, sia il chiostro grande che quello piccolo, che hanno continuato ad ospitare, all’interno del piano superiore, ultramoderno, le collezioni che non avevano trovato posto a Palazzo Massimo.
Le parti più trascurate del Convento e quelle più visibili a tutti dal suo esterno sono i giardinetti e le loggette che compongono le antiche celle dei monaci, in Via Cernaia, non avendo ancora la Soprintendenza alle Belle Arti, messo mano al loro restauro.
La Roma cristiana ha dedicato nel 1990 (benché eretta nel ‘64) una chiesa a questo santo nel suburbio gianicolense.
La messa è la stessa del 23 gennaio, per san Raimondo, salvo la prima colletta.
San Bruno, che abbandona il mondo e la sua gloria e si ritira in una profonda solitudine per pregare, per digiunare e per prepararsi a ben morire, ci offre una grande lezione di forza cristiana. Nel mondo, così numerose sono le opportunità che ci portano al male, poiché è molto difficile conservare l’innocenza e santificarsi. Che cosa fanno allora le anime generose? Come Israele fugge per sfuggire alla corruzione degli egiziani; come la colomba di Noè, non trovando dove posarsi sulla terra tutta ricoperta di fango, tornò verso il santo Patriarca nell’arca, così queste anime preoccupate di assicurare la loro salvezza coi mezzi più efficaci e più sicuri, abbandonano il mondo e si rifugiano nel chiostro. Agendo così, esse si salvano e, col loro esempio, assicurano, con un immenso merito per esse stesse, anche la salvezza di un gran numero.


Girolamo Marchesi, S. Bruno, 1525 circa, Walters Art Museum, Baltimora

Juan Sánchez Cotán, S. Bruno in preghiera, Museo de Bellas Artes, Granada

Francisco de Zurbarán, Apoteosi di S. Bruno, 1637-39, Museo de Bellas Artes, Cadice

Nicolas Mignard, S. Bruno in preghiera nel deserto, 1638, Musée Calvet, Avignone

Jusepe de Ribera, Visione di S. Bruno, 1643, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli


Sebastiano e Marco Ricci, Visione di S. Bruno, 1700 circa, collezione privata

Petrus Bombelli, S. Bruno, 1785

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