lunedì 31 agosto 2015

La Messa dell’assemblea culla l’agnosticismo - Editoriale di settembre di “Radicati nella fede”

Nella memoria liturgica di S. Raimondo Nonnato, cardinale e confessore, rilancio quest’editoriale di Radicati nella fede del mese di settembre 2015.



Vicente Carducho, Martirio di S. Raimondo, XVI-XVII sec., Museo del Prado, Madrid


Jerónimo Jacinto de Espinosa, S. Raimondo Nonnato, XVII sec., Museo del Prado, Madrid

Diego Gonzáles de Vega, Cristo incorona S. Raimondo Nonnato, 1673, Museo del Prado, Madrid


Francisco Pacheco, Ultima comunione di S. Raimondo, 1611


Francisco de Zurbarán, Madre implora benedizione di S. Raimondo, XVII sec.


Juan de Mesa, San Ramón Nonato, 1626-27, Museo de Bellas Artes, Siviglia

LA MESSA DELL’ASSEMBLEA CULLA L’AGNOSTICISMO

Editoriale “Radicati nella fede”
Anno VIII n. 8 - Settembre 2015



Ciò che non c’è più nella Messa, scompare inevitabilmente anche dalla vita cristiana. È solo questione di tempo, e nemmeno molto.
Così è stato con l’ultima riforma liturgica: i “vuoti” del rito sono diventati “vuoti” del nuovo cristianesimo.
Ne vorremmo sottolineare uno tra tutti: la scomparsa del submissa voce per il prete, che corrisponde all’assenza del silenzio per i fedeli. Ci sembra questo uno dei punti che più evidentemente indicano un cambiamento radicale nel rito cattolico. D’altronde è questo che soprattutto appare come scandaloso, per i fedeli che oggi si imbattono nella Messa tradizionale: le lunghe parti in cui il sacerdote, specialmente nel canone, pronunciando le parole sottovoce, non fa sentire alcunché ai fedeli, obbligandoli al silenzio.
Più volte abbiamo constatato che è questo a far problema, più dell’uso del latino.
Eppure questo è un aspetto determinante, che se eliminato, cambia tutto non solo nella messa, ma nel cristianesimo stesso.
Il submissa voce, il sottovoce per il prete e il corrispondente lungo silenzio per i fedeli, “incastra” prete e fedeli alla fede, senza appoggi umani. Il sacerdote all’altare deve stare di fronte a Dio, ripetendo sottovoce le parole di Nostro Signore, rinnovando il Sacrificio del Calvario. È un rapporto diretto, personale, intimo con Dio; certo mediato dalla consegna della Chiesa, che custodisce e trasmette le parole che costituiscono la forma del sacramento, ma che in quell’istante non si posa sull’umano della Chiesa, ma sul miracolo della grazia. Così facendo il prete, nel rito tradizionale, immediatamente insegna ai fedeli che ciò che conta è Dio stesso, la sua azione, la sua salvezza, e che queste ci raggiungono personalmente.
La nuova messa non è così, è tutta comunitaria. Il prete in essa, oltre ad essere tutto rivolto ai fedeli, opera come colui che narra ai fedeli ciò che il Signore ha fatto nell’ultima cena: racconta ai fedeli le parole e i gesti del Signore, così che l’azione sacramentale che ne scaturisce appare tutta mediata dall’attenzione che questi ultimi vi devono mettere. Scompare così per il prete il rapporto personalissimo con Dio nel cuore della messa cattolica, il canone, sostituito da questo estenuante rapporto con chi è di fronte all’altare. La nuova forma della messa comunitaria ha così trasformato il sacerdote, gettato in pasto all’attivismo più sfiancante, che è quello di farsi mediare la fede e il rapporto con Dio sempre dai fedeli. La nuova messa ha prodotto un nuovo clero non più aiutato a stare con Dio, non più ancorato all’atto di fede.
Il continuo dialogo nella messa, tra sacerdote e assemblea, ha anche modificato la concezione di Chiesa: oggi pensiamo la Chiesa come nascente dal basso, dal battesimo e quindi dal popolo cristiano; non la pensiamo più come realmente è, nascente dall’alto, da Dio, dal sacramento dell’Ordine. Chi pensa che la Chiesa sorga dal battesimo, non sopporta più quel prete all’altare, che sottovoce pronuncia le parole che costituiscono il miracolo del sacramento.
Anche i fedeli sono direttamente rovinati dal nuovo rito perché, continuamente intrattenuti dal parlare del prete, hanno disimparato anch’essi a stare di fronte a Dio. Così Dio stesso si trova sostituito dall’assemblea celebrante, che diventa ingombrante ostacolo nell’educazione al personale atto di fede.
In questi ultimi tempi si è tentato nella messa moderna di correre ai ripari, cercando invano di reintrodurvi un po’ di silenzio, collocato dopo la lettura del Vangelo, ma anche questo espediente rivela la gravità della nuova posizione. Questo silenzio reintrodotto, solitamente brevissimo, è un silenzio di riposo umano, di meditazione: esso è di tutt’altra natura rispetto a quello prodotto dal submissa voce. Il submissa voce produce un silenzio che avvolge il rapporto intimo del sacerdote con Dio, che dà la sua persona affinché accada l’azione divina che salva. Il silenzio del submissa voce è incentrato sull’azione di Dio e non sulla meditazione dell’uomo, ed è uno dei più grandi richiami al primato della vita soprannaturale, al primato della grazia.
Non c’è nulla da fare, occorre tornare alla Messa di sempre, per tornare alla centralità dell’atto di fede, personale risposta all’azione di Dio.
Sacerdoti e fedeli non possono resistere di fronte al mondo, se non sono costituiti in forza da questo rapporto personalissimo, che nessuna assemblea può sostituire.
L’alternativa? Un agnosticismo pratico, un dubbio di fede pratico, un sospeso dell’anima, riempito dalle parole di un’assemblea che intrattiene per non far pensare.
Osiamo dirlo: la nuova messa, tutta ad alta voce, tutta narrazione e predica, ha cullato i vari agnosticismi, dei preti e dei fedeli, non fermando il dramma dell’apostasia, cioè dell’abbandono pratico della vita cristiana. Ha illuso, dando, nel migliore dei casi, un po’ di calore umano a buon mercato, diseducando a una posizione di fede vera, assolutamente necessaria per attraversare la battaglia di questa vita.
Torniamo alla Messa tradizionale, prima palestra del cristianesimo, quello vero.

domenica 30 agosto 2015

Sempre il matrimonio .........

Il matrimonio è il fulcro, da sempre, della morale cristiana, contro cui i nemici della Chiesa e della fede cristiana si sono accaniti.
Proprio in difesa del matrimonio, la Chiesa annovera alcuni martiri. Tra questi uno è san Giovanni Battista, il cui martirio è stato celebrato ieri, morto per la purezza ed indissolubilità del vincolo nuziale.
Ma anche san Tommaso Moro, che si oppose ad un atto del Parlamento (inglese) direttamente contrario alla legge di Dio e della sua Santa Chiesa (v. qui e qui).
Insomma, nella storia della Chiesa, il matrimonio è stato uno dei terreni di scontro tra opposte forze. Ieri come oggi. Rilancio volentieri, perciò, questa riflessione tratta da Rorate caeli.

Marriage, it's always been marriage


From the very first Martyrdom, that of the "Greatest born of women", Saint John the Baptist, whose Beheading we celebrate today, the purity/indissolubility of marriage has always been the essential moral and social dogmatic centerpiece of Christian life since the fullness of time, when Our Lord Jesus Christ, "by virtue of His supreme legislative power ...restored the primeval law in its integrity by those words which must never be forgotten, 'What God hath joined together let no man put asunder'." (Casti connubii, 34)
Always marriage: always marriage, whose purity the Greeks were at times led to corrupt by Imperial orders. Always marriage -- the rejection of the indissolubility of a single marital bond at the end made that most Catholic Isle, the Dowry of Mary, be led astray by a murderous and lecherous tyrant.
In the Sacrosanct Council of Trent, the Sacrament was completely surrounded with utmost protection. But despite so much attack from the neo-paganized society around us, it is incredibly under attack from the very top of our own Church, and, worse, as always happens with Modernists, they do not wish to disestablish indissolubility itself. No, they want to disestablish it in all but name: if a "remarried" couple is not in need of confession and can approach the most Blessed Sacrament in purity officially (and so an unmarried couple, or a homosexual or polygamous "partnership" of any sort), then what is the purpose of the Sacrament at all, much less of its indissolubility?
As always, these evil hierarchs now at the highest echelons of the Church,
"put their designs for her ruin into operation not from without but from within; hence, the danger is present almost in the very veins and heart of the Church, whose injury is the more certain, the more intimate is their knowledge of her. Moreover they lay the axe not to the branches and shoots, but to the very root, that is, to the faith and its deepest fires. And having struck at this root of immortality, they proceed to disseminate poison through the whole tree, so that there is no part of Catholic truth from which they hold their hand, none that they do not strive to corrupt. Further, none is more skilful, none more astute than they, in the employment of a thousand noxious arts; for they double the parts of rationalist and Catholic, and this so craftily that they easily lead the unwary into error; and since audacity is their chief characteristic, there is no conclusion of any kind from which they shrink or which they do not thrust forward with pertinacity and assurance. To this must be added the fact, which indeed is well calculated to deceive souls, that they lead a life of the greatest activity, of assiduous and ardent application to every branch of learning, and that they possess, as a rule, a reputation for the strictest morality. Finally, and this almost destroys all hope of cure, their very doctrines have given such a bent to their minds, that they disdain all authority and brook no restraint; and relying upon a false conscience, they attempt to ascribe to a love of truth that which is in reality the result of pride and obstinacy." (Pascendi, 3)

May Saint John the Baptist, through his most pure and blessed blood, preserve the Church in this extremely perilous time.
Saint Pius X, pray for us.

“Exínde cœpit supérnis abundáre delíciis, illustrári visiónibus, colliquéscere seráphicis ardóribus. Angelo tutelári, sanctæ Catharínæ Senénsi, Vírgini Deíparæ inter assíduas apparitiónes mire familiáris, a Christo has voces audíre méruit: Rosa cordis mei, tu mihi sponsa esto” (Lect. VI – II Noct.) – SANCTÆ ROSÆ A SANCTA MARIA, VIRGINIS LIMANÆ

Questo delicato fiore della Chiesa del Perù ha avuto il raro privilegio che il suo ufficio venisse redatto da quel pio e dotto liturgista che fu il Cardinal Giovanni Bona.
La popolarità della nostra Santa, morta il 24 agosto 1617, fu tale che Roma aveva permesso, sin dalla beatificazione, la celebrazione della sua Messa votiva nel mondo intero, caso unico nella storia del culto dei santi. Fu canonizzata il 12 aprile 1671.
La festa di santa Rosa fu iscritta nel calendario ed elevata da Benedetto XIII al rito doppio nel 1727, in modo che essa ha praticamente soppresso quella dei due martiri del cimitero di Commodilla, ridotta al rango di mera commemorazione.
Come santa Caterina da Siena, Rosa era iscritta al Terz’Ordine di san Domenico; nella basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma, presso la tomba della vergine di Siena, si venera il crocifisso dinanzi al quale Rosa aveva costume di fare l’orazione.
Prima di ammettere la pia vergine peruviana alle sue nozze mistiche, Dio si compiacque farla passare attraverso la prova del fuoco. Egli la purificò con dure penitenze corporali, per mezzo anche di quelle pene mistiche che soffrì l’anima che non è ancora abituata al contatto con la divinità, la quale, al dire dell’Apostolo, è sempre ignis consumens.
La messa è dal Comune delle Vergini, come il 10 febbraio, ma la prima colletta è propria, nella quale è disegnato un bel programma di vita spirituale. Ciascuno di noi deve esprimere Gesù Cristo nella sua vita, nei suoi pensieri, nelle sue parole, togliendo alla pietà cristiana tutto quel che di aspro o di spigoloso può conferirle talora la nostra mortificazione; cosi che la devozione appia anche agli altri soave ed amabile, come appariva appunto quella del Divin Maestro e della sua sposa oggi celebrata.



Scuola di Cusco, S. Rosa col Bambino Gesù, 1680-1700, Museo de Arte de Lima, Lima

Claudio Coello, S. Rosa con il Bambino Gesù, 1683, Museo del Prado, Madrid

Bartolomé Esteban Murillo, S. Rosa da Lima, 1670, Museo Lázaro Galdiano, Madrid


Gregorio Vásquez de Arce y Ceballos, Matrimonio mistico di S. Rosa (o Caterina da Siena) alla presenza di S. Barbara, S. Giuseppe e S. Agostino, 1670,  Museo de Arte del Banco de la República, Bogotà

Scuola catalana, S. Rosa stringe il Bambino Gesù, 1788 circa, collezione privata


Nicolás Correa, Nozze mistiche di S. Rosa, 1691, Museo Nacional de Arte (MUNAL), Città del Messico

Anonimo, S. Rosa ai piedi di S. Domenico, XVII sec., Museo de Arte Religioso, Basilica Cattedrale, Lima 

Francisco Martínez, S. Rosa rifiuta la mano di un pretendente, XVII sec., Museo Universitario BUAP, Città di Puebla

Francisco Martínez, S. Rosa nel suo eremitaggio domestico, XVII sec., Museo Universitario BUAP, Città di Puebla

Francisco Martínez, S. Rosa attaccata dal demonio, XVII sec., Museo Universitario BUAP, Città di Puebla

Francisco Martínez, S. Rosa conversa con Gesù Bambino, XVII sec., Museo Universitario BUAP, Città di Puebla

Francisco Martínez, Matrimonio mistico di S. Rosa, XVII sec., Museo Universitario BUAP, Città di Puebla

Cristóbal de Villalpando, Nozze mistiche di S. Rosa, XVII sec., Cattedrale Metropolitana, Città del Messico

Juan Tinoco, Matrimonio mistico di S. Rosa, XVIII sec., Cappella Ochavo, Cattedrale, Puebla

Jose del Pozo (attrib.), S. Rosa, 1810-20 circa, Museo de Arte de Lima, Lima

Madonna del Rosario tra i SS. Domenico e Rosa, chiesa di S. Domenico, Lucera


Altare di S. Rosa, con i crani di S. Rosa e di S. Martino de Porres e le reliquie di S. Giovanni Macias, Basilica di S. Domenico, Lima



Reliquia del cranio di S. Rosa, Basilica di S. Domenico, Lima

Ricostruzione computerizzata del verosimile volto di S. Rosa sulla base dei rilievi del cranio

sabato 29 agosto 2015

“Intuére, rex acerbíssime, tuo spectácula digna convívio. Pórrige déxteram, ne quid sævítiæ tuæ desit; ut inter dígitos tuos rivi défluant sacri cruóris. Et, quóniam non exsaturári épulis fames, non restíngui póculis pótuit inaudítæ sævítiæ sitis; bibe sánguinem scaturiéntibus adhuc venis exsécti cápitis profluéntem. Cerne óculos in ipsa morte scéleris tui testes, aversántes conspéctum deliciárum. Claudúntur lúmina non tam mortis necessitáte quam horróre luxúriæ” (Ambr., De Virg. – Lect. VI – II Noct.) - IN DECOLLATIONE SANCTI JOANNIS BAPTISTÆ

Di san Giovanni Battista ci siamo occupati in occasione della sua Natività il 24 giugno scorso, ricordando anche i luoghi legati a tale evento con una serie di video. In un altro video, Padre Frédéric Manns - autorevole biblista della Custodia di Terrasanta - conduce lo spettatore in un affascinante percorso di scoperta della figura del Battista, il personaggio profetico per eccellenza, dalla sua nascita ad 'Ain Karem sino alla sua morte a Macheronte (v. qui) e sepoltura.

Il nome arabo di Macheronte è Qalaat al-Mishnaqa. Il fatto tragico della morte del Battista trova riscontro nel racconto di Giuseppe Flavio. Il re nabateo Areta IV Philopatris volle vendicare con una guerra l’affronto subito da Erode Antipa, che aveva ripudiato sua figlia Shaudat, per sposare Erodiade la moglie di suo fratello Filippo.

Giuseppe Flavio riporta il sentimento popolare che intese la sconfitta di Erode Antipa come una punizione divina: Ora, alcuni giudei pensavano che la distruzione dell’esercito di Erode (Agrippa) veniva da Dio, giustamente, come punizione per quanto aveva fatto a Giovanni detto il Battista. Perché Erode lo aveva fatto uccidere, sebbene fosse un uomo giusto, e aveva esortato i giudei a praticare la virtù, sia nella giustizia l’uno verso l’altro, sia nella pietà verso Dio, e perciò a farsi battezzare (Giuseppe FlavioAntiquitates Judaicæ, XVIII, 109-119).

La decollazione di san Giovanni Battista, il 29 agosto, fin dal IV sec. era celebrata in Africa, in Oriente, in Siria e un po’ dovunque. Manca nel Sacramentario Leoniano, ma appare nel Gelasiano.

Si conosce la sorte delle reliquie del precursore del Signore. Fu dapprima sepolto in Samaria, a Sebastya, presso l’attuale Nablus, ma nel 362, sotto Giuliano l’apostata, i pagani violarono la sua tomba e bruciarono le sue sacre ossa. 

Rufino di Aquileia racconta, nella sua Storia ecclesiastica, in effetti, che il 29 agosto 362, su ordine dell'empio imperatore Giuliano l’Apostata, i pagani di Sebastya distrussero la tomba venerata del Precursore e del profeta Eliseo, bruciando gran parte dei resti e disperdendone le ceneri. Parte delle reliquie furono salvate da alcuni monaci di passaggio che le consegnarono a Gerusalemme all’igumeno Filippo. Scrive Rufino: «Al tempo dell’imperatore Giuliano … a Sebaste città della Palestina, avvenne che i pagani invasero il sepolcro di San Giovanni Battista: dapprima ne dispersero le ossa, ma poi le raccolsero di nuovo per bruciarle; mischiarono con della polvere quelle sacre ceneri e le dispersero per campagne e villaggi. Ma per disposizione divina avvenne che da Gerusalemme sopravvenissero alcuni provenienti dal monastero di Filippo … mischiatisi fra coloro che raccoglievano le ossa destinate al fuoco, dopo averne raccolti essi pure con molta cura e pietosa premura, per quanto riusciva loro possibile, si allontanarono di là furtivamente…e recarono al santo padre Filippo quelle venerande reliquie» (Rufino, Historia Ecclesiastica, II, 28, in PL 21, col. 536).
In senso analogo si esprimono Teodoreto, Filostorgio ed altri.
Una parte delle reliquie poté essere rimessa a sant’Atanasio, ad Alessandria, e poi dal patriarca Teofilo, il 27 maggio 395, riposte nella basilica (Martyrium) che era stata dedicata al Precursore sul sito dell’ex tempio di Serapide.
Gran parte delle reliquie che si salvarono dal fuoco e dalla distruzione sarebbero state, infine, tumulate nella città di Mira.
Si sa per certo, infatti, che nel 540 le reliquie del Santo erano pervenute a Mira, centro anatolico dell’antica Licia, luogo in cui nel 1099 vennero recuperate (comprate o rapinate non è certo ...) dai Genovesi di ritorno dall’assedio di Antiochia, avvenuto nel corso della prima crociata.

Le preziose reliquie giunsero, dopo un viaggio durato tre mesi, finalmente a Genova, come ci tramandano gli scritti di Jacopo da Varagine, il 6 maggio dello stesso anno, e trasportate stabilmente nella Cattedrale di San Lorenzo dopo una probabile sosta nella chiesa di San Giovanni di Prè, prospiciente l’omonima marina.

Nonostante tutto ciò, la tomba del Battista a Sebastya continuò ad essere meta di devoti pellegrinaggi, tanto che san Girolamo testimonia i miracoli che vi avvenivano. Lì, secondo la testimonianza sempre dell’autore della Vulgata, erano venerate, oltre la tomba del Battista, anche quelle dei profeti Abdia ed Eliseo (Donato BaldiEnchiridion locorum Sanctorum documenta S. Evangelii loca respicientia, Jerusalem 1955, p. 231. V. anche san GirolamoEpist. 46, in PL 22, col. 491; Id., Comment. in Abdias, in PL 25, col. 1099). Sotto la basilica, che fu eretta in onore del Battista, le reliquie di Eliseo e di Giovanni erano conservate in «in due casse ricoperte d’oro e d’argento, davanti alle quali ardevano in perpetuo delle lampade», come racconta un documento all’inizio del VI sec. (Baldiop. cit., p. 232). Oggi ancora si può vedere a Sebastya il luogo, che esse occupavano nella cripta della chiesa del XII costruita sul luogo della basilica bizantina, mentre il ricordo della scoperta della testa del Precursore è legato ad un’altra chiesa, di minori dimensioni, che si trova ad una certa distanza, presso il Forum (foro). Nel 1931, sono stati scoperti, in quest’ultima, degli affreschi, molto danneggiati, rappresentanti la decapitazione di Giovanni e la scoperta della sua testa (F. ZayadineSamarie, in Bible et Terre Sainte, n. 121 (1970), pp. 6-14, partic. pp. 13-14).





Per quanto concerne la sorte della testa di Giovanni Battista, essa è difficile da ricostruire. Niceforo (Niceforo Callisto XanthopoulosEcclesiasticæ Historiæ, lib. I, cap. 19, in PG 145, col. 689-692) e Simeone Metafraste, in accordo con Giuseppe Flavio (Giuseppe FlavioAntiquitates Judaicæ, XVIII, 5, 1-2; Id., XVIII, 116-119), affermano che il capo del Battista fu sepolto da Erodiade nella fortezza di Machairos (Macheronte) dove, probabilmente, era stato ucciso. Altri affermano che fosse stato sepolto nel palazzo di Erode a Gerusalemme. Una tradizione vorrebbe, in effetti, che la sacra reliquia della testa, scoperta nella Città Santa sotto l’impero di Costantino, venisse trasferita segretamente ad Emesa, l’odierna Homs, in Fenicia (ora in Siria), e nascosta in un luogo ignoto sino a che non fosse stato manifestato in una rivelazione che portò, nel 452-453, il vescovo Uranio a farne il riconoscimento autentico. Per un’altra tradizione, l’imperatore Teodosio fece deporre ad Hebdomon, un quartiere di Costantinopoli, corrispondente all’odierna Bakırköy, il presunto capo di san Giovanni, un tempo conservato a Gerusalemme da alcuni monaci.

Non si sa nulla di un trasferimento del capo di san Giovanni Battista a Roma. Quello che, ancora oggi, è venerato a San Silvestro in Capite appartiene, non al Precursore, ma a quel celebre prete martire Giovanni, che i pellegrini dell’Alto Medioevo visitavano sulla via Salaria vetus, sul cimitero chiamato precisamente ad septem palumbas ad Caput Sancti Johannis.

Ecco come si esprime il De Locis SS. MartyrumInde, non longe in Occidente, ecclesia sancti Johannis martyris, ubi caput ejus in alio loco sub altari ponitur, in alio corpus.

Il suo nome figurava probabilmente nel Martirologio Geronimiano, il 24 giugno, con quello di Festus, ma sarebbe stato senza dubbio assorbito da quello del Precursore.
A questo san Giovanni della via Salaria, era dedicata una piccola chiesa speciale, presso quella di San Silvestro, che, in ragione della santa reliquia, prese il titolo di IN CAPITE.
La reliquie, secondo una leggenda, la Magna Legenda Sancti Grati, non fondata però su dati storici, sarebbe stata portata a Roma dal vescovo san Grato d’Aosta, il quale, durante un viaggio in Terra Santa assieme a san Giocondo, dai ruderi del palazzo di Erode, sarebbe stato portato da un angelo presso un pozzo da cui riemerse miracolosamente la testa del Battista. Il santo vescovo la raccolse e, nascosta, la portò con sè. Sulla strada del ritorno, ovunque andasse, si verificavano miracoli e le campane suonavano prodigiosamente. Giunto a Roma e presentatosi al papa, egli consegnò la testa del Battista al Pontefice, ma, per prodigio, la mandibola rimase attaccata alle sue mani. San Grato allora la portò ad Aosta ed ancora oggi questa è venerata nella Cattedrale (Per riferimenti, cfr. Amato Pietro FrutazLe fonti per la storia della Valle d’Aosta, vol. 1, Roma 1966, pp. 181-182, 194). Per questo motivo, spesso san Grato è raffigurato con tra le mani la testa di san Giovanni.
Fino al 1411 la reliquia romana, reputata appartenente al Battista, veniva portata ogni anno in processione da quattro arcivescovi. Il cranio custodito a Roma è senza la mandibola, conservata nella cattedrale di San Lorenzo a Viterbo.
La spada del boia troncò il capo di Giovanni, ma su questo capo, come canta Paolo Diacono, nell’inno delle Lodi Ut queant laxis del 24 giugno, Dio ha posto la triplice corona di profeta, di martire e di vergine: Serta ter denis alios coronant Aucta crementis, duplicata quosdam; Trina centeno cumulata fructu Te sacer ornant (Paolo DiaconoCarmen VDe Sancto Joanne Baptista, 10, in PL 95, col. 1597).
In onore del glorioso Precursore decollato, furono erette nel basso Medioevo parecchie chiese e confraternite destinate all’assistenza religiosa dei condannati a morte. Produssero un gran bene e, grazie ad esse, la soddisfazione della giustizia umana, tutta avvolta all’epoca di un’atmosfera di compassione e di amore, si elevò all’altezza di un atto di religione, in modo che questi infelici, assistiti da dei “consolatori” e nel bacio del Crocifisso, potevano salire rassegnati al patibolo, felici di poter soddisfare Dio e la società per il crimine commesso. Perciò san Giuseppe Cafasso, “consolatore” zelantissimo dei condannati a morte, diceva: “Su cento appesi, cento salvati!”.
A Roma, due chiese erano dedicate alla decollazione di san Giovanni Battista. La prima si trovava vicino alle prigioni di Tor di Nona, di fronte a Castel Sant’Angelo. In questa chiesetta si portavano i condannati a morte perché ricevessero prima della pena gli ultimi conforti religiosi (Cfr. M. ArmelliniLe chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p. 351). L’altra, denominata San Giovanni Decollato o della Misericordia o Santa Maria in Petrocia o della Fossa, nel rione Ripa, esiste ancora oggi, e non è lontana dal Velabro, ed uno dei numerosi privilegi di cui godeva la sua confraternita era di poter, ogni anno, liberare durante la Quaresima un condannato a morte. In questa chiesa si seppellivano, in fosse comuni, i cadaveri dei condannati a morte (Ibidem, pp. 632-633). Esse sono coperte da chiusini in marmo sui quali è scritto: Domine, cum veneris iudicare, noli me condemnare (Signore, quando verrai a giudicare, non condannarmi). Nella camera storica dell’Arciconfraternita sono conservati numerosi cimeli relativi all’attività della medesima: tra le altre cose, il cesto che raccoglieva la testa dei giustiziati, l’inginocchiatoio sul quale Beatrice Cenci recitò l’ultima sua preghiera, le barelle sulle quali i confratelli trasportavano i resti dei condannati a morte per la sepoltura.
Riguardo all’origine dell’odierna celebrazione, da un punto di vista liturgico, nel VII sec. a Roma si annunciava al 30 agosto, dopo il natale dei Santi Felice ed Adautto: Et depositio Helisæi et decollatio sancti Iohannis Baptistæ. La doppia menzione di Eliseo e di Giovanni Battista rileva chiaramente l’origine della festa del Precursore. La festa della Decollazione di san Giovanni è incontestabilmente legata ai santuari sorti sulla tomba e sulla sepoltura del capo del Battista.
Il Lezionario di Gerusalemme dell’inizio del V sec. infatti già ne fa menzione. I Bizantini ed i Siriani d’Antiochia la celebrano il 29 agosto; i Copti lo fanno il 30 perché il 29 è il giorno del Nuovo Anno, e gli Armeni il sabato della III settimana dopo la Dormizione della Théotokos. In Occidente, il martirologio geronimiano annuncia la festa alla stessa data, facendo menzione di Sebaste: In Provincia Palestina civitate Sebastea natale sancti Iohannis Baptistæ, qui passus est sub Herode rege. Essa dové essere stabilita a Roma sotto il papa Teodoro (642-649), che era di origine palestinese.
Nei secc. XI e XII, il titolo di «Decollatio» è prevalso a Roma su quello di «Passio», che era dato dai sacramentari dell’VIII sec. Il sacramentario di San Trifone parla di Revelatio capitis, insistendo sull’invenzione della reliquia.

Tito Chartophylax, Icona di S. Giovanni Battista (Ο Άγιος Ιωάννης ο Πρόδρομος), 1536, Chiesa della Panaghia Chryseleousis, Empa


Geertgen tot Sint Jans, Leggenda delle reliquie di S. Giovanni Battista, 1484 circa, Kunsthistorisches Museum, Vienna


Bernardino Luini, Salomé con la testa decapitata del Battista, 1515-25 circa




Andrea di Bartolo Solari (Andrea Solario), Salomé con la testa del Battista, 1510-24, Metropolitan Museum of Art, New York


Andrea di Bartolo Solario, Testa del Battista, 1507, Musée du Louvre, Parigi


Scuola italiana, Testa del Battista, The Ashmolean Museum of Art and Archaeology, Oxford


Copia di Andrea Solari, Testa del Battista, XVI sec., museo del Prado, Madrid

Scuola italiana, Testa del Battista, 1511, National Gallery, Londra

Francesco Cairo, Testa del Battista, XVII sec.


Jusepe de Ribera, Testa del Battista, 1644, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid


Jusepe de Ribera, Testa del Battista, XVII sec., Museo civico Filangieri, Napoli



Andrea Vaccaro, Testa del Battista, XVII sec.


Sebastián de Llanos y Valdés, Testa del Battista, XVII sec., collezione privata



Autore anonimo sivigliano, Testa del Battista, XVII sec., Ayuntamiento de Sevilla, Siviglia


Domenichino, Testa del Battista, 1649


Orazio Gentileschi, Carnefice con la testa del Battista, 1612-13, Museo del Prado, Madrid



Belisario Corenzio, Salomé con la testa del Battista, XVII sec.


Pier Francesco Mazzucchelli (detto Il Morazzone), Decapitazione del Battista, 1620 circa


Martin Faber, Decollazione del Battista, 1616, Musée de Valence, Valence


Pieter Paul Rubens, Decollazione del Battista, 1608-09, collezione privata




Caravaggio, Decollazione di S. Giovanni Battista, 1608, Saint John Museum, La Valletta


Massimo Stanzione, Decollazione di S. Giovanni Battista, 1630 circa, Museo del Prado, Madrid

Juan Bautista Maino, Salomé con la testa del Battista, XVII sec.

Carlo Dolci, Salomé con la testa del Battista, 1665-70, Royal Collection, Windsor


Onorio Marinari, Salomé riceve la testa del Battista appena tagliata, 1680 circa


Onorio Marinari, Salomé con la testa del Battista, XVII sec., Szépművészeti Múzeum,  Budapest


Onorio Marinari, Salomé con la testa del Battista, XVII sec., collezione privata


Jusepe Leonardo, Decollazione del Battista, 1637 circa, Museo del Prado, Madrid


Giovanni Andrea Ansaldo, Decollazione del Battista, 1615


John Rogers Herbert, Giovanni Battista rimprovera Erode, 1848, collezione privata


Vasily Grigoryevich Khudyakov, Decollazione del Battista (Усекновение головы Иоанна Предтечи),  1857


Jan Adam Kruseman, Salomé con la testa del Battista, 1861 orca, Rijksmuseum, Amsterdam

Faustino Ranieri, Decollazione del Battista, XIX sec.

Francesco Grandi, Decollazione del Battista, 1882, Museo diocesano, Rimini

Roberto Ferri, S. Giovanni decollato, 2008, Duomo, Montepulciano

Scuola Napoletana, S. Giovanni nel deserto, XVII sec., collezione privata