mercoledì 1 aprile 2015

Il Protestantesimo a metà è (sempre) protestantesimo - Editoriale di aprile di "Radicati nella fede"

Nella memoria di S. Ugo di Grenoble (o di Châteauneuf-sur-Isère), vescovo e confessore rilancio il consueto editoriale di Radicati nella fede, tradotto in inglese dall’immancabile Rorate caeli.

Francisco de Zurbarán, S. Ugo di Grenoble (o di Cluny?) nel refettorio, 1655 circa, Museo de Bellas Artes, Siviglia

Scuola tedesca, Crocifisso con i SS. Bruno, Ugo di Lincoln ed Ugo di Châteauneuf, 1600 circa, collezione privata

Daniele Crespi, S. Ugo di Grenoble, 1629, Chiesa della Certosa di Garegnano, Milano

IL PROTESTANTESIMO A METÀ È PROTESTANTESIMO

Editoriale “Radicati nella fede” 
Anno VIII n. 4 - Aprile 2015


Si assiste ormai rassegnati al vertiginoso calo delle vocazioni sacerdotali e alla relativa diminuzione della presenza dei preti in mezzo a noi. Di giorno in giorno aumentano le parrocchie senza più la presenza stabile del sacerdote; anzi, diventano queste una rarità. Chiese e chiese vengono ormai aperte sporadicamente per la celebrazione di qualche santa messa, restando per la maggior parte dell’anno chiuse. E anche quando, in qualche grande parrocchia, il sacerdote è ancora residente, la sua effettiva presenza si assottiglia sempre più, oberato com’è dal dover garantire un servizio ad innumerevoli piccoli centri sparsi nei dintorni. In intere vallate di montagna non vi abita più nemmeno un prete. Non c’è che dire, un quadro sconfortante; malinconicamente sconfortante.
Qual è però il pericolo più grande? A nostro parere è che la soluzione a tutto questo problema è dettato da coloro che questo problema hanno causato e accelerato. Il cristianesimo “protestantizzato” ha innescato il disastro decenni fa’ ed ora propone i rimedi!
Tutta la riforma liturgica degli anni ‘60 e ‘70 aveva puntato sulla centralità della Parola di Dio. Aveva voluto con forza (violenza?) una completa revisione della millenaria liturgia cattolica, e l’aveva piegata alle necessità della nuova ecclesiologia e della nuova pastorale.
Di una nuova ecclesiologia: la Chiesa non più Corpo Mistico di Cristo, ma prevalentemente popolo di Dio; l’accento non più sul sacramento dell’Ordine, sul Sacerdozio, che costituisce la nervatura gerarchica della Chiesa, ma l’accento sul battesimo, sul laicato che deve sempre più essere corresponsabile dell’azione della Chiesa.
Da questa nuova ecclesiologia, che poneva l’accento sulla comunità e non sull’unione con Dio in Gesù Cristo, una assillante preoccupazione perché tutto fosse tradotto in lingua parlata nella messa e nei sacramenti, affinché i fedeli non si sentissero inferiori ai preti nella pubblica preghiera. I fedeli, corresponsabili nella Chiesa con i preti, dovevano tutto subito capire, per poter democraticamente governare la casa di Dio. Ecco allora la strabordante importanza della Parola di Dio intesa semplicemente come il leggere la Bibbia nelle messe; la libidinosa creatività nelle liturgie della parola con laici lettori, fedeli commentatori, gesti simbolici accompagnanti le letture, omelie partecipate, logorroiche preghiere dei fedeli, seguite poi da una veloce e scarna consacrazione che, ahimè dicevano i più illuminati, restava ancora riservata al prete, perché noi cattolici non arriviamo fino in fondo al protestantesimo. Ecco, potremmo spiegarci cosi: da noi si è operato, nel post-concilio, un protestantesimo di mezzo, che non arriva ad eliminare del tutto il prete, questo no, ma che gli ha lasciato un angolino: la consacrazione. Ma anche questa rigorosamente tradotta in lingua parlata, ad alta voce, con le parole prese dalla Bibbia, perché i fedeli ascoltando possano ratificarla con i loro amen. Eh sì, perché nella democratizzazione della Chiesa l’assenso dei fedeli è importante: nel “mistero della fede” e nella comunione il fedele dicendo il suo “sì” dà forza alla Presenza di Cristo fatta dal sacerdote... è proprio un protestantesimo a metà!
La rivoluzione liturgica così operata avrebbe dovuto portare un nuovo slancio alla vita cristiana e alla missione della Chiesa nella società. Da subito però ci si accorse che stava producendo confusione. Si diede colpa al ‘68, alla rivoluzione sociale e culturale che stava scoppiando nella società proprio negli anni del dopo concilio. Si diceva che tutto si sarebbe messo a posto, che dopo la confusione e gli errori di applicazione, sarebbe venuta l’ora serena e feconda dell’edificazione. Ma quest’ora non è mai arrivata!
L’ultimo tentativo in questa prospettiva è del pontificato interrotto di Benedetto XVI, che ha fortemente promosso un riequilibrio in senso tradizionale della riforma; ma queste illusioni sono scomparse con le sue dimissioni.
Oggi la Chiesa si trova come un campo il giorno successivo alla battaglia: un cumulo di ruderi, con i cadaveri da seppellire. Non solo la società non è tornata cristiana, ma non ci sono più preti per intraprendere una nuova opera.
Cosa fanno i nipoti dei rivoluzionari liturgici ed ecclesiali di decenni fa? Propongono di rimpiazzare le messe con le liturgie della parola, animate dai laici, terminanti con la comunione sacramentale! È la conclusione logica della più disastrosa falsa riforma della Chiesa. E questo epigono, lo annunciamo già con certezza, porterà a consumazione il disastro.
La malattia non può scacciare il morbo, la peste non ferma la pestilenza, se non facendo morire tutti... ma se fosse così che vittoria sarebbe?
In tutte le epoche di crisi, la Chiesa non ha annacquato la sua identità per raggiungere tutti, no di certo. Ha invece moltiplicato lo zelo perché i suoi preti siano più preti e i suoi fedeli più cattolici.
Nel medioevo, che conobbe intorno al mille una grande crisi, riunì i sacerdoti nelle pievi, fondò i canonicati perché i ministri di Dio si santificassero in una vita quasi monastica, purificò e rese sempre più splendida la sua liturgia, moltiplicò la preghiera. In una parola, gettò le basi per una rinascita poderosa delle vocazioni sacerdotali, cosciente che senza prete non c’è Chiesa.
Leggendo in questi giorni la stampa, che a caratteri cubitali scrive “Non ci sono più preti, la messa la diranno i laici” tutti possono capire che si viaggia imperterriti nel senso contrario alla vera riforma della Chiesa. Certo la stampa esagera, i laici non farebbero la messa vera e propria, leggerebbero le letture e darebbero la comunione: ma come non vedere che questo è l’ultimo passo per la scomparsa della messa in mezzo a noi. Già ci siamo abituati a fare a meno del prete per la dottrina... i laici già ascoltano e interpretano liberamente i Vescovi e il Papa, ci manca solo che facciano una pseudo-messa per dichiarare inutile il sacerdote. Cosa penserà un seminarista, miracolo vivente in questa Chiesa, leggendo un simile titolo sul giornale? Non avrà il dubbio che la Chiesa non ha più bisogno di lui?
In tutto questo scempio si ha il segreto sospetto che i preti e i fedeli rieducati nello spirito della nuova chiesa, quella del protestantesimo a metà, guardino alle pseudo messe delle chiese senza preti come all’ultima opportunità per completare quella riforma della chiesa che il Vaticano II aveva lasciato a metà. Sì, vogliono una chiesa dove tutti sono sacerdoti... dove Cristo nasce dal di dentro della coscienza del singolo e dal di dentro della comunità; una chiesa dove Cristo non scende più dall’alto, dove il prete è un retaggio del passato destinato a scomparire o quasi: la fine del Cattolicesimo.
Noi continuiamo sempre più ad essere convinti che non abbiamo sbagliato nel tornare decisamente alla messa antica, che sicuramente non permette questa deriva. Oh se più preti e fedeli lo capissero! Avrebbero qui la possibilità offerta da Dio per una reale rinascita.

Ma quanto dovrà ancora accadere perché i cuori e le menti siano liberate?

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