giovedì 9 aprile 2015

Il Pontificale è come il “Codice sacerdotale”

Interessante contributo da Cordaliter.

Il Pontificale è come il “Codice sacerdotale”

di Padre Adophe Tanquerey (1854 - 1932).

Sarebbe facile dimostrare che i Padri, commentando il Vangelo e le Epistole, svolsero e determinarono questi insegnamenti; potremmo anzi aggiungere che scrissero Lettere e Trattati intieri sulla dignità e santità del sacerdozio. Ma, per non dilungarci di troppo, staremo paghi a citare l’autorità del Pontificale che è come il Codice sacerdotale della Nuova legge e contiene il compendio di ciò che la Chiesa Cattolica vuole dai suoi ministri. Questa semplice esposizione mostrerà quale alto grado di perfezione si richiede dagli Ordinandi e a più forte ragione dai sacerdoti che esercitano il ministero.

1° Dal giovane tonsurato la Chiesa richiede il totale distacco da tutto ciò che è di ostacolo all’amor di Dio, e l’intima unione con Nostro Signore, per combattere le inclinazioni dell’uomo vecchio e rivestirsi delle disposizioni dell’uomo nuovo. Il Dominus pars, che deve recitare ogni giorno, gli rammenta che Dio e Dio solo è la sua porzione e la sua eredità e che tutto ciò che non si riferisce a Dio dev’essere calpestato. L’Induat me gli dice che la vita è un combattimento, una lotta contro le inclinazioni della guasta natura, uno sforzo per coltivare le virtù soprannaturali piantateci nell’anima nel giorno del battesimo. Gli viene così proposto fin da principio come scopo l’amor di Dio, come mezzo il sacrificio, come l’obbligo di perfezionare queste due disposizioni per potersi avanzare nel chiericato.

2° Con gli Ordini Minori, il chierico riceve un doppio potere, uno sul corpo eucaristico di Gesù, l’altro sul suo corpo mistico, cioè sulle anime; e da lui si richiede, oltre il distacco, un doppio amore, l’amore del Dio del tabernacolo, e l’amor delle anime, che suppongono entrambi il sacrificio.
Quindi, come ostiario, si distacca dalle occupazioni domestiche per diventare il custode ufficiale della casa di Dio e per invigilare sulla decenza del luogo santo e delle sacre suppellettili. Lettore, si distacca dagli studi profani per darsi alla lettura dei Libri santi da cui attingere quella dottrina che l’aiuterà a santificare sé e gli altri. Esorcista, si distacca dal peccato e dai suoi residui per sottrarsi più sicuramente al dominio del demonio. Accolito, si distacca dai piaceri sensuali per praticare già quella purità che è richiesta dal servizio degli altari. Si rinvigorisce nello stesso tempo il suo amore per Dio: ama il Dio del tabernacolo di cui è il custode, ama il Verbo nascosto sotto la corteccia della lettura nella Sacra Scrittura, ama Colui che impera agli spiriti malvagi, ama Colui che s’immola sugli altari. E quest’amore fiorisce in zelo: ama le anime che gode di portare a Dio con la parola e con l’esempio, di edificare con le virtù, di purificare con gli esorcismi, di santificare con la parte che prende nel Santo Sacrifizio. S’avanza così a poco a poco verso la perfezione.

3° Il suddiacono, consacrandosi definitivamente a Dio, s’immola per suo amore, preludendo così, come già fece la SS. Vergine, a quel più nobile sacrifizio che offrirà più tardi al Santo Altare: præludit meliori quam mox offeret hostiam. Immola il corpo col voto di continenza, l’anima con l’obbligo di recitare ogni giorno la pubblica preghiera. La continenza suppone la mortificazione dei sensi interni ed esterni, della mente e del cuore, la recita dell’ufficio richiede lo spirito di raccoglimento e di preghiera, lo sforzo perseverante per vivere unito a Dio. L’uno e l’altro dovere non si può fedelmente adempiere senza un ardente amore a Dio, che solo gli può proteggere il cuore contro le lusinghe dell’amor sensibile e aprirgli l’anima alla preghiera col raccoglimento interno. Sacrifizio ed amore richiede dunque per sempre la Chiesa dal suddiacono. Sacrificio più profondo di quello praticato fin allora, perché la pratica della continenza per tutta la vita esige in certi giorni sforzi eroici e abitualmente poi un assiduo spirito di vigilanza, d’umile diffidenza di sé e di mortificazione; sacrificio irrevocabile: “Quod si hunc Ordinem susceperitis, amplius non licebit a proposito resilire, sed Deo, cui servire regnare est, perpetuo famulari”. E perché questo sacrificio sia possibile e durevole, bisogna mettervi di molta carità: soltanto l’intenso amore di Dio e delle anime può preservare dall’amore profano, può far gustare le dolcezze dell’assidua preghiera, rivolgendo i pensieri e gli affetti verso Colui che solo può appagarli. Quindi il Pontefice invoca su di lui i doni dello Spirito Santo perché possa adempire gli austeri doveri che gli sono imposti.

4° Dai diaconi, che diventano i cooperatori del sacerdote nell’offerta del S. Sacrifizio, “comministri et cooperatores estis corporis et sanguinis Domini”, il Pontificale richiede una purità ancor più perfetta: “Estote nitidi, mundi, puri, casti”. E avendo essi il diritto di predicare il Vangelo, si vuol da loro che lo predichino più con l’esempio che con la bocca: “curate ut quibus Evangelium ore annuntiatis, vivis operibus exponatis”. La loro vita deve quindi essere una traduzione vivente del Vangelo, e perciò una costante imitazione di Nostro Signore. Onde il Pontefice, pregando perché lo Spirito Santo discenda sopra di loro con tutti i suoi doni, specialmente con quello della fortezza, rivolge a Dio questa bella preghiera: “Abundet in eis totius forma virtutis, auctoritas modesta, pudor constans, innocentiæ puritas, et spiritualis observantia disciplinæ”. Non è questo un chiedere per loro la pratica delle virtù che conducono alla santità? Infatti nella preghiera finale il vescovo domanda che siano ornati di tutte le virtù “virtutibus universis... instructi”.

5° Eppure esige ancora qualche cosa di più dal sacerdote. Offrendo il santo sacrifizio della messa, è necessario che il sacerdote sia insieme vittima e sacrificatore; e lo sarà immolando le sue passioni: “Agnoscite quod agitis; imitamini quod tractatis; quatenus mortis dominicæ mysterium celebrantes, mortificare membra vestra a vitiis et concupiscentiis omnibus procuretis”; lo sarà rinnovando continuamente in sé lo spirito di santità: “innova in visceribus eorum spiritum sanctitatis”. A tal fine mediterà giorno e notte la legge di Dio, per insegnarla agli altri e praticarla egli stesso e dare così l’esempio di tutte le cristiane virtù; ut in lege tua die ac nocte meditantes, quod legerint, credant; quod crediderint, doceant; quod docuerint, imitentur; justitiam, constantiam, misericordiam, fortitudinem, ceterasque virtutes in se ostendant”. E dovendosi pure spendere per le anime, praticherà la carità fraterna sotto forma di dedizione: “accipe vestem sacerdotalem per quam caritas intelligitur”; come S. Paolo, si spenderà intieramente per le anime: “omnia impendam et superimpendar ipse pro animabus vestris”. Il che del resto deriva pure dagli uffici sacerdotali che ora esporremo.
Così dunque ad ogni nuova tappa verso il sacerdozio, il Pontificale richiede sempre maggior virtù, maggior amore, maggior sacrificio; giunto poi al sacerdozio, vuole senz’altro la santità, come dice S. Tommaso, affinché il sacerdote possa offrir degnamente il santo sacrificio e santificare le anime che gli sono affidate. L’Ordinando è libero di andare avanti o no; ma se riceve gli ordini, è chiaro che accetta le condizioni così esplicitamente fissate dal Pontefice, vale a dire l’obbligo di tendere alla perfezione, obbligo che non solo non viene diminuito dall’esercizio del santo ministero ma diventa anzi più urgente come dimostreremo.

[Brano tratto da “Compendio di Teologia Ascetica e Mistica”, di Padre Adolphe Tanquerey (1854 - 1932), trad. P. Filippo Trucco e Can.co Luigi Giunta, Società di S. Giovanni evangelista - Imprimatur Sarzanæ, die 18 Novembris 1927, Can. A. Accorsi, Vic. Gen. - Desclée & Co., 1928]

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