mercoledì 25 marzo 2015

“Ecce ancílla Dómini, fiat mihi secúndum verbum tuum” (Luc. 1, 38 – Ev.) - IN ANNUNTIATIONE BEATÆ MARIÆ VIRGINIS



Oggi è la festa dell’annuncio della divina Incarnazione alla Beata Vergine Maria. Tale è il senso dell’antico titolo di questa solennità nei diversi sacramentari e martirologi del Medioevo, da cui si può concludere che, originariamente, questa festa era piuttosto considerata come una festa di Cristo e non di Maria. In effetti, la Chiesa romana, allorché aveva cominciato a celebrarla, la denominava Annuntiatio Domini, come ne testimonia l’evangeliario del 640 e la notizia del papa Sergio nel Liber Pontificalis (L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, Coll. Bibliothèque des Ecoles Françaises d’Athènes et de Rome, Paris 1886, tomo 1, p. 376). I martirologi restano fedeli all’antico appellativo: Annuntiatio Domini o Annuntiatio dominica. Si trova ancora quest’ultima formula nel Messale monastico del XIII sec. conservato al Laterano (E. De Azevedo, Vetus Missale romanum monasticum lateranense (Archivio lateranense Cod. 65), Romæ 1752, p. 193. Cfr. anche Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, p. 229). Solo dopo il IX sec., i libri del Laterano e del Vaticano intitolano la festa del 25 marzo: Annuntiatio Mariæ.
La sua fissazione al 25 marzo non è arbitraria, ma dipende dal Natale, atteso che la precede di nove mesi e, già nel VII sec., questa data si basava su una tradizione così venerabile ed universale, che il Concilio del Trullo del 692, il quale proibì le feste dei martiri durante la Quaresima, autorizzò quella dell’Incarnazione del Signore il 25 marzo. Si sa che, ancora oggi, durante il digiuno quaresimale, i Greci sospendono la celebrazione quotidiana del divino Sacrificio, salvo il sabato, la domenica ed il 25 marzo. Nell’antico rito ispanico, al contrario, per evitare questa concessione liturgica in favore dell’Incarnazione del Signore, se ne riporta la festa all’equinozio d’inverno, una settimana prima circa del Natale.
Non si può negare che, in piena Quaresima, quando il pensiero liturgico è già tutto concentrato nella contemplazione del mistico Agnello di Dio immolato sul Golgota la vigilia di Pasqua, il fatto di staccarsi inaspettatamente dalla Croce per riportarsi ai misteri gioiosi della casa di Nazaret, ha qualcosa di inatteso e di violento. Tuttavia, su tutte queste considerazioni di carattere in gran parte soggettivo, prevalsero il fatto solenne e la data storica del 25 marzo che inaugura il Nuovo Testamento; anche dall’Alto Medioevo, questa fu considerata nelle nazioni cristiane come il vero inizio dell’anno civile e ciò fu sino alla riforma del calendario di Gregorio XIII.
Sembra che a Costantinopoli questa festa si celebrasse già dai tempi di Proclo (+ 446); tuttavia essa apparve più tardi in Occidente, poiché essa era assente dal Messale gallicano e si trova soltanto nei sacramentari gelasiano e gregoriano del primo periodo carolingio. A Roma manca ogni indicazione a questo riguardo nelle liste dei Vangeli di Würzburg; il Liber Pontificalis ci fa sapere soltanto che fu Sergio I che ordinò di celebrare solennemente questa festa, vale a dire con una grande processione stazionale che andava dalla diaconia di Sant’Adriano sino a Santa Maria Maggiore. Quest’usanza si mantenne per molto tempo e gli Ordini Romani del XII sec. descrivono lungamente la maestosa cerimonia che si svolgeva in questo giorno in maniera simile a quella di cui noi abbiamo parlato per la festa del 2 febbraio, in occasione dell’Hypapante dei Bizantini.
La Capitale del mondo cattolico aveva dedicata a questo consolante mistero dell’annuncio della nostra Redenzione alcune chiese importanti per la loro venerabile antichità. Oltre all’oratorio dell’Annunciazione a Tor de’ Specchi, - anticamente Sancta Maria de Curte (Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 554-555; Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, p. 329) - noi menzioneremo le quattro chiese ugualmente distrutte di S. Maria Annunziata in Camilliano (Mariano Armellini, op. cit., pp. 480-481), che, troppo angusta per ospitare gli studenti gesuiti del Collegio romano, sorgeva sul luogo oggi occupato dalla chiesa di S. Ignazio costruita nel 1626; S. Maria Annunziata sull’Esquilino (ibidem, p. 818), S. Maria Annunziata alle Quattro Fontane (ibidem, p. 190); S. Maria Annunziata presso Ponte Elio (Ælius) o Ponte Sant’Angelo. Oggi esiste ancora, sulla via Ardeatina, il santuario mariano chiamato dai Romani l’Annunziatella, sotto la quale si trova un antico ipogeo cristiano (Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 913-914; Ch. Huelsen, op. cit., p. 309). Secondo ogni probabilità, è lì che fu sepolta, dopo il suo martirio, santa Felicula. I Libri indulgentiarum del basso Medioevo menziona quest’oratorio campestre tra le IX ecclesiæ che i pellegrini avevano costume di visitare, sebbene la via che vi conduceva è chiamata semplicemente, in un breve di Urbano V, via Orataria. Ancor oggi, specialmente la prima domenica di maggio, la gente comune accorre gioiosa al santuario mariano della via Ardeatina (Mariano Armellini, op. cit., p. 914).
Esiste ancora la chiesa di Santa Maria Annunziata in Borgo, popolarmente chiamata Annunziatina, che sorge nel rione Borgo, sul lungotevere Vaticano. Questa chiesetta fu costruita in borgo Santo Spirito tra il 1742 e il 1745 dall’architetto Pietro Passalacqua come oratorio dell’Arciconfraternita dell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia (Mariano Armellini, op. cit., p. 773). Nel 1940, in concomitanza con l’apertura di Via della Conciliazione, l’oratorio fu smontato e ricostruito dieci anni più tardi nella posizione attuale lungo il Tevere.
Oggi sconsacrata è la chiesa di Santa Maria Annunziata delle Turchine, costruita nel 1675, nel rione Monti, in via Francesco Sforza. Odiernamente è sede della sezione provinciale romana dell’Associazione nazionale dei paracadutisti d’Italia.
Numerose sono le parrocchie dedicate a Roma e nel suburbio al mistero dell’Annunciazione.
Anche se si è in piena Quaresima, la messa ha un sapore simile a quello dell’Avvento. Ma questo bianco fiore d’inverno che evoca il ricordo delle nevi del Natale ha pure un suo profondo significato e ricorda il vello di Gedeone – grazioso simbolo della verginità senza macchia della Madre di Dio – trovato dal Profeta tutto umido di fresca rugiada primaverile, nel mazzo dei campi bruciati dal sole della Palestina.
Nella colletta, l’istanza inserisce il breve inciso «Noi la crediamo vera Madre di Dio», rivelando il periodo che seguì le polemiche di Nestorio e la sua condanna nelle prime sessioni del Concilio di Efeso.
La lettura evangelica è quella del mercoledì delle Quattro Tempora di Avvento (Lc 1, 26-38), che, nel Medioevo, era recitato con una solennità speciale nei Capitoli e nei Monasteri, come per dare alle comunità religiose l’annuncio del prossimo Natale.
San Bernardo aveva costume, secondo l’uso monastico sempre in vigore, di farne un lungo commento davanti ai suoi monaci di Chiaravalle riuniti in capitolo, ed è così che noi abbiamo la sua splendida raccolta di Omelie Super Missus est, di cui i più bei passaggi sono stati riuniti nel Breviario romano.
In questa santa solennità, non sapremmo astenerci dal menzionare un altro elogio mariano contenuto nei versi che, una volta si leggevano a Santa Maria Maggiore, sotto i mosaici di Sisto III rappresentanti la vita della Beata Vergine:

Virgo Maria, tibi Xystus nova tecta dicavi
Digna salutifero munera ventre tuo.
Te Genitrix, ignara viri, te denique foeta
Visceribus salvis, edita nostra salus.

In occasione della festa dell’Annunciazione, bisogna menzionare qui una delle più insigni composizioni della liturgia bizantina, l’inno Akathistos, che celebra molto lungamente questo mistero. Sergio I di Costantinopoli, il padre del monofisismo, sembra essere stato l’autore; quest’inno fu composta come canto di azione di grazie alla beata Vergine che, nel 626, aveva liberato la città imperiale dalle orde degli Avari. Si chiama Akathistos perché, a differenza degli altri cathismáta, essa è cantata all’inizio del sabato della V settimana di Quaresima, dal clero e dal popolo, che vegliava così tutta la notte. Ecco le strofe sul saluto di Gabriele:

Il più eccelso degli angeli fu mandato dal cielo per dir «Ave» alla Madre di Dio.
Al suo incorporeo saluto vedendoti in lei fatto uomo, Signore, in estasi stette,
acclamando la Madre così:

Ave, per te la gioia risplende;
Ave, per te il dolore s’estingue.
Ave, salvezza di Adamo caduto;
Ave, riscatto del pianto di Eva.
Ave, tu vetta sublime a umano intelletto;
Ave, tu abisso profondo agli occhi degli angeli.
Ave, in te fu elevato il trono del Re;
Ave, tu porti colui che il tutto sostiene.
Ave, o stella che il sole precorri;
Ave, o grembo del Dio che s’incarna.
Ave, per te si rinnova il creato;
Ave, per te il Creatore è Bambino.
Ave, Vergine e Sposa!
Ben sapeva Maria d’esser Vergine sacra e così a Gabriele diceva:
“Il tuo singolare messaggio all’anima mia incomprensibile appare:
da grembo di vergine un parto predici, esclamando: Alleluia!”.
Desiava la Vergine di capire il mistero e al nunzio divino chiedeva:
“Potrà il verginale mio seno mai dare alla luce un bambino? Dimmelo!”.
E quei riverente acclamandola disse così:
Ave, tu guida al superno consiglio;
Ave, tu prova d’arcano mistero.
Ave, tu il primo prodigio di Cristo;
Ave, compendio di sue verità.
Ave, o scala celeste che scese l’Eterno;
Ave, o ponte che porti gli uomini al cielo.
Ave, dai cori degli angeli cantato portento;
Ave, dall’orde dei demoni esecrato flagello.
Ave, la luce ineffabile hai dato;
Ave, tu il «modo» a nessuno hai svelato.
Ave, la scienza dei dotti trascendi;
Ave, al cuor dei credenti risplendi.
Ave, Vergine e Sposa!

Il 25 marzo per la Chiesa di Roma segna un’altra data significativa: la Consecratio altaris sancti Petri. Il 25 marzo 1123, infatti, il papa Callisto II consacrò l’altare della Confessione di San Pietro in presenza di trecento vescovi riuniti per il primo Concilio generale del Laterano. La menzione di quest’anniversario nel calendario di San Pietro (il Liber Anniversariorum Basilicæ Vaticanæ menziona al 25 marzo: Consecratio altaris maioris basilicæ beati Pétri facta a Callisto pp. II cum universo concilio anno eius V ind. I. Citato in T. Alpharani, De basilicæ vaticanæ antiquissimi et nova structura, a cura di M. Cerrati, Coll. Studi e Testi 26, Roma 1914, p. 28) non è puramente commemorativa. Pietro di Mallio include questa festa tra le principali dell’anno nella sua Descriptio basilicæ vaticanæ (Pietro di Mallio, Descriptio basilicæ vaticanæ, pubblicato a cura di R. Valentini - G. Zucchetti, Codice Topografico della Città di Roma, Coll. Fonti per la Storia d’Italia, vol. 3, Roma 1946, p. 432). L’ufficio della dedicazione aveva la prevalenza su quello dell’Annunciazione. L’antifonario offre, in effetti, le precisazioni seguenti: In Annuntiatione beatæ Mariæ est Consecratio maioris Altaris beati Pétri, de qua Consecratione Vesperas et Matutinum facimus. Tertium vero Nocturnum de beata Maria facimus. Le lodi sono ugualmente della Dedicazione (Pierre Jounel, op. cit., p. 230).
L’altare consacrato dal papa Callisto II avvolgeva quello di san Gregorio Magno e doveva rimanere in uso sino all’erezione di quello di Clemente VIII nel 1594. Si costruì quest’ultimo, l’attuale altare della Confessione, ad un livello superiore, che permise di non distruggere l’altare di Callisto II. Così gli archeologi incaricati degli scavi sotto la Confessione apostolica hanno potuto mettere in luce negli anni ‘40 del ‘900 (si troverà il piano dell’insieme in E. Kirschbaum, Les Fouilles de Saint-Pierre de Rome, trad. dal tedesco, Paris 1961, p. 43) (così ricorda Pierre Jounel, op. cit., p. 192).


Annunciazione detta di Ustyug (Устюжское Благовещение), 1120-30, Galleria Tretyakov, Mosca


Icona dell'Annunciazione, XIV sec., Chiesa di San Clemente, Ohrid

Andrea della Robbia, Annunciazione, 1475, Santuario de La Verna


Cima da Conegliano, Annunciazione, 1495, Hermitage, San Pietroburgo


Lorenzo Lotto, Annunciazione c.d. di Recanati, 1534 circa, Museo civico Villa Colloredo Mels, Recanati.
Il gatto - che nel Medioevo simboleggerebbe del diavolo - fugge dinanzi all'irrompere dell'Angelo. Per altre chiavi di lettura del gatto, v. qui.


Guido Reni, Annunciazione, 1627, Musée du Louvre, Parigi

Giovanni Battista Salvi, detto il Sassoferrato, Madonna annunciata, XVII sec., collezione privata



Philippe de Champaigne, Annunciazione, 1644, Metropolitan Museum of Art, New York

Gérard Seghers, Annunciazione, 1620 circa

Vladimir Borovikovsky, Annunciazione, 1820 circa

Yakov Fedorovich Kapkov, Annunciazione, 1852

Pierre-Auguste Pichon, Annunciazione, 1859


Carl Heinrich Bloch, Annunciazione, 1890 circa, Cappella, Palazzo Frederiksborg, Copenhagen

William Bouguereau, Annunciazione, 1888, Southeby’s, USA

George Lawrence Bulleid, Annunciazione, 1903

Svitozar Nenyuk, Annunciazione, XX sec.

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