domenica 22 febbraio 2015

“Institútio solemnitátis hodiérnæ a senióribus nostris Cáthedræ nomen accépit, ídeo quod primus Apostolórum Petrus hódie episcopátus cáthedram suscepísse referátur” (Lect. IV – II Noct.) - IN CATHEDRA S. PETRI Ap. ANTIOCHIÆ



Conformemente a quello che abbiamo osservato il 18 gennaio, oggi, secondo l’antica tradizione romana, mantenuta senza alterazione sino al XVI sec., si celebrava la festa della Cattedra romana di san Pietro, senza che Antiochia avesse nulla a che vedervi. Non si tratta, in effetti, di onorare le diverse e successive residenze dell’Apostolo nelle differenti parti del mondo; solo la Cattedra vaticana si eleva come il simbolo del primato universale che Pietro ed i suoi legittimi successori esercitano da Roma su tutta la Chiesa; onore senza precedenti e che la Città eterna rivendica esclusivamente per sé.
L’origine di questa festa, già menzionata in questo giorno nel Feriale Filocaliano del 336, Natale Petri de Cathedra, è sicuramente romana. La festa del Natale Petri de Cathedra, fissata nel giorno in cui il mondo romano celebrava il riposo familiare della Cara cognatio, possiede una preistoria, ma questa non è di nostra competenza (Cfr. D. Balboni, La Cattedra di san Pietro, Città del Vaticano 1967). Probabilmente fu fissata in questo giorno per sostituire questa ricorrenza pagana.
Anche la Depositio Martyrum del 354 l’annuncia al 22 febbraio.
A metà del V sec., la festa era celebrata a San Pietro con veglia notturna dal papa attorniato da vescovi ex diversis provinciis congregatis, come ne testimonia l’imperatore Valentiniano III, che fu accolto nel 450 dal papa san Leone Magno post venerabilem noctem diei apostoli (V. la lettera di Valentiniano III, pubblicata tra le lettere di san Leone Magno, in PL 54, col. 857. La nota che accompagna l’edizione di questa lettera nella Patrologia latina del Migne mostra bene che non poteva non trattarsi che del 22 febbraio). La presenza di vescovi attorno al papa per la festa del natale episcopale di san Pietro doveva essere messa in parallelo con l’identico assembramento che si aveva attorno allo stesso pontefice per la celebrazione annuale del suo proprio natale. Il papa inviava un invito personale a ciascun vescovo della provincia come ne testimonia il Liber diurnus (H. Foerster (a cura di), Liber Diurnus Romanorum Pontificum, Bern 1958, p. 100).
Alla stessa epoca, la solennità aveva guadagnato verosimilmente l’Africa (il sermone pseudo-agostiniano, in PL 39, col. 2100-2101, che era letto nel Breviario romano il 22 febbraio, era ritenuto generalmente come un testo africano del V sec. ed è la nostra unica testimonianza per l’Africa) ed, a colpo sicuro, la Gallia, in cui è attestata in maniera continua a partire dal VI sec. (il Concilio di Tours del 567 condannò il riposo funerario legato alla festivitas cathedræ domni Petri (can. 23). Cfr. C. de Clercq, Concilia Galliæ (511-695), Turnhoult 1963, p. 191). Essa fu ugualmente ricevuta in Spagna, in cui i nove calendari pubblicati Dom Férotin sono unanimi ad attestarla.
Mentre la festa si mantiene senza eclisse fuori di Roma, non se ne trova alcuna menzione nei libri liturgici romani del VII e dell’VIII sec., venendo omessa dai sacramentari Gelasiano e Gregoriano, senza che noi riusciamo a comprenderne la ragione, a meno che ciò non si debba attribuire al fatto che essa cadeva quasi sempre durante la Quaresima e, quindi, questa scomparsa potrebbe leggersi in relazione all’instaurazione delle stazioni quadragesimali nel VI sec., ma non è che una delle ipotesi (cfr. P. Batiffol, Cathedra Petri, Paris 1938, p. 130).
Il fatto stesso che la sedes ubi prius sedit sanctus Petrus, conservata nel cimitero Maggiore, trovò verso il V sec. una seria concorrenza nella Cattedra di legno del Vaticano, il che contribuì a diminuire l’importanza dell’antica Sedes della via Nomentana. Verso il VII sec., in ragione di cause che ci sfuggono, determinarono inoltre l’autorità ecclesiastica a limitare ed anche impedire il culto che, con l’offerta di lampade ed incenso, il popolo rendeva alla cattedra di tufo esistente nel cimitero Maggiore. Fu probabilmente sotto l’impressione di simili disordini che la Chiesa romana tentò di cancellare dai sacramentari la festa del 22 febbraio.
La tradizione fu tuttavia più forte che ogni editto di proscrizione, poiché nell’Antifonario di San Pietro troviamo la festa della Cattedra celebrata nel Vaticano alla sua data primitiva e tradizionale, il 22 febbraio.
I formulari romani della messa in Cathedra sancti Pétri apparvero per la prima volta nei sacramentari gelasiano-franchi della fine dell’VIII sec. (le tre orazioni del 22 febbraio, contenute in questo sacramentario, provengono dall’antico Gelasiano, dalla messa In natale sancti Pétri propriæ che questo sacramentario inserisce in sovrannumero il 29 giugno, tra la messa della vigilia degli Apostoli e quella della loro festa. La prima orazione, Deus, qui beato apostolo tuo Petro, è data nel sacramentario gregoriano in testa alle orazioni per i Vespri del 29 giugno, ma con la soppressione della parola animas nell’espressione animas ligandi atque solvendi del Gelasiano. La messa in sovrannumero del Gelasiano non sarebbe essere l’antica messa romana della Cathedra sancti Pétri, che i Gelasiani dell’VIII sec. avrebbero restaurato al suo posto d’origine?).
Se la festa è assente dall’Hadrianum, il suo prefazio riappare nel Supplemento di Aniane (Questo prefazio non è evidentemente di origine romana. Esso appartiene all’apporto originale dei Gelasiani dell’VIII sec.) e, a partire dalla metà del IX sec., la Cattedra di san Pietro conobbe una diffusione parallela alla Conversione di san Paolo. Si trovano, infatti, l’una e l’altra negli stessi manoscritti. Fu così che nel X – XI sec., le due feste furono ricevute a Roma.
Ma mentre la Conversione di san Paolo vi era celebrata per la prima volta, la Cattedra di san Pietro ritrovò il suo spazio dopo quattro o cinque secoli di assenza.
Ecco come la festa della Cathedra sancti Pétri era celebrata a San Pietro alla fine del XII sec.: secondo il canonico Benedetto, in cathedra sancti Pétri legitur sicut in die natalis ejus, tamen ad vesperum et ad matutinas laudes canitur. Ecce sacerdos magnus, che corrisponde pressappoco alle indicazioni che sono date dall’Antifonario. Poi aggiunge: Domnus papa débet sedere in kathedra ad missam. Benedetto fa, molto verosimilmente, allusione alla cattedra carolingia, che dové essere considerata ulteriormente come quella dell’Apostolo. Nessuna delle nostre due fonti conteggiano la Cattedra di san Pietro tra le feste in quibus papa debet coronari (così ricorda Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, p. 400).
Al di là di ciò, qui ci preme evidenziare che l’Ufficio riprendeva una parte dei suoi testi dal Comune dei Pontefici e l’altra dalla festa del 29 giugno.
Nel Laterano si attingeva dal Comune di un Pontefice e da quello degli Apostoli (cfr., in generale, ibidem, pp. 225-226).
La messa tradizionale è la stessa del 18 gennaio, ma si omette la memoria di santa Prisca.

Vincenzo Catena, Cristo dà le chiavi a Pietro, 1520 circa, Museo del Prado, Madrid

Jean Auguste Dominique Ingres, Cristo consegna le chiavi a Pietro, 1820, Musee Ingres, Montauban


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