sabato 17 gennaio 2015

“Mihi crédite, … fratres, pertiméscit sátanas piórum vigílias, oratiónes, jejúnia, voluntáriam paupertátem, misericórdiam et humilitátem, máxime vero ardéntem amórem in Christum Dóminum, cujus único sanctíssimæ crucis signo debilitátus áufugit” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI ANTONII ABBATIS

Il nome di questo celebre patriarca fu pronunciato per la prima volta a Roma da sant’Atanasio, che, descrivendo le sue virtù ed i suoi miracoli ai lontani discendenti dei Gracchi e degli Scipioni sull’Aventino, nella casa di Marcello, ispirò loro l’amore per la vita monastica.
La celebrazione di «sant’Antonio il Grande, astro del deserto e padre di tutti i monaci», Άγιος Αντώνιος ο Μέγας , αστέρι της ερήμου και ο πατέρας όλων των μοναχών, è iscritta in questo giorno nel calendario copto. È ugualmente in questo giorno che essa è celebrata nei riti siriani occidentale e siriani orientale e bizantino, come era già a Gerusalemme nel V sec. La sua menzione apparve in Occidente col martirologio di Beda. Il culto di sant’Antonio è attestato a San Gallo ed in Inghilterra dal IX sec. Si diffuse modestamente nel X sec. prima di ricevere un grande sviluppo in Francia ed in Inghilterra nell’XI sec., sebbene Cluny non l’avesse mai ricevuto. In Italia, la diffusione non raggiunse altrettanta ampiezza se non allorché si elevarono sotto il suo nome, in Francia ed in Italia, in occasione della malattia chiamata «fuoco sacro» o «di sant’Antonio», un gran numero di ospedali e di cappelle. Il nome di sant’Antonio apparve a Roma nell’XI sec. nella litania pasquale di San Saba, nel calendario dell’Aventino, nel passionario dei Santi Giovanni e Paolo, nei martirologi del Vaticano (che è dipendente da Beda) e di San Ciriaco. Tutte le fonti sono, conviene sottolineare, di origine monastica. Nel XII sec., la festa di sant’Antonio si trova nel sacramentario di San Trifone prima di apparire nell’Ordo del Laterano e nel calendario di San Pietro. Come si vede, la penetrazione e la diffusione del culto di sant’Antonio a Roma ha seguito lo stesso processo della recezione del culto di san Paolo Eremita e di san Mauro (cfr. Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, pp. 214-215).
La festa, quindi, entrò molto tardi nel calendario romano.
A Roma molte chiese erano dedicate al santo, presso la mole di Adriano, a Ripetta, al Foro Romano, ma la più celebre si ergeva sull’Esquilino – l’antica basilica di Sant’Andrea, di Giunio Basso, dedicato in seguito all’illustre Padre del monachesimo egiziano – presso Santa Maria Maggiore, e che aveva un ospedale ad essa annesso, dove, sotto Innocenzo III, trovò un asilo temporaneo persino san Francesco d’Assisi.
La tomba del santo abate fu dapprima in un luogo sconosciuto sul monte Kolzin, ai margini del mar Rosso, poi, nel 561, i suoi resti furono deposti ad Alessandria. Da lì per secoli furono nella chiesa di Saint-Julien di Arles. Per la prima volta nella storia, nel gennaio 2006, in occasione del Giubileo antoniano, le reliquie di sant’Antonio abate hanno lasciato la città di Arles. Dal 6 al 13 gennaio 2006 sono state ospitate nel Comune di Novoli in provincia di Lecce, comune che ne conserva la reliquia del braccio. Dal 13 al 17 gennaio 2006 sono state accolte sull’Isola d’Ischia. Il 20 agosto 2006 sono giunte ad Aci Sant’Antonio.
Nell’iconografia è rappresentato come eremita, con la croce egiziana a forma di T, con un libro, il campanello del mendicante ed un porco – simbolo delle tentazioni diaboliche.



Il santo, infatti, rimasto orfano di entrambi i genitori intorno ai venti anni ed unico erede maschio dei vasti possedimenti terrieri, vendette tutti quei beni, dando il ricavato ai poveri, e, sistemata adeguatamente la sorella, si diede a vita solitaria ed eremitica nel deserto. Lì fu tentato per molti anni dal diavolo, che gli compariva ora sotto forme umane ora sotto forme mostruose; lo tentava soprattutto nella lussuria ed una volta, vinta questa tentazione, vide apparire il diavolo sotto forma di un ragazzo nero, un etiope, che gli si presentò dinanzi come «spirito dell’impurità» e che gli si prostrò dicendosi vinto dal Santo (cfr. Sant’Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio, 6.1-3, ora con Introduzione, traduzione e note di Lisa Cremaschi, Paoline, Milano 2007, pp. 90-91). Ma, dopo il diavolo, ebbe la consolazione di vedere Gesù, al quale chiese la ragione per la quale l’avesse lasciato solo a lottare col demonio. E Gesù gli rispose che non l’aveva mai lasciato e che era sempre stato al suo fianco, poiché, diversamente, non sarebbe mai riuscito vincitore del Maligno. Scoperto il suo rifugio, cominciarono ad accorrere a lui frotte di gente, in cerca di aiuto e consiglio, interrompendo la sua preghiera. Fu così che decise di ritirarsi ancor più nel deserto, per non essere disturbato. Ma fu seguito da tanti, affascinati dalla sua vita. Fu così che il deserto si popolò di uomini, dediti alla preghiera, al ritiro ed alla penitenza. Ecco perché egli è considerato Padre della vita anacoretica e del monachesimo.






Joan Reixach, S. Antonio abate, 1450-60, Museo del Prado, Madrid

Luis Tristán, S. Antonio abate, XVII sec., Museo del Prado, Madrid

Fray Juan Bautista Maíno, S. Antonio abate in un paesaggio, 1612-14, Museo del Prado, Madrid

Francisco Rizi, S. Antonio abate, 1665 circa, Museo del Prado, Madrid

Francisco de Zurbarán, S. Antonio abate, 1664

Paolo Veronese, La Vergine col Bambino appaiono ai SS. Antonio abate e Paolo eremita, 1562, Chrysler Museum of Art, Norfolk

Giuseppe Degregorio, S. Antonio abate, XX sec.

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