lunedì 29 dicembre 2014

"Gaudeámus omnes in Dómino, diem festum celebrántes sub honóre beáti Thomæ Mártyris" (Intr.) - SANCTI THOMÆ EPISCOPI ET MARTYRIS

Prima della riforma di Giovanni XXIII, che stabilì che tutti i giorni dell’Ottava della Natività fossero giorni di II classe (Cfr. Codice delle Rubriche, Rubriche generali, § 68), che non ammettono che le memorie dei santi cadano in questi giorni, il 29 dicembre vedeva la celebrazione di san Tommaso Becket ed il 31 dicembre quella di san Silvestro I, con solamente la commemorazione dell’Ottava. Dal 1962, dunque, si dice la Messa propria per le ferie nell’Ottava con la mera commemorazione dei santi predetti.
L’arcivescovo di Canterbury Thomas Becket fu assassinato, perché aveva difeso la libertà della Chiesa contro le prepotenze del sovrano, nella sua cattedrale il 29 dicembre 1170 e venerato da subito come martire. Come lui si trovarono a patire il martirio, alcuni secoli dopo, Thomas More e John Fisher. «Et ego pro Deo mori paratus sum, et pro assertione iustitiae, et pro Ecclesiae libertate; … dummodo effusione sanguinis mei pacem et libertatem consequatur» furono le sue ultime parole prima del martirio (cfr. Giovanni di Salisbury, Ep. CCCIV, Al vescovo Giovanni di Poitiers, §§ 13-15).
Il papa Alessandro III canonizzò il santo vescovo il 21 febbraio 1173 e, in una lettera del 12 marzo seguente, annunciò al clero ed al popolo di tutta l’Inghilterra questa canonizzazione di Tommaso, di cui ordinava natalem diem passionis solemniter annis singulis celebrari (Ph. Jaffé, Regesta Pontificum romanorum, n.12203, curato ed incrementato da G. Wattenbach, Leipzig, 1888, t. 2, 2° ed.,p. 264). La festa si diffuse rapidamente (è sorprendente constatare che V. Leroquais, nella tavola dei suoi Les sacramentaires manuscrits des Bibliothèques publiques de France, registra 31 menzioni di questa festa nel XII sec.). A Roma, essa fu iscritta nei calendari del Laterano e del Vaticano. Essa è aggiunta nell’Ordo lateranensis (in esso vi è una contraddizione tra i due paragrafi relativi alla celebrazione del 29 dicembre: il primo espone che si dica la messa dell’Ottava della Natività ed il secondo prescrive di celebrare quella di san Tommaso) e nei sacramentari dell’Archivio di Santa Maria Maggiore, dove essa fu inserita senza data tra le messe di santo Stefano e san Giovanni.
Nel messale del Laterano sono stati aggiunti due fogli, al fine di poter introdurre la messa propria Gaudeamus dell’arcivescovo martire: sancti Thomae archiepiscopi et martyris, ma non si può affermare con sicurezza che questa addizione sia anteriore agli ultimi anni del XII sec. (così Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, pp. 330-331).
La festa di san Tommaso di Canterbury, tuttavia, era entrata nel calendario troppo tardi, cioè nel XIII sec., perché fosse accolta tra le solennità stazionali, sebbene l’Ufficio di questo giorno appartenesse al Proprio de Tempore e non al Proprio dei santi.
È quasi certo, peraltro, che la canonizzazione come Martire di Tommaso Becket, anche se avvenuta dopo la data convenzionale di scisma d’Oriente (1054), fu accolta dalla Chiesa della Rus ed a Kiev si cantò una dossologia nella Chiesa di santa Sofia quando arrivò la lettera che annunciava la canonizzazione del martire.
Roma cristiana ha dedicato una chiesa al nostro Santo, San Tommaso di Canterbury agli Inglesi, già denominata SS. Trinità Scotorum o Anglicorum, nel rione Regola (Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p. 413; Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, pp. 493-494), e che è la chiesa del Venerabile Collegio Inglese.
La messa prima del 1962, che era doppia (dal ‘62 solo commemorazione), aveva un carattere grandioso, talora patetico, essendo ricca di sentimento e rivelava la grande impressione che aveva fatto nell’Europa cristiana il barbaro assassinio dell’arcivescovo di Canterbury, compiuto da alcuni sicari, nella sua propria cattedrale, all’ora dei Vespri. Dopo i fiori rossi di cui gli Innocenti hanno inghirlandato la mangiatoia del Divino Bambino di Beth-lechem, conveniva che uno dei più potenti Pontefici (Vescovi) del Medioevo venisse a deporvi la sua corona di rose, a nome di tutto l’episcopato cattolico. È per questa ragione che la messa trattava, richiamandole a più riprese, delle qualità e dei doveri di un vescovo e di un pastore di anime.
I santi Padri, spiegando il testo dell’Apostolo a Timoteo, secondo cui “occorre che il vescovo sia irreprensibile” (1 Tim 3, 2; Tito 1, 6), insegnano comunemente che questi deve essere già in stato di perfezione solidamente acquistata, in quanto deve aver estirpato da sé, prima, ogni radice di amor proprio, per non cercare altro che la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Difatti, la carità è un movimento dell’anima all’esterno della stessa, verso Dio e tutto ciò che si riferisce a Lui. Quando l’anima si ripiega su se stessa, allora si allontana dalla legge di perfetto amore per cadere nel difetto dell’egoismo. Charitas non quaerit quae sua sunt (1 Cor 13, 5); chi ama Gesù Cristo, diceva sant’Alfonso, cerca di staccarsi da tutto il creato (Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Pratica di amar Gesù Cristo2, adattamento e note di Alfonso Amarante (a cura di), Roma 2008, p. 116). Per questo l’ufficio Pastorale, che è proprio un ufficio di supremo amore e di disinteresse, esige l’oblio di se stessi, per non più vedere davanti a sé che Dio e la sua gloria nella santificazione dei fedeli.
Alla vicenda del Santo arcivescovo e martire di Canterbury è ispirato il film "Becket e il suo re", del 1964, diretto Peter Glenville, tratto dal dramma teatrale "Becket ou l'honneur de Dieu" di Jean Anouilh, con un convincente Richard Burton nei panni del primate d'Inghilterra.





Autore sconosciuto, S. Tommaso Becket, XVII sec., National Portrait Gallery, Londra

Albert Pierre Dawant, La morte di S. Tommaso, 1879, Musée des Arts et de l’Enfance, Fécamp



Timoteo Viti, SS. Thomas Becket e Martino di Tours con l’arcivescovo Giovanni Pietro Arrivabene e Guidobaldo da Montefeltro, duca di Urbino, XV sec., Palazzo Ducale, Urbino

Maestro Francke o Meister Francke, Martirio di san Tommaso Becket, 1424, Kunsthalle, Amburgo

Le Nain (attrib.), Sacra conversazione con S. Tommaso Becket, 1640 circa

Benjamin West, S. Tommaso Becket, 1797, Museo de Arte, Toledo


Durante Alberti, SS. Trinità tra i SS. Tommaso di Canterbury ed Edmondo, 1580-83 circa, Chiesa di S. Tommaso di Canterbury, Roma

Martirio di S. Tommaso, Cattedrale, Bayeux


Samuel Seeberger, Penitenza del re Enrico II sulla tomba di S. Tommaso Becket, Northampton Museums & Art Gallery, Northampton

Casula (o piviale?) di San Tommaso di Canterbury: trattasi di un mantello sacro di eccezionale bellezza con medaglioni ricamati in seta ed oro. Il manto regale fu eseguito, come attesta una iscrizione in arabo, nell'anno 510 dell'Egira (1116 dell'Era Cristiana). Venne ceduto alla Cattedrale di Fermo da Presbitero, vescovo di Fermo (1184-1201), che lo aveva avuto in dono dalla madre di Tommaso Becket: entrambi, infatti, erano stati studenti allo Studium di Bologna. La madre del Martire volle far conservare il paramento del figlio presso la chiesa del suo fedele amico fermano, perché costui ne aveva condiviso la spiritualità più profonda, quella che trasformava la sua morte in un inobliabile atto di santità. Misura 160 cm in larghezza per 520 in circonferenza di base. Il ricamo, frutto dell'arte manufatturiera arabo-ispanica di Almeira, è stato utilizzato come veste liturgica dal Santo ed è perfettamente conservata nel Tesoro della Basilica Metropolitana di Santa Maria Assunta di Fermo. Il prof. David Rice dell'Università di Londra l'ha studiata a lungo e ha potuto leggere la dicitura ricamata che recita una formula "in nome di Allah", ritenendo che si tratti del più antico ricamo arabo che si conosca in tutto il mondo.

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