domenica 9 novembre 2014

IN DEDICATIONE ARCHIBASILICÆ SANCTISSIMI SALVATORIS

La più antica attestazione della Dedicazione della Basilica del Santo Salvatore appare in un manoscritto di Beda della regione di Geata, che H. Quentin ritiene risalente alla fine del X o all’inizio dell’XI sec., in cui si legge: V Id. nov. dedicatio basilicæ Salvatoris domini nostri Ihesu Christi.
Nel corso dell’XI sec., essa è stata annunciata dal martirologio di san Pietro e dal sacramentario di san Lorenzo in Damaso; forse anche dal martirologio di Santa Maria in Trastevere, che menziona al 10 novembre una dedicatio sancti Johannis ad fontem.
Intorno all’anno 1100, l’antifonario della messa identificato con Vat. lat. 5319, che è un manoscritto composto di 157 fogli e che si pensa di poter attribuire (come editore) al Laterano, indica i testi dei canti per la dedicatio Salvatoris; mentre il passionario del Laterano fornisce le letture dell’ufficio. Nella seconda metà del XII sec., la celebrazione della dedicazione è attestata a san Pietro e si svolge al Laterano con grande solennità. È a quest’epoca che risale la celeberrima festivitas in Urbe di cui parla il canonico Giovanni detto il Diacono, nella sua Descriptio lateranensis ecclesiæ (Giovanni DiaconoDescriptio lateranensis ecclesiæ, 1, ora in R. Valentini – G. ZucchettiCodice Topografico della Città di Roma, Coll. Fonti per la Storia d’Italia, 3, Roma 1946, p. 332), quando i vari Ordini Romani notano che in tale circostanza la chiesa veniva adornata di festoni e che, in quel giorno, il Pontefice, stando in Roma, celebrava la messa ed i vespri della solennità.
Ricorda, quindi, il canonico del Laterano l’imago Salvatoris infixa parietibus primum visibilis omni populo Romano apparuit (ivi, p. 333), datando l’evento al 9 novembre.
Come però e quando sia sorto quest’anniversario delle encenie del Laterano, ignorate dapprima dalla classica tradizione liturgica di Roma per ben otto secoli, senza alcun documento letterario o epigrafico che ne preservasse la traccia, ci è ancora sconosciuto.
Tenendo tuttavia conto che esse ricorrono dieci giorni prima di quelle di san Pietro e di san Paolo, non sembra del tutto da escludere l’ipotesi, che siano state istituite in relazione alla solennità inaugurale dei due massimi Santuari Apostolici, al fine di celebrare, entro una stessa quindicina, le dedicazioni delle tre maggiori basiliche costantiniane di Roma.
Sta il fatto che, mentre il Geronimiano menziona le dedicazioni delle basiliche romane restaurate o costruite da Sisto III, quali, ad esempio, santa Maria Maggiore (il 5 agosto), san Pietro ad vincula (il 1° agosto), i Santi Sisto, Ippolito e Lorenzo (il 2 novembre), invece omette qualsiasi menzione delle encenie compiute da papa san Silvestro sulla via Cornelia, sull’Ostiense ed in Lateranis.
Come dunque si giunse in Roma a stabilire il giorno del 9 novembre per l’anniversario della dedicazione della basilica del Salvatore? Ci mancano i documenti, e non possiamo quindi fare che delle ipotesi.
Fu già un tempo tradizione liturgica in Roma che le varie chiese intitolate al Salvatore celebrassero quest’oggi cumulativamente la loro dedicazione. Può essere che all’inizio il 9 novembre ricorresse semplicemente l’anniversario della dedicazione di san Salvatore in Thermis, messa pur essa in relazione con Costantino, che ne sarebbe stato il primo fondatore. Col tempo invece, la dedicatio Sancti Salvatoris sarebbe stata estesa a tutte le chiese urbane dedicate al Salvatore, comprendendovi soprattutto l’augusto tempio del Laterano.
Si trova, tuttavia, che nell’XI sec. apparve in certe regioni la festa intitolata ad una Passio ymaginis Domini, che è precisamente fissata al 9 novembre (Cfr. A. Olivar (a cura di), Sacramentarium Rivipullense, Madrid-Barcelona 1964, p. 185. La colletta recita: OSD qui hunc diem nobis celeberrimum contulisti …). Nel XII sec., la festa era celebrata su entrambi i versanti dei Pirenei ed in Italia, dove il titolo più completo era: Passio ymaginis Domini Salvatoris o più semplicemente Salvatoris mundi. Tra i martirologi, quello di san Ciriaco è senza dubbio il primo a menzionare la festa sotto il titolo di Miracula domini Salvatoris, attestante anche che essa era conosciuta a Roma tra il 1024 ed il 1043.
Questa notizia apparve in seguito nei manoscritti tardivi di Usuardo, da cui passava nel Martirologio romano. Baronio ha una lunga nota sulla Commemoratio imaginis Salvatoris. Egli sa bene che la lettera declamata a Nicea non è di sant’Atanasio d’Alessandria come si credeva. L’attribuisce, invece, a un vescovo siriano dello stesso nome (Cfr. Martyrologium romanum... Accesserunt Notationes … auctore Cæsare Baronio, pp. 552-553).


La festa commemorava un miracolo riportato in una lettera attribuita a sant’Atanasio: dei Giudei avevano colpito con una lancia un’immagine del Cristo a Beret (Beirut), in Fenicia (Libano), e da quest’icona ne sarebbe stillato sangue vivo ed acqua. A seguito di questo miracolo, il vescovo della città avrebbe trasformato la sinagoga dei giudei in una chiesa, dedicandola a Cristo Salvatore. La lettera in cui si menzionerebbe il fatto fu letta alla IV sessione del II Concilio di Nicea (1° ottobre 787) tra le testimonianze portate in favore del culto delle sante Icone (Mansi, XIII, 23 s.). Nella lunga recensione di questa lettera apocrifa si leggeva che il vescovo di Beirut prescrisse di celebrare il 9 novembre una festa che doveva essere osservata non minore reverentia quam natalis Domini vel Paschalis (Cfr. H. DelehayeMartyrologium romanum scholis historicis instructum, Brüssel 1940, p. 507). Significativo è che a seguito della pretesa disposizione non si trovi alcuna menzione di una tale festa nei calendari orientali dell’epoca, sebbene in questo medesimo giorno, gli Orientali celebrino la commemorazione dell’immagine prodigiosa del Salvatore profanata dai Giudei a Beirut.
Sta di fatto che dal X al XII sec., numerose chiese furono erette sotto il titolo di San Salvatore. Si comprende, allora, che molte scelsero la solennità del Domini Salvatoris, il 9 novembre, per la festa del titolare; anzi, si ritenne ugualmente in questo giorno di fare la dedicazione di alcune di esse.
È così che, all’inizio dell’XI sec., il calendario di un’abbazia del San Salvatore, probabilmente quella del Monte Amiata a sud di Siena, annuncia in questo giorno: S. Salvatoris. Nel XII sec., si videro apparire in Francia, specialmente in Normandia e nel Nord Europa delle messe in memoriam Salvatoris DNIC, o de Salvatore, o in commemorationem Salvatoris, o in veneratione Domini ac Salvatoris nostri. Ma queste messe non sono mai legate ad un giorno fisso (se non tra il sabato santo e la Pasqua). Sembra che si possa metterle in relazione con le rappresentazioni del santo Sepolcro che si moltiplicarono all’epoca dei crociati.
Fu così anche al Laterano, in cui si venerava, al centro della conca absidale, la celebre imago Salvatoris.
Non è da escludere, pertanto, che questa festa orientale del Salvatore, divenuta popolare anche tra i Latini ed iscritta perciò nei Martirologi, abbia offerto il suo spunto alla solennità romana della basilica del Salvatore in Laterano.
Ma anche senza voler pretendere di far risalire le encenie odierne sino ai tempi di papa Silvestro, perché non metterle piuttosto in relazione con quelle altre che certamente celebrò, in Laterano, papa Sergio III (904-911) quando, essendo crollata nell’897 la veneranda basilica Costantiniana, la riparò dalle fondamenta? Questo è l’interrogativo che si pone il beato card. Schuster (A. I Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano, vol. IX, I Santi nel Mistero della Redenzione (Le feste dei Santi dalla Dedicazione di San Michele all’Avvento)2, Torino-Roma, 1932, p. 127).
Al di là delle ipotesi formulabili, sono tutti problemi che bisogna pel momento lasciare ancora insoluti. Accontentiamoci per adesso di sapere che la dedicatio Sancti Salvatoris può vantare un’antichità di almeno otto secoli, antichità quindi abbastanza veneranda.
Il Laterano entra la prima volta nella storia ecclesiastica nell’anno 313, quando, secondo quanto riferisce Ottato di Milevi, venne celebrato tra le sue mura, sotto papa Melchiade o Milziade, un concilio contro i Donatisti: «convenerunt in domum Faustae in Laterano» (Ottato di Milevi, De schismate Donatistarum adversus Parmeniarum libri VII, lib. I, 23, in PL 11, col. 931A). Fu precisamente verso quest’epoca, che Costantino aveva donato alla Chiesa Romana l’antico palazzo dei Laterani, che era venuto probabilmente in suo possesso come porzione della dote di sua moglie Fausta, sorella di Massenzio (sebbene storicamente, nulla attesti che la Fausta citata da Ottato sia proprio l’imperatrice, giacché, anzi, è assai difficile supporre che la moglie di Costantino abbia mai posseduto un palazzo a Roma, in quanto sembra non sia mai tornata in questa città dopo la sua nascita, sebbene non possa negarsi un certo interesse per l’area, se si pensa che, a poca distanza, sorgeva il palazzo del Sessorio, residenza romana di sua madre Elena).
A partire da allora, il Laterano divenne la residenza abituale dei Papi, e come tale, può essere da noi riguardato come un vivo monumento, anzi una religiosa Reliquia di quella lunga serie di Pontefici Santi che vi risiedettero durante quasi dieci secoli. Quanta storia, dunque, quanta poesia, quanta arte tra quelle mura bimillenarie, e che videro una dinastia pontificia assai più continua che non qualsiasi altra più lunga dinastia di sovrani!
Fu là, in Laterano, che, ad insinuazione di papa Silvestro, Costantino trasformò, o eresse la prima basilica “dedicata” in Roma al Salvatore il 9 novembre del 312, dunque a sole due settimane di distanza dalla battaglia di ponte Milvio (Va precisato, tuttavia, che verosimilmente col termine ‘dedica’ deve intendersi propriamente la semplice cessione dei terreni destinati all’edificazione della chiesa, mentre la consacrazione vera e propria sarebbe avvenuta nel 318: Cfr. R. Krautheimer, Three Christian Capitals: Topography and Politics, Berkeley 1983, p. 15).
Ed avvenne così che le sale termali dell’antico palazzo di Plauzio Laterano, caduto vittima della crudeltà di Nerone, furono trasformate in battistero cristiano, dove trionfò appunto quella medesima Croce che Nerone aveva voluto fosse divelta dalla Città dei sette colli. Il bottino di Nerone divenne dopo tre secoli la pacifica eredità dei successori di san Pietro!!! Paradossi della storia.
La disputa se il Laterano, e non piuttosto la basilica vaticana, sia la cattedrale di Roma, non ha senso per gli antichi secoli ai quali ci riferiamo. Sarebbe un anacronismo parlar di cattedrale a Roma nell’Alto Medioevo, quando col sistema della liturgia stazionale il Papa officiava, non già una determinata chiesa, ma tutte quante le basiliche ed i titoli urbani e del suburbio. Egli, nell’Alto Medioevo, risiedeva in quello che si riteneva fosse stato il palazzo di Fausta; quando tuttavia doveva celebrare qualche solennità, l’Epifania, il battesimo pasquale, l’Ascensione, la Pentecoste, le sacre Ordinazioni, le incoronazioni dei re, allora era sempre in san Pietro dove si adunava la stazione, perché era lì che, nel battistero, si conservava la cattedra di san Pietro. Era perciò in quel luogo che il Papa doveva iniziare il suo pontificato; era ancor lì che lo doveva chiudere con la sua sepoltura.
Solo più tardi, col declinare del sistema liturgico stazionale e con lo svilupparsi dell’esteriore potenza del pontificato, prevalse il concetto fondato sullo stato di fatto che, essendo il Laterano la residenza pontificia, ne fosse perciò anche la cattedrale in confronto con gli altri titoli dell’Urbe. Questo concetto venne formandosi a poco a poco; e si affermò in tutto il suo possente splendore verso l’VIII sec., quando l’episcopium divenne anche la sede del governo, ed il successore di Silvestro raccolse indiscutibilmente nelle sue mani la duplice eredità di Pietro insieme a quella di Costantino.
Di fronte alle varie giurisdizioni monastiche, capitolari o vescovili che vennero allora a disputarsi i vari santuari dell’Urbe, la basilica del Salvatore assorse all’altezza di simbolo dell’universale autorità pontificia.
Perciò, non bastò più che dei semplici monaci o dei chierici celebrassero le divine lodi in quel sacro recinto.
Come sugli altari dei Principi degli Apostoli, Pietro e Paolo, già da più secoli i presbiteri dei vicini titoli, si davano quotidianamente il turno per la messa solenne, cosi adesso per l’altare del Laterano non altri vennero designati a fungere da celebranti ebdomadari nella cattedrale del Papa che gli stessi vescovi suburbicari. Il primo nucleo del collegio cardinalizio attorno al Pontefice, in tal modo era costituito.
Ed eccoci giunti alla famosa iscrizione in versi leonini, incisi sull’epistilio del portico del Laterano:

DOGMATE • PAPALI • DATVR • AC • SIMVL • IMPERIALI
QUOD • SIM • CVNCTARVM • MATER • CAPUT • ECCLESIARUM
HINC • SALVATORIS • CAELESTIA • REGNA • DATORIS
NOMINE • SANXERUNT • CVM • CVNCTA • PERACTA • FVERVNT
QVAESUMUS • EX • TOTO • CONVERSI • SVPPLICE • VOTO
NOSTRA • QVOD • HAEC • AEDES • TIBI • CHRISTE • SIT • INCLYTA • SEDES

Per diritto papale ed insieme imperiale,
è stabilito che io sia la Madre di tutte le Chiese.
Quando l’intero edificio fu terminato,
vollero intitolarmi al Divin Salvatore, elargitore del regno celeste.
A nostra volta, con umile voto a Te rivolti,
ti preghiamo, o Cristo,
perché Tu di questo tempio faccia la Tua inclita sede.


Al lato destro vi era scolpito il nome dell’artefice:
NICOLAVS  ANGELI  FECIT  HOC  OPVS.

Nella cattedra posta nell’emiciclo della tribuna si leggeva questo tetrastico in versi leonini, opera del XII sec.:

HAEC • EST • PAPALIS • SEDES • ET • PONTIFICALIS
PRAESIDET • ET • XPI (CHRISTI) • DE • IVRE • VICARIVS • ISTI
ET • QVIA • IVRE • DATVR • SEDES • ROMANA • VOCATVR
NEC • DEBET • VERE • NISI • SOLVS • PAPA • SEDERE
ET • QVIA • SVBLIMIS • ALII • SVBDVNTVR • IN • IMIS

Questo è il trono papale e pontificale,
dal quale presiede, di diritto, il Vicario di Cristo.
Si chiama sede di Roma, quale stabilita dal diritto;
sulla quale perciò non può assidersi altri che il Papa.
Poiché questo è il più alto trono della terra,
tutti gli altri gli sono inferiori ed a lui debbono essere sottomessi.

Cattedrale Pontificia e Madre di tutte le Chiese, la basilica del Salvatore dalla fede del mondo cattolico è stata sublimata alla dignità di simbolo dell’autorità pontificia.
Lo affermava già Dante nei suoi versi:

Veggendo Roma e l’ardüa sua opra,
stupefaciensi, quando Laterano
a le cose mortali andò di sopra (Par. XXXI, 34-36).

La liturgia poi ha consacrato anch’essa questa fede dalla famiglia cattolica, con lo splendore dei suoi riti: di modo che, le odierne encenie lateranensi, da Pio X sono state equiparate di grado alle maggiori solennità del ciclo festivo, col rito cioè di doppio di seconda classe per tutta la Chiesa latina.
E così la liturgia ha risolto praticamente in favore della basilica del Salvatore la questione agitata già col tempio vaticano, a quale dei due spetti cioè la dignità di sede cattedrale pontificia.
Inchiniamoci pertanto a baciare la soglia di questa sacra aula del Salvatore, nella quale all’indomani della vittoria Costantiniana ad saxa rubra, primo brillò agli occhi dei Romani stupefatti il labaro gemmato e sfavillante del trionfatore: ΕΝ • ΤΟΥΤΩ • ΝΙΚΑ, In hoc vinces. E qui davvero il Pontificato Romano, per lungo corso di secoli alternando lotte e trionfi, giorni di umiliazione e di lieta vittoria, ΕΝ ΤΟΥΤΩ, nell’unico segno della Croce, ha combattuto ed ha vinto il mondo, senza che mai le potenze dell’Inferno, le portae inferi, siano riuscite a prevalere contro la Chiesa.
Abbiamo già detto che la festa non è antica; quindi neppure il formulario della messa, la quale, tranne le collette, la si prende interamente dal 13 maggio per la dedicazione del Pantheon.
Nell’antica liturgia Romana, le encenie erano regolarmente considerate come feste in onore dei Santi ai quali il tempio era dedicato, e dei quali perciò si celebrava anche l’ufficio. Ecco quindi le ricorrenze dei santi Filippo e Giacomo (1 maggio), di san Pietro in Vincoli (1 agosto), di santa Maria Maggiore (5 agosto), di san Michele (29 settembre), di santa Cecilia (22 novembre), ecc., che in origine non ricordavano altro che le encenie delle rispettive basiliche a Roma. Se l’odierna festa fosse antica, invece del Comune Dedicationis Ecclesiae, noi oggi avremmo certamente una bella messa – quella magari di Cristo Re - in onore del Divin Salvatore. Invece la basilica Lateranense, quando ha voluto conseguire la propria festa titolare, ha dovuto adottare quella della Trasfigurazione, istituita soltanto sotto Callisto III.









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