venerdì 14 novembre 2014

"Gaudeámus omnes in Dómino, diem festum celebrántes sub honóre beáti Jósaphat Mártyris" (Intr.) - S. Giosafat Kuncewycz, vescovo e martire

Quasi tutte le verità della teologia cattolica hanno i loro martiri particolari: san Giovanni Nepomuceno è il martire del sigillo sacramentale, san Tarcisio è il martire dell’Eucarestia, san Pietro d’Arbuès è il martire del ministero sacro dell’Inquisizione. Occorreva anche che un ruteno, cioè un rappresentante delle venerabili chiese orientali, sigillasse col suo sangue l’antica fede della Bisanzio cattolica relativamente al primato di Pietro su tutta la Chiesa.
Questo martire è Giosafat Kuncewicz, arcivescovo di Polotsk, nato nel 1580 e massacrato dagli scismatici c.d. ortodossi la mattina del 12 novembre 1623.
I meriti di questo Ieromartire per la causa dell’unione della Chiesa rutena con la Chiesa romana sono incredibili. Si ricorda dapprima l’azione potente dell’antico monachesimo per tenere accesa tra il popolo la fiaccola della vera ortodossia. Giosafat, infatti, dopo un’infanzia castissima macerata dalle penitenze volontarie, prese l’abito monastico e, con l’aiuto di Beniamino Rutski, si consacrò alla restaurazione dell’ordine di San Basilio che era caduto in uno stato di profonda decadenza.
Nel 1619, allorché già attorno a lui si era costituito un gruppo di monaci zelanti, Giosafat cambiò il seggio di archimandrita di Vilna per il trono arciepiscopale di Polotsk.
Se, come superiore regolare, il Santo aveva purificato i suoi monaci dall’infimo fermento di scisma, divenuto arcivescovo perseguì l’errore con ogni zelo e con una carità ardente e luminosa. All’esempio di una vita santa, aggiunse il ministero continuo della parola divina, dei catechismi, degli scritti apologetici; così condusse un gran numero di scismatici al seno dell’unità cattolica. Questo bastò per meritargli dai suoi nemici la corona del martirio, che subì intrepido e sereno all’età di soli quarantatré anni, con un colpo d’ascia che gli spaccò la testa.
La prima condizione di una vera santità – va ricordato – è una perfetta ortodossia.
Gli storici raccontano, a questo proposito, che, durante i primi anni di vita religiosa di san Giosafat, il monastero dove viveva era governato da un metropolita scismatico di sentimenti, ma ipocrita, che evitava cioè ogni azione capace di comprometterlo nei confronti dei cattolici. Nel monastero faceva un gran male, ma era difficile trovare un’opportunità di rompere con un così perfido superiore. Giosafat e Rutski dovettero manovrare dunque abilmente tra l’obbedienza dovuta all’egumeno, sebbene fosse scismatico nel suo cuore, ed il loro attaccamento all’ortodossia romana. Ma venne un giorno in cui l’archimandrita si tradì da se stesso. Celebrava il divin Sacrificio, e Giosafat l’assisteva come diacono. Dopo la consacrazione, mentre, durante la litania della grande intercessione, il celebrante deve fare la commemorazione del Pontefice romano, l’archimandrita passò oltre. Non occorreva altro più: il santo diacono si ritirò immediatamente dall’altare e non volle più prendere parte alcuna a questo sacrificio sacrilego del pastore scismatico.
Nel 1642, Urbano VIII l’iscrisse già nel catalogo dei beati ed il beato Pio IX, il 29 giugno 1867, in occasione del centenario dei due Principi degli Apostoli, ornò del diadema dei Santi quest’energico campione dell’unità cattolica nel primato della Chiesa romana, mentre circondava il Papa una folla scelta di cardinali e di vescovi, giunti a Roma da tutti i paesi del mondo, anche più lontani.
I ruteni celebrano la sua festa il 16 settembre.
Il Signore ci ha affidato quaggiù una missione temibile, che dobbiamo compiere nel mezzo di difficoltà di ogni genere. Ci sentiamo piccoli ed impotenti. Che cosa fare? Disperare? Mai. Gesù, grazie all’Eucarestia, si è messo interamente a nostra disposizione. Più grande è dunque la nostra insufficienza, più profonde sono le nostre lacune, più grande perciò è il posto che lasciamo alla divina grazia per colmare queste lacune e per supplire a questa insufficienza. Si racconta che, durante i primi anni della riforma monastica che ebbe san Giosafat per promotore, Satana scaricava il suo furore spaventando i monaci quando si destavano la notte per le sante veglie notturne: il Santo volle mettere infine termine a questi rumori terribili, ed una notte, avendo preso tra le sue mani la santissima Eucarestia, inseguì il demonio e lo cacciò fuori dalla cinta del monastero. Il fragore fu terribile, ma alla fine Satana dové dichiararsi vinto, e lasciare da allora i monaci celebrare in pace i loro uffici notturni.







Józef Simmler, Martirio di S. Giosafat, 1861, Muzeum Narodowe w Warszawie, Varsavia




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