sabato 7 luglio 2012

“Non praevalebunt”. I primi cinque anni della Summorum Pontificum

di Vito Abbruzzi

Il prossimo sette luglio la Lettera Apostolica “Motu Proprio data” sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, più comunemente conosciuta come Summorum Pontificum, compie cinque anni. Fu, infatti, data il sette luglio del 2007 dall'attuale Sommo Pontefice Benedetto XVI e da allora essa, in soli cinque anni, per dirla con una espressione felice della Universae Ecclesiae (la Istruzione del 30 aprile 2011 sull'applicazione della Summorum Pontificum), “ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana” (n. 1).
Adattando una frase del papa San Gregorio Magno, possiamo affermare che la scelta del 7 luglio 2007 (7.7.7) “non avvenne a caso, ma per divina disposizione” (Omelia, n. 26), se pensiamo che persino gli Acta Apostolicae Sedis riportano il testo della Summorum Pontificum alla pagina 777 e seguenti del volume 99 (anno 2007). Ed in vero è così! Il sette è il numero che esprime la perfezione divina e, dunque, “completa”; a differenza del sei (7–1), che indica la perfezione creaturale: una “perfezione non raggiunta” e non raggiungibile. A dircelo è il noto Dizionario di Teologia Biblica, di Xavier Leon-Dufour, alla voce Numeri, facendo esplicito riferimento ad Apocalisse 13, 18, in cui si parla del numero della famigerata “bestia”: 666. A ciò fa da contraltare l’invitto e vittorioso 777. Il sette luglio del 2007, difatti, segna la sconfitta di chi voleva l’affermazione assoluta di una Liturgia desacralizzata, così come è quella del Novus Ordo, con tutte le aberrazioni che tristemente conosciamo. È il caso qui di citare per intero quanto pubblicato sull’ANSA del 19 giugno scorso a proposito della “Liturgia oggi degradata a intrattenimento, a sorta di riunione di famiglia”: «Il mio auspicio è che il Papa scriva un’enciclica sulla Liturgia, proprio a partire dalla fede, e che i cardinali, i vescovi e i sacerdoti, lo assecondino di più su questi temi”. Così mons. Nicola Bux, docente alla Facoltà teologica pugliese e consultore presso le Congregazioni per la Dottrina della Fede e per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, commenta alla Radio Vaticana quanto detto dal Papa nel videomessaggio per la cerimonia conclusiva del Congresso Eucaristico internazionale di Dublino sul fatto che i desideri dei Padri Conciliari circa il rinnovamento liturgico sono stati oggetto di “molte incomprensioni ed irregolarità” e che “la revisione è rimasta ad un livello esteriore”. “Nonostante le indicazioni del Concilio – spiega Bux –, la liturgia è stata degradata da ‘atto di culto’ a una sorta di intrattenimento, a una riunione di famiglia. Ma non si tratta di un bene a nostra disposizione, è un ‘atto pubblico della Chiesa’ che viene regolato dalla Santa Sede e – come ricordava il Concilio – nessun altro, anche se sacerdote, può aggiungere, togliere o mutare alcunché di sua iniziativa in materia liturgica”. Quello che è avvenuto, “e che il Papa in qualche modo denuncia, è esattamente ciò che i Padri Conciliari non volevano. Molti hanno inteso la riforma come una rivoluzione e hanno messo al centro l’uomo, con la sua immancabile volontà di protagonismo, anziché Dio”. Secondo il docente, “abbiamo tolto dal centro il Santissimo Sacramento per mettere al suo posto noi chierici, in un momento in cui – come si vede dalle cronache – faremmo bene a metterci di lato, come ministri. Non lamentiamoci poi del decadimento dell’etica, anche nella Chiesa” – conclude Bux –. “Come ha ricordato Benedetto XVI con un’espressione forte, la crisi della Chiesa nasce proprio da una crisi della Liturgia”».
E, allora, per dirla coll’azzeccato titolo del fortunato libro di Bux, “come andare a Messa e non perdere la fede”? Ce lo spiega quel maestro inascoltato che fu l’abate Emanuele Caronti, primo e vero paladino del Movimento Liturgico in Italia, il quale aveva collaborato alla stesura della Mediator Dei di Pio XII, l’enciclica che in materia di Liturgia rappresentava, a suo dire, “il punto di arrivo invalicabile, la voce definitiva della Chiesa” (G. Lunardi, Uomo di Dio e della Chiesa. Ab. Emanuele Caronti O.S.B., ed. La Scala, Noci 1982, p. 168): «Nella Messa […] prevale il raccoglimento, e perciò la Chiesa ha sapientemente stabilito che i fedeli vi assistano stando sempre in ginocchio, eccettuato il tempo in cui si legge il santo Vangelo, che si deve ascoltare in piedi. Purtroppo l’uso prevalso presso i cristiani trascura quasi completamente questa prescrizione. Le nature odierne, deboli più nella fede che nella complessione fisica, stimano troppo grave fatica rimanersene in ginocchio durante una breve mezz’ora. Sull’altare si compie il grande sacrificio di espiazione per i tuoi peccati: non ti deve sembrare eccessivo un disagio corporale. D’altronde il sacrificio che tu farai, ti verrà abbondantemente ricompensato dai frutti spirituali che ritrarrai, qualora in unione colla Vittima divina potrai offrire al Padre le tue pene e i tuoi piccoli incomodi. […] Solo al momento augusto, quando il Verbo Incarnato nascondendosi sotto i veli eucaristici viene a visitare l’umanità ed offrirsi nuovamente Vittima per i di lei peccati, e cibo per le anime fedeli, la Chiesa domanda le tue profonde adorazioni e i tuoi pii raccoglimenti. Per norma della tua condotta troverai notate […] le varie posizioni da prendersi durante la Messa […]: tu le eseguirai fedelmente, perché nella liturgia tutto è venerabile e pieno di mistero» (E. Caronti, Il Messale festivo per i fedeli, ed. L.I.C.E., Torino 1932, pp. XV-XVI).
“Chi ha orecchi per intendere intenda!” (Mc 4, 9); “ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2, 29) attraverso la voce autorevole di Pietro, il Romano Pontefice, che il 29 giugno scorso nella Basilica vaticana, durante l’omelia della “Santa Messa e imposizione del Pallio ai nuovi Metropoliti” ha ribadito la forte e «chiara promessa di Gesù: “le porte degli inferi”, cioè le forze del male, non potranno avere il sopravvento, “non praevalebunt”». Crediamoci, dunque, tornando a “celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni”, così come chiede il Santo Padre nella Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Summorum Pontificum: soltanto così potrà finalmente “manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all'antico uso”.

2 commenti:

  1. Una postilla a commento anche dell'immagine, che raffigura San Michele Arcangelo: la non casualità della data 7.7.7 ha molto a che fare con il "Princeps Militiae Celestis", il quale, ricordando nel nome la supremazia assoluta di Dio (quis ut Deus), sconfigge il maligno, che, in quanto tre volte 6, è condannato alla propria e definitiva impotenza. Purtroppo il Novus Ordo ha "cancellato" la menzione dell'Arcangelo Michele, il santo più invocato nel Messale di S. Pio V, finalmente "riabilitato" con il Motu Proprio "Summorum Pontificum". Ma San Michele, prevedendo tutto ciò, apparve il 7 luglio 1956 (esattamente cinquantun anni prima della pubblicazione della "Summorum Pontificum") ad una sua devota di Oppido Lucano (PZ), una certa Francesca Lancellotti, ordinandole di trasferirsi a Roma, dove avrebbe avvicinato molti alti prelati e uomini di scienza. Non dimentichiamo che il 1956 segna un punto di svolta per la nostra storia liturgica: si approva definitivamente la ancor oggi discussa riforma della Settimana Santa, gettando le basi per la ancor più discussa e controversa riforma del Messale Romano, così come oggi lo conosciamo: manifestamente antrocentrico. Il 7 luglio 2007, dunque, rappresenta la vittoria di Dio, la sua Signoria assoluta, il suo diritto ad essere da noi adorato, poiché, come divinamente insegna la preghiera eucaristica, ciò "è cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza".
    Non siamo, adunque, sordi alla voce dello Spirito, che, già prima dell'invenzione del televideo, da sempre utilizza la pagina "777" per i suoi non udenti.
    Deo Gratias!

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  2. Errata corrige: volevo dire "antropocentrico"; chiedo venia: si tratta di un errore di battitura. Approfitto per dire che Francesca Lancellotti, deceduta il 2008, sarà il prossimo anno dichiarata "Serva di Dio", poiché solo allora, passati cinque anni dalla morte (come stabilisce la prassi canonica), potrà avere inizio la sua causa di beatificazione.

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