venerdì 11 febbraio 2011

Intervista al card. Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione per il Clero

di Armin Schwibach

Roma (kath.net/as) Il sacerdozio non deve essere “normalizzato” secondo le rivendicazioni di una “demitizzazione”, ma deve essere riscoperto nella sua origine divina.
Così afferma il Prefetto della Congregazione per il Clero, S. Em. R. Mauro Cardinale Piacenza, sottolineando al contempo l’importanza di una liturgia “cristocentrica” per una nuova evangelizzazione dei paesi d’occidente. Dopo la notte del calo delle vocazioni sacerdotali, il cardinale vede l’alba di un nuovo tempo, che però necessita principalmente della preghiera – e in particolare dell’adorazione eucaristica – per giungere alla piena luce del giorno.

Nell’intervista esclusiva, generosamente concessa a Kath.net, il Cardinale Piacenza si occupa del sacerdote come “segno di contraddizione” e mette in risalto il particolare mandato dell’arte sacra come via di preghiera verso Dio.

Kath.net: Con il Suo libro “Il sigillo - Cristo fonte dell'identità del prete”, pubblicato nel 2010, Lei ha richiamato alla memoria l’identità del sacerdozio, dichiarando che qualunque discorso su una “nuova evangelizzazione”, traguardo principale della Chiesa, resta vano se non si fonda sul rinnovamento spirituale del sacerdote.
Concretamente, come potrebbe configurarsi il rinnovamento del sacerdozio? Che cosa significa che il sacerdote è “segno di contraddizione” nella società odierna, come Lei disse una volta? Da cosa deve partire la Chiesa e, in particolare, come dovrebbero intervenire i responsabili dei seminari?

Cardinale Piacenza: Chi rinnova continuamente la Chiesa e, in essa, il Sacerdozio, è lo Spirito Santo! Al di là di una visione chiaramente pneumatica e, perciò, soprannaturale, è impossibile anche solo pensare ad un rinnovamento. Ritengo che sia proprio questa una delle principali vie da percorrere: quella del recupero chiaro della dimensione verticale, spirituale del Ministero. Nei decenni passati, troppi “riduzionismi”, animati dalla cosiddetta teologia della demitizzazione, hanno avuto come esito quello di trasformare il Sacerdozio semplicemente in un “super-ministero” di animazione e coordinamento ecclesiale. Il Sacerdote è anche colui che anima la vita pastorale di una comunità, ma esercita tale Ministero in forza di una Vocazione soprannaturale e della configurazione a Cristo, determinata dal Sacramento dell’Ordine. Prima di ogni “servizio ministeriale”, egli rappresenta Gesù Buon Pastore nel cuore della Chiesa e, concretamente, nella comunità alla quale è mandato.
Conseguenza di ciò è che il rinnovamento dovrà necessariamente passare attraverso il primato della preghiera, del rapporto intimo e prolungato con Cristo Risorto, Presente spiritualmente nelle sacre Scritture, realmente nell’Eucaristia, e con il Quale il Sacerdote è perennemente in relazione nel concreto esercizio di ogni gesto ministeriale. Primato della preghiera significa anche primato della fede: la fede schietta e sincera dei santi, quella capace di destrutturare, proprio per la sua semplicità, ogni umano calcolo o ragionamento. Un sacerdote così, in un contesto culturale fondato sull’efficientismo e sull’attivismo, diviene necessariamente segno di contraddizione; come il Signore Gesù è stato ed è ancora oggi “segno di contraddizione”, così, a Sua immagine, ogni sacerdote è chiamato ad esserlo, proprio in forza dell’appartenenza a Cristo e alla Chiesa, e della “novità perenne” che la apostolica vivendi forma è per il mondo.

Nell’attuale contesto secolarizzato, segno di contraddizione sono i sacerdoti santi, fedeli, dediti al proprio Ministero, perché dediti a Dio e capaci, perciò, di condurre le anime ad un autentico incontro con il Signore. Solo chi è tutto di Dio può essere tutto della gente.
A tutto ciò devono essenzialmente essere formate le nuove generazioni di sacerdoti, evitando accuratamente di cadere nella tentazione di chi volesse “normalizzare” il Sacerdozio, pensando, in tal modo, di renderlo più accettabile ai giovani e agli uomini del nostro tempo. Ciò, al contrario, porterebbe alla “desertificazione” delle vocazioni. Il futuro del Sacerdozio, che è garantito, a livello soprannaturale, dalla fedeltà di Dio alla Sua Chiesa, sta anche, per quanto ci riguarda, nella motivata promozione della sua reale natura, che è – le Scritture lo testimoniano e la grande Tradizione ecclesiale e magisteriale lo conferma – di origine squisitamente divina.

Kath.net: Il Santo Padre Benedetto XVI nel suo libro-intervista con Peter Seewald, “Luce del mondo” dice: «E’ immaginabile che il diavolo non riuscisse a sopportare l’anno sacerdotale e allora ci ha scaraventato in faccia il sudiciume. Ha voluto mostrare al mondo quanta sporcizia c’è anche proprio tra i sacerdoti». Lei ritiene sia un caso che proprio durante l’anno sacerdotale in non pochi paesi del mondo sia scoppiato lo scandalo degli abusi sessuali? E alla fine il diavolo ha perso davvero?

Cardinale Piacenza: Lei sa bene che il caso non esiste! Esistono invece le coincidenze e, più spesso, le strategie umane, che si espongono alle strumentalizzazioni del maligno.
È doveroso ricordare, innanzitutto, che il demonio non ha vinto durante l’Anno Sacerdotale, quando, come affermato dal Santo Padre: «Ci ha scaraventato in faccia il sudiciume», ma piuttosto quando alcuni Ministri di Dio, chiamati per Vocazione ad annunciare il Vangelo e ad amministrare i Sacramenti, abusando del proprio compito, hanno ferito in modo mortale giovani vite innocenti. È in questa perversione assoluta la vera vittoria del maligno, ed il fatto che tali terribili ed inqualificabili comportamenti siano emersi durante l’Anno Sacerdotale, non ha diminuito la verità del Sacerdozio, ma, permettendo la doverosa penitenza e riparazione per quanto accaduto, ha favorito una più profonda consapevolezza di quanto lo straordinario Tesoro, donato da Cristo alla Sua Chiesa, sia contenuto in vasi di creta. Tale situazione, che è drammaticamente inquietante, potrebbe divenire addirittura disperante, se non fossimo certi che il diavolo, il quale vince purtroppo molte battaglie, ha già perso definitivamente la sua guerra, poiché è stato sconfitto dalla Morte redentrice di Nostro Signore Gesù Cristo e dalla sua gloriosa risurrezione.
Spesso, in particolare in paesi di lingua tedesca, molti sacerdoti sono esposti a pressioni da parte di laici e consigli pastorali. Quasi si ha la sensazione che certi laici vogliano farsi largo nello spazio dell’altare per assumere funzioni ministeriali. In non poche diocesi di lingua tedesca, sacerdoti che vogliono essere fedeli alla chiesa, si ritrovano spesso soli. Talvolta neppure i vescovi diocesani offrono ai loro sacerdoti il necessario sostegno. Come è visto questo problema a Roma? Come dovrebbero e potrebbero difendersi i sacerdoti in una tale situazione?

Cardinale Piacenza: Anzitutto intendo affermare con assoluta chiarezza e motivato convincimento che la collaborazione tra sacerdoti e laici è tanto necessaria, quanto sacramentalmente fondata. È necessario viverla all’interno di alcuni parametri irrinunciabili sia dal punto di vista teologico, sia sotto il profilo pastorale. È doveroso ricordare che al ministero della testimonianza sono chiamati tutti i battezzati, e non semplicemente coloro che hanno ricevuto un qualche ministero ecclesiale. I fedeli laici devono essere educati a tale senso permanente dall’apostolato, da vivere soprattutto nel mondo, nelle loro concrete circostanze esistenziali, familiari, affettive, lavorative, professionali, educative e pubbliche. I laici davvero “impegnati” sono quelli che si impegnano a testimoniare Cristo nel mondo, non quelli che suppliscono alla eventuale carenza di Clero, rivendicando fette di visibilità all’interno delle comunità.
Partendo da questa chiarezza sulla Vocazione universale dei battezzati, nulla esclude che essi possano efficacemente collaborare al Ministero dei Sacerdoti, ricordando sempre, tuttavia, che tra il sacerdozio battesimale e quello ministeriale, esiste, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, riprendendo il Concilio Vaticano II, una differenza essenziale e non solo di grado. (cfr. CCC, n. 1547).
Anche in questo caso, si tratta di riscoprire la fede nella Chiesa, che non è un’organizzazione umana, né tantomeno può essere gestita con criteri “aziendali”, i quali obbediscono a leggi umane, quali la presunta o reale competenza o efficienza e la necessaria spartizione del potere, e che sono quanto di più distante ci possa essere dall’autentico servizio ecclesiale.
Ritengo che proprio questa “riduzione aziendale” del modo di pensare la Chiesa sia una delle cause sia della cosiddetta crisi del numero delle risposte alle Vocazione, sia delle polemiche che, a ondate successive, talvolta forse anche orchestrate, si scatenano contro il celibato sacerdotale. Fa tutto parte di quella miope “strategia di normalizzazione” che mira, ultimamente, ad espellere Dio dal mondo, cancellandone quelli che, oggettivamente, sono i segni che, in modo più efficace, rimandano a Lui; primo tra tutti la vita di coloro che, nella fedeltà e nella letizia, scelgono di vivere nella verginità del cuore e nel celibato per il Regno dei Cieli, testimoniando in tal modo che Dio esiste, è Presente e che per Lui è possibile vivere!

Kath.net: Come si spiega la “crisi delle vocazioni” nelle odierne società occidentali?

Cardinale Piacenza: La cosiddetta crisi vocazionale, dalla quale, in realtà, si sta lentamente uscendo, è legata, fondamentalmente, alla crisi della fede in Occidente. Laddove c’è si deve ammettere che, in realtà, la crisi delle vocazioni è crisi di fede. Dio continua a chiamare ma per rispondere occorre sentire e per sentire occorre il clima adatto e non il baccano assoluto. Negli stessi ambienti è in crisi la santificazione della festa, è in crisi la confessione, è in crisi il matrimonio etc… La secolarizzazione e la conseguente perdita del senso del sacro, della fede e della sua pratica, hanno determinato e determinano un’importante diminuzione del numero dei candidati al Sacerdozio. A queste ragioni squisitamente teologiche ed ecclesiali, se ne aggiungono alcune di carattere sociologico: prima fra tutte, il decremento, unico al mondo, della natalità, con la conseguente diminuzione del numero dei giovani e, quindi, anche delle giovani Vocazioni.

In questo panorama rappresentano una lodevole eccezione, carica di entusiasmo e di speranza, i Movimenti e le nuove Comunità, nei quali la fede è vissuta in maniera schietta ed immediata, e tradotta in vita concreta e ciò apre il cuore dei giovani alla possibilità di donarsi completamente a Dio nel Sacerdozio ministeriale. Una tale vitalità nella differenza di espressione e di metodi, deve essere di tutta la Chiesa, di ogni parrocchia e di ogni Diocesi, perché solo una fede autentica, significativa per la vita, è l’ambiente nel quale possono essere ascoltate le tante chiamate che Dio rivolge, anche oggi, ai giovani. Il primo ed irrinunciabile rimedio al calo delle Vocazioni, lo ha suggerito Gesù stesso: «Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe» (Mt 9,38). Questo è il realismo della pastorale delle vocazioni. La preghiera per le Vocazioni, un’intensa, universale, dilatata rete di preghiera e di Adorazione Eucaristica che avvolga tutto il mondo, è la sola vera risposta possibile alla crisi delle risposte alla Vocazione. Ma ci vuole fede! Laddove un tale atteggiamento orante è stabilmente vissuto, si può affermare che sia in atto una reale ripresa e che, in certo modo, la notte sia passata e già albeggi. Vorrei tanto che ogni Diocesi avesse un centro di adorazione eucaristica, possibilmente perpetua, proprio per queste intenzioni: santificazione del Clero e vocazioni. Questo è il più efficace e realistico piano pastorale che ci possa essere! Di lì in poi si sprigionerà anche una mirabile forza di carità in tutti gli ambiti. Provare per credere!


Kath.net: Dal 2003 sino alla Sua nomina a segretario della Congregazione per il Clero da parte di Papa Benedetto XVI nel 2007 Lei è stato presidente della Pontifica Commissione per i Beni Culturali della Chiesa; dal 2004 anche presidente della Pontificia Commissione per l’Archeologia Sacra.
Come giudica lo stato attuale della “ars sacra” che spesso viene confusa con l’ “ars religiosa”?

Cardinale Piacenza: L’argomento è vastissimo e meriterebbe di essere affrontato con la giusta ampiezza, poiché ogni realizzazione artistica parla dell’idea di uomo e di Dio che abbiamo, come pure ogni “edificio chiesa” che si costruisce parla sia dell’idea di Chiesa che abbiamo, sia, soprattutto, dell’esperienza di Chiesa che viviamo. La Chiesa non è una realtà sociologica umana, non è una riunione di persone che credono nella stessa cosa! Essa è il Corpo di Cristo, nuovo Popolo sacerdotale, Presenza divina nel mondo.
Ogni autentica espressione di arte sacra ed ogni nuova chiesa dovrebbe essere innanzitutto riconoscibile come tale. Ogni uomo, ogni passante, dal bambino all’anziano, dal colto all’analfabeta, dal credente all’ateo, dovrebbero poter immediatamente dire: “Quella è un’opera d’arte!... Quella è una chiesa!”. Quest’ultima, inoltre, deve essere monumentale, deve cioè parlarci della grandezza di Dio e deve, dunque, essere differente, anche per proporzioni, da ogni altro edificio. Una chiesa, e l’arte sacra tutta, per essere tale, non deve obbedire tanto alla soggettiva originalità del singolo architetto o artista, quanto alla fede schietta e sincera del popolo, che in essa e attraverso di essa pregherà. Non sono “monumenti” alla genialità del singolo, ma luoghi e strumenti di Culto, dedicati a Dio, nei quali e attraverso i quali incontrare Dio e radunarsi come Suo Popolo.

Kath.net: Secondo Lei, quanto è importante la celebrazione della liturgia per l’essenza della vita della comunità nonché per la missione di una nuova evangelizzazione dei paesi di antica cristianizzazione?
Cardinale Piacenza: Più volte il Santo Padre ha ricordato che, con la Liturgia, vive o muore la fede della Chiesa. Essa è, nel contempo, specchio, nel quale si riflette la fede, ed alimento, che costantemente la nutre, la purifica e la sostiene. L’antico adagio “lex orandi, lex credendi” mantiene ovviamente ancora oggi tutta la propria validità ed efficacia.
In non pochi casi, il menzionato tentativo di demitizzazione, ha travolto anche la Liturgia, producendo, come unico, devastante effetto, quello di ridurla nuovamente e paradossalmente a “riti pre-cristiani”, simbolicamente interpretabili e quindi esposti ad ogni possibile deriva soggettivistica e relativistica. La Liturgia non è principalmente un agire umano, nel quale i singoli possano liberamente esprimere la propria soggettiva emozionalità, o per partecipare al quale sarebbe necessario fare o dire qualche cosa; essa è principalmente azione di Cristo, il Quale, Vivo e Presente nella Sua Chiesa, rende culto al Padre, attirando, in tale azione divino-umana, noi uomini.
È Cristo Risorto il vero protagonista della storia e della Liturgia, ed ogni azione umana, che voglia essere realmente liturgica, deve obbedire a questo imprescindibile criterio e deve mirare ad orientare il cuore dei fedeli al riconoscimento del primato assoluto di Dio.
Aver ridotto o banalizzato la Liturgia è una gravissima responsabilità, non indipendente da quella perdita del senso del sacro, di cui l’Occidente è vittima, e che è, ancora una volta, derivante dalla demitizzazione radicale di cui certa teologia si è fatta promotrice, credendo di essere “scientifica”.
La risposta a tutto ciò è rintracciabile, tuttavia, nel cuore dell’uomo, il quale, nonostante tutto, è fatto per Dio ed è costitutivamente religioso, dunque aperto al trascendente ed al senso del sacro. Una Liturgia cristocentrica, correttamente celebrata, ecclesialmente significativa e che sia la realizzazione del «Egli [Cristo] deve crescere e io invece diminuire» (cfr. Gv 3,30) di giovannea memoria, contribuisce certamente alla nuova Evangelizzazione dell’Europa ed al recupero di quel senso del sacro, senza il quale anche il doveroso dialogo con le altre culture e tradizioni religiose sarebbe impossibile.

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