lunedì 17 gennaio 2011

Perché non educhiamo celebrando?

di don Peppino Cito e don Gaetano Luca

Interrogativo di rammarico; come dire: “peccato che non approfittiamo abbastanza del tempo celebrativo per fare educazione del popolo di Dio!”.
Ma, detto così, rischia di suonare come giudizio tutto negativo sull’impegno profuso dai pastori nell’accogliere e curare tanti fedeli praticanti che continuano ad affollare in mille circostanze diverse le loro chiese: quasi che non stessero già educando, e da sempre!
Il rammarico, in verità, ci sembra giustificato almeno da una elementare lettura “incrociata” dei fatti: quanta gente frequenta ancora i nostri appuntamenti celebrativi e quanta ignoranza religiosa alberga ancora fra gli adulti e i giovani delle nostre popolazioni tanto da legittimare, anche in campo religioso, l’espressione “analfabetismo di ritorno”. Come dire che “più li teniamo in chiesa e meno escono formati!”.
Ma… perché non educhiamo celebrando?
Interrogativo di provocazione, come dire: proviamo ad abilitarci come “educatori” nei luoghi in cui i fedeli, invece di disertare, e senza essere invitati, tanto meno costretti, ma in ragione di una educazione religiosa pregressa, continuano ad affollare le nostre chiese per ragioni in parte misteriose, in parte comprensibilissime specialmente ai teologi appassionati alla Religiosità Popolare! Perché, dunque, non proviamo a sfruttare “pedagogicamente” i tantissimi appuntamenti liturgici ancora tanto accorsati? Dalle messe festive a quelle feriali, dalle novene ai tridui, dai funerali ai trigesimi e anniversari, dai matrimoni alle nozze d’oro e d’argento, dalle prime comunioni alle cresime, in ogni parrocchia passano ogni mese (anche più volte al mese) migliaia di fedeli per almeno 45 minuti! Non è neppure una grande trovata!
Già negli orientamenti dei primi anni del millennio i vescovi italiani affermavano: « La celebrazione eucaristica risulterà luogo veramente significativo nell’educazione missionaria della comunità cristiana… Di qui l’urgenza di esplicitare la rilevanza della liturgia quale luogo educativo e rivelativo » (CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 49).
E i nuovi orientamenti così ribadiscono: « La liturgia è scuola permanente di formazione attorno al Signore risorto, “luogo educativo e rivelativo” in cui la fede prende forma e viene trasmessa… Tra le numerose azioni svolte dalla parrocchia, “nessuna è tanto vitale e formativa della comunità quanto la celebrazione domenicale del giorno del Signore e della sua Eucaristia” » (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, 39).
E Benedetto XVI, proprio nel capitolo della Sacramentum Caritatis dedicato all’arte del celebrare precisa acutamente e “pedagogicamente”: «… l’esito maturo della mistagogia è la consapevolezza che la propria esistenza viene progressivamente trasformata dai santi Misteri celebrati. Scopo di tutta l’educazione cristiana, del resto, è di formare il fedele, come “uomo nuovo”, ad una fede adulta, che lo renda capace di testimoniare nel proprio ambiente la speranza cristiana da cui è animato » (Sacramentum Caritatis, 64).
Allora, sarebbe poi così strano che, proprio nel decennio dedicato all’educare, pensiamo ad abilitarci, preti e fedeli laici, nell’arte del celebrare? È proprio strano che questo editoriale sull’“educare celebrando” sia firmato da due direttori, quello dell’Ufficio Catechistico e quello dell’Ufficio Liturgico?
A voi lettori la risposta.

(tratto da Impegno, periodico d’informazione della diocesi Conversano-Monopoli, anno 15, n. 10, dicembre 2010, p. 1)

2 commenti:

  1. “Peccato che non approfittiamo abbastanza del tempo celebrativo per fare educazione del popolo di Dio!”: in che senso?
    A me sembra, invece, che ci se ne approffitti sin troppo!
    I due "orientamenti pastorali" CEI (quello del 2000 e quello del 2010), citati nell'articolo, pongono l'accento anche sulla Liturgia quale "luogo rivelativo": aspetto per nulla toccato dai due articolisti.
    E, allora, ecco alcuni quesiti che per me rappresentano davvero un "interrogativo di provocazione":
    Non è forse giunto il tempo che finalmente si cominci a parlare di Mistero da "adorare" e non da strapazzare a nostro uso e consumo, approfittando "abbastanza del tempo celebrativo?
    Perché non si torna a dare alla Liturgia il carattere di sacralità? Un tempo si parlava di "Sacra Liturgia"; adesso leggiamo nei vari documenti "Liturgia" senza l'aggettivo "Sacra" e, quel che è peggio, "liturgia" scritta coll'iniziale minuscola: ma chi stiamo celebrando Dio o noi stessi?
    Se la Liturgia è Sacra, perché giocare al risparmio con Dio, eliminando arbitrariamente genuflessioni, parti della Messa e dei riti in generale (ma non l'omelia che, ahimè!, resta la "predica" di sempre), compresi le vesti e le suppellettili sacre?
    C'è da meditare.
    A voi, lettori, la risposta!

    Angelo Parresio

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  2. “Peccato che non approfittiamo abbastanza del tempo celebrativo per fare educazione del popolo di Dio!”: in che senso?
    A me sembra, invece, che ci se ne approfitti sin troppo!
    I due "orientamenti pastorali" CEI (quello del 2000 e quello del 2010), citati nell'articolo, pongono l'accento anche sulla Liturgia quale "luogo rivelativo": aspetto per nulla toccato dai due articolisti.
    E, allora, ecco alcuni quesiti che per me rappresentano davvero un "interrogativo di provocazione":
    Non è forse giunto il tempo che finalmente si cominci a parlare di Mistero da "adorare" e non da strapazzare a nostro uso e consumo, approfittando “abbastanza” del tempo celebrativo?
    Perché non si torna a dare alla Liturgia il carattere di sacralità? Un tempo si parlava di "Sacra Liturgia"; adesso leggiamo nei vari documenti "Liturgia" senza l'aggettivo "Sacra" e, quel che è peggio, "liturgia" scritta coll'iniziale minuscola: ma chi stiamo celebrando Dio o noi stessi?
    Se la Liturgia è Sacra, perché giocare al risparmio con Dio, eliminando arbitrariamente genuflessioni, parti della Messa e dei riti in generale (ma non l'omelia che, ahimè!, resta la "predica" di sempre), comprese le vesti e le suppellettili sacre?
    C'è da meditare.
    A voi, lettori, la risposta!

    Angelo Parresio

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