sabato 24 giugno 2017

Siamo in piena crisi di fede: intervista a don Nicola Bux

Nella festa della Natività del Precursore S. Giovanni Battista, rilanciamo volentieri la traduzione italiana della recente intervista di don Nicola Bux rilasciata al vaticanista Edward Pentin e pubblicata in inglese il 21 giugno scorso.


Bottega italiana, Natività del Battista, XVII sec., Viterbo

Bottega italiana, Natività del Battista, XVIII sec., Viterbo

Giuseppe Tori, Natività del Battista, XVIII sec., La Spezia

Giuseppe Varotti, Natività del Battista, 1760 circa, Bologna

Luigi Molineris, Natività del Battista, 1866, Saluzzo

Luigi Fontana, Natività del Battista, 1886-88, Basilica Santuario Maria SS. del Suffragio, Grotte di Castro


Siamo in piena crisi di fede: intervista a don Nicola Bux


Pubblichiamo l’intervista di Edward Pentin a don Nicola Bux apparsa ieri, 21 giugno, sul National Catholic Register (qui l’originale in lingua inglese).

(Edward Pentin) Quali implicazioni ha l’”anarchia dottrinale” sulla Chiesa e, ancora di più, sulle anime dei fedeli e dei sacerdoti? 
La prima implicazione dell’anarchia dottrinale sulla Chiesa, è la divisione, a causa dall’apostasia, che è l’abbandono del pensiero cattolico, così definito da san Vincenzo di Lerins: quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditur (il credo professato sempre, dovunque e da tutti). Sant’Ireneo di Lione, che definisce Gesù Cristo ‘maestro dell’unità’, aveva fatto notare agli eretici, che tutti professano le stesse cose, ma non tutti le intendono alla stessa maniera. Ecco la funzione del Magistero, fondato sulla verità di Cristo: ricondurre tutti all’unità cattolica. San Paolo esortava i cristiani a essere concordi e unanimi nel parlare: che direbbe oggi? 
Quando i Cardinali tacciono o accusano i confratelli; quando i Vescovi che avevano pensato, parlato e scritto – scripta manent! – in modo cattolico, per qualsiasi motivo, dicono il contrario; quando i sacerdoti contestano la tradizione liturgica della Chiesa, si configura l’apostasia, il distacco dal pensiero cattolico. Paolo VI aveva previsto che «questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia» (Conversazione con J. Guitton, 9.IX.1977). 
Quale implicazione, poi, ha l’“anarchia dottrinale” sulle anime dei fedeli e degli ecclesiastici?
L’Apostolo esorta a essere fedeli alla dottrina sicura, sana e pura: quella fondata su Gesù Cristo e non sulle opinioni mondane (cfr Tito 1,7-11; 2,1- 8). La perseveranza nell’insegnare e nell’obbedire alla dottrina, guida le anime alla salvezza eterna. La Chiesa non può cambiare la fede e ad un tempo chiedere ai credenti di rimanere fedeli ad essa. Essa è invece intimamente obbligata verso la parola di Dio e verso la Tradizione.
Dunque, la Chiesa ricordi la sentenza del Signore: «E’ per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi» (Gv 9,40). Non dimentichi che, quando è applaudita dal mondo, vuol dire che gli appartiene. Infatti, il mondo ama ciò che è suo e odia ciò che non gli appartiene (cfr Gv 15,18). La Chiesa cattolica ricordi sempre di essere formata soltanto da quanti si sono convertiti a Cristo, sotto la guida dello Spirito Santo; tutti gli esseri umani le sono ordinati (cfr Lg 13), ma non ne fanno parte finché non si convertono.
Come si può risolvere al meglio il problema?
Il punto è: che idea ha il Papa del ministero petrino, come descritto in Lumen gentium 18 e codificato nel diritto canonico? Di fronte alla confusione e all’apostasia, il Papa dovrebbe operare la distinzione – come fece Benedetto XVI – tra quello che pensa e ha detto come dottore privato, e quello che deve dire come Papa della Chiesa cattolica.
Sia chiaro: il Papa può esprimere sue idee, come dottore privato, sulle materie opinabili e che non sono definite dalla Chiesa, ma, nemmeno come dottore privato, può fare affermazioni eretiche. Altrimenti sarebbe egualmente eretico. Ritengo che il Papa sappia, che ogni fedele – il quale conosca la regula fidei o dogma, che fornisce a ciascuno il criterio per sapere qual è la fede della Chiesa, che cosa ognuno deve credere e a chi deve dare ascolto – può accorgersi se lui parla e opera in modo cattolico, oppure sia andato contro il sensus fidei della Chiesa. Anche un solo fedele potrebbe chiedergliene conto.
Quindi, chi ritiene, che esporre dubbi al Papa non sia segno di obbedienza, non ha compreso, dopo 50 anni dal Vaticano II, il rapporto che intercorre tra lui e tutta la Chiesa. L’obbedienza al Papa, dipende unicamente dal fatto che questi è vincolato alla dottrina cattolica, alla fede che egli continuamente deve professare davanti alla Chiesa. 
Siamo in piena crisi di fede! Pertanto, per fermare la divisione in atto, il Papa – come Paolo VI nel 1967, dinanzi alle teorie erronee che circolavano subito dopo la conclusione del concilio – dovrebbe fare una Dichiarazione o Professione di fede, con la quale affermi ciò che è cattolico e corregga quelle parole e quegli atti, suoi e dei vescovi, ambigui o erronei, che sono interpretati in senso non cattolico.
Sarebbe altrimenti grottesco che, mentre si cerca l’unità con i cristiani non cattolici o addirittura l’intesa con i non cristiani, si favorisse l’apostasia e la divisione all’interno della Chiesa cattolica. Per molti cattolici, è incredibile che il Papa chieda ai vescovi di dialogare con quanti la pensano diversamente, ma non voglia confrontarsi innanzitutto con i Cardinali che sono i suoi primi consiglieri.
Se il Papa non custodisce la dottrina, non può imporre la disciplina. Come ricordava Giovanni Paolo II, il Papa deve sempre convertirsi, per poter confermare i suoi fratelli, secondo le parole di Cristo a Pietro: Et tu autem conversus, confirma fratres tuos.

venerdì 23 giugno 2017

Il Sacro Cuore di Gesù pulsa per la nostra salvezza

Nella festa del Sacro Cuore, rilanciamo quest’articolo di Cristina Siccardi.







Miguel Cabrera, Il Miracolo di S. Luigi Gonzaga al novizio Nicola Celestini, XVIII sec.

Felice Boscarato, Sacro Cuore con i SS. Francesco di Sales, Margherita M. Alacoque e Giovanna de Chantal, 1790-1810, Venezia

Ambito veneto, Apparizione del sacro Cuore a S. Margherita M. Alacoque, 1840 circa, Verona

Antonio Allevi, Sacro Cuore, XIX sec., Macerata

Luigi Galizzi, Sacro Cuore, 1873-75, Bergamo

Antonio Guadagnini, Sacro Cuore, XIX sec., Bergamo

Antonio Guadagnini, Sacro Cuore, 1887, Bergamo

Ambito lombardo, Apparizione del Sacro Cuore a S. Margherita M. Alacoque, 1890-1910, Bergamo

Raffaele Gagliardi, Sacro Cuore e S. Margherita M. Alacoque, 1920, Chieti

Giuseppe Cassioli, Sacro Cuore in trono tra le SS. Margherita M. Alacoque e Gertrude, 1925, Bologna

Il Sacro Cuore di Gesù pulsa per la nostra salvezza

di Cristina Siccardi


Che cos’è il tempo per Dio e per la Sua Chiesa? Un mezzo. E come tale deve essere considerato anche dai credenti in Cristo. Non sappiamo per quanto tempo permarranno gli scandali dottrinali e morali in cui si trova la Chiesa contemporanea, la certezza sta nel sapere che la Sposa di Cristo tornerà un giorno a risplendere di fronte a tutti e i Sacri Cuori di Gesù e di Maria trionferanno all’unisono. Il tempo è un mezzo al servizio della Verità e un mezzo di prova per chi professa la Fede. Per esempio sono passati ben duecento anni prima di giungere alla piena devozione del Sacro Cuore di Gesù, che si festeggerà il 23 di questo mese.
La pubblicazione della Vie abrégée (Vita breve) di santa Margherita-Maria Alacoque (1647-1690) di Padre Croiset fu messa all’Indice e quella di Monsignor Languet nel 1729 suscitò reazioni sarcastiche. Disprezzo e scherni colpirono i centri di devozione dove i seguaci della santa di Paray-le-Monial resistettero: gli eretici giansenisti, gli ingegni eletti e perfino i vescovi si opposero con sdegno ai sostenitori di quella che essi chiamavano beffardamente «teologia muscolare».
Critiche più moderate emersero nello stesso Ordine della Visitazione a cui apparteneva la mistica nata a Verosvres (Charolais), in quanto diffidente nei confronti di un culto nuovo e non istituito dai fondatori, i santi Francesco di Sales e Giovanna Francesca Frémiot de Chantal. Alcuni erano poi compiaciuti nel poter suggerire che dietro un tale culto si nascondessero i Gesuiti.
Nonostante tutto ciò la devozione proseguì il suo lento corso, sviluppandosi in modo graduale attraverso le immagini, i libri, le prediche, gli altari consacrati, i santuari, le confraternite. Dieci anni dopo la morte di santa Margherita-Maria Alacoque, tutti i conventi della Visitazione in Francia, a Friburgo, a Napoli, a Vienna e in Polonia, avevano introdotto la devozione al Sacro Cuore di Gesù e la confraternita di Digione contava 13.000 membri in tutta Europa. Nel 1697 la Sacra Congregazione dei Riti di Roma dovette emettere un decreto con il quale si accordava «ai monasteri della Visitazione la messa delle cinque piaghe per la festa del Sacro Cuore».
Fu un evento tragico ad accelerare la diffusione popolare del culto. Nel 1720 un’epidemia di peste colpì Marsiglia. Il Vescovo del luogo, Monsignor de Belsunce, spinto dalla visitandina Anne-Madeleine de Rémusat, decise di organizzare una solenne processione per la riparazione dei peccati nelle strade della città e di dedicare l’intera diocesi al Sacro Cuore di Gesù. Anche l’anno dopo venne celebrata questa festa a cui il popolo assistette in lacrime… e il flagello ebbe termine.
Ma la peste ricomparve nel 1722. Questa volta le stesse autorità cittadine fecero un voto solenne per celebrare il Sacro Cuore e di nuovo l’epidemia cessò, fu così che la devozione si propagò per tutto il Sud della Francia.Verso la metà del XVIII secolo si contavano più di mille congregazioni dedicate al Sacro Cuore di Gesù, mentre crescevano di anno in anno i pellegrini nel convento visitandino dove la mistica Alacoque aveva avuto le apparizioni di Cristo e del Suo Cuore.
Tuttavia Roma continuava a conservare dubbi, nonostante le suppliche provenienti dal Re della Polonia e dal Re di Spagna. Da che cosa era dettata la reticenza delle alte gerarchie della Chiesa?Dal rispetto umano, lo stesso che ai nostri giorni continua a far dimenticare il rispetto per Dio, infatti la parola «cuore» creava timori e perplessità per il rischio di scontentare i filosofi del tempo. Gli schernitori dei sentimenti di Cristo nei confronti dei figli di Dio mettevano in soggezione molti alti prelati, così come accade ora, e ora come allora oltre ai filosofi pure i preti si fanno beffe della devozione all’ardente Cuore di Cristo, ma «paziente e misericordioso è il Signore, / lento all’ira e ricco di grazia […] Il Signore è vicino a quanti lo invocano,/ a quanti lo cercano con cuore sincero./ Appaga il desiderio di quelli che lo temono, / ascolta il loro grido e li salva. / Il Signore protegge quanti lo amano, / ma disperde tutti gli empi» (Salmo 144).
Amare con tutto il cuore il Cuore incarnato del Figlio di Dio significa vivere autenticamente la Fede e non solo assaporarla con l’intelletto, così come fece un’altra visitandina, Madre Luisa Margherita Claret de la Touche (1868-1915), che lascia testimonianza sublime del suo amore per il Sacro Cuore nel dipinto custodito nella chiesa di Betania del Sacro Cuore a Vische Canavese (TO).
Nel 1902, in una interiore ispirazione, la monaca avvertì la presenza di Gesù che le impresse nell’anima lo splendore del suo volto, nonché l’abbozzo di quelle riflessioni che divennero una vera e propria dottrina sistematica nel suo libro Il Sacro Cuore e il Sacerdozio.
Nel mese di novembre sua mamma andò a trovarla perché preoccupata degli accadimenti legislativi della Francia liberale ai danni della Chiesa e chiese alla figlia, dal talento artistico, un quadro del Sacro Cuore di Gesù. Ottenuto il permesso dalla Superiora, suor Luisa Margherita si mise all’opera, traducendo iconograficamente (nella foto qui sopra) ciò che lei aveva misticamente visto alcuni mesi prima.
Dopo l’emigrazione della Visitazione di Romans, dove il suo Ordine era perseguitato dalle autorità francesi, Madre Luisa Margherita con la postulante Margherita Reynaud si stabilì a Vische per dare inizio a una nuova fondazione (19 marzo 1914). Al fine di adornare la povera cappella, occorreva un quadro del Sacro Cuore. Fu così che il dipinto donato anni prima giunse a Vische, dove si trova tuttora.
L’opera riconduce alla genuina Arte sacra cattolica, sia nei suoi connotati pittorici, che dottrinali. Il volto di Cristo richiama quello sindonico. Gli occhi paiono scrutare in profondità chi lo guarda. Attorno al sacro capo c’è una duplice aureola: una formata da una corona di spine, l’altra ornata da tre gigli con la scritta Misericordiam volo. Cristo è dolce e maestoso allo stesso tempo. Egli appoggia la mano sinistra sul torace: il pollice sul Cuore, mentre l’indice sfiora il lembo della tunica aperta (a forma di cuore) sulla piaga del costato. Gesù si manifesta quindi come il compimento della profezia di Zaccaria: «Guarderanno a colui che hanno trafitto» (Gv 19, 37). È la ferita del costato che qui rivela l’Amore infinito del Cuore di Cristo, diventando sorgente di Misericordia.
La raffigurazione richiama la maestà del Sommo Sacerdote, del Pontefice eterno, del Tempio vivente, del divino sacrificatore di se stesso: dal suo costato continua a stillare sangue – così come dalla piaga della mano – sull’umanità e in particolare sui sacerdoti, «le onde vivificanti dell’Amore Infinito» per usare una definizione della pittrice consacrata e autrice di mirabili pagine a difesa della santa identità sacerdotale, scritti più attuali che mai.
Nel 1765 la Santa Sede permise ad alcune diocesi in Polonia e in Spagna la celebrazione della festa del Sacro Cuore. Dovettero però trascorrere cento anni ancora prima che il culto assumesse una dimensione nazionale in Francia e quindi internazionale, simboleggiato dalla costruzione della Basilica di Montmartre a Parigi. Le cerimonie che qui si svolgevano rendono bene lo spirito che ispira realmente questa devozione: una lunghissima processione illuminata da fiaccole e da inni sacri terminava ai piedi dell’altare della Basilica, dove erano deposti pentimento e riparazione per i peccati.
Atteggiamenti di pietà che, a fronte di un’apostasia di impressionanti dimensioni, tornano oggi, sia pubblicamente che nel nascondimento, ad essere praticati a consolazione del Sacro Cuore di Gesù, che continua a pulsare ardentemente per noi e per la nostra salvezza. Nonché per la riaffermazione della Verità in seno alla Chiesa. Quando avverrà?… È solo questione di tempo. 

giovedì 22 giugno 2017

Il significato profondo della festa del Corpus Domini

Nell’Ottava della festa del Corpus Domini e nella memoria di S. Paolino da Nola, rilanciamo questo contributo di Corrispondenza romana.

Jan van Kessel, Il secondo sacramento, XVII sec.

Jan van Kessel, Eucaristia in ghirlanda di fiori, XVII sec.

Alexander Coosemans, Allegoria dell'Eucaristia, 1641






Abraham Bloemaert, I quattro Padri della Chiesa latina ed il SS. Sacramento, 1632, Museum Catharijneconvent, Utrecht

Ambito piemontese, Madonna con Bambino con S. Paolino di Nola, XVIII sec., Alba

Ambito italiano, S. Paolino di Nola, protettore di Senigallia, 1740-60, Senigallia

Il significato profondo della festa del Corpus Domini

di Cristina Siccardi


La festa del Corpus Domini è alle porte, ma quanti ancora comprendono in profondità questo sublime miracolo d’amore?
Ogni vita sulla terra, per continuare ad esistere, ha necessità di essere alimentata, altrimenti perisce. L’uomo, essendo creatura con un anima razionale, ha pure bisogno di nutrimento sia intellettivo, che spirituale; ha bisogno dell’alimentazione della fede, della speranza, della carità (amore); ma il Salvatore gli ha anche offerto un cibo ancora più divino: se stesso in forma eucaristica. San Tommaso d’Aquino spiega in questi termini il Mistero eucaristico: «Leffetto che produsse nel mondo la passione di Cristo, questo Sacramento lo produce in ciascuno di noi. Come il cibo materiale sostiene la vita corporea, laccresce, la ristora, ed è gradevole al gusto, lEucaristia produce nellanima simili effetti» (IIIª, 9, 79, a. 1).
«Caro mea vere est cibus, et sánguis meus vere est potus: qui mandúcat meam carnem, et bibi tmeum sánguinem, in me manet, et ego in eo» (Gv 6, 56-57), ovvero «La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui». Più chiaro di così se non ci si nutre della Santa Ostia non può avvenire l’inabitazione reciproca.
La storia della Chiesa è una continua lotta fra errori e verità, fra sacrilegi e trionfo del divino. Durante il periodo delle guerre di religione in Francia e anche oltre (1540-1600), la processione del Corpus Domini fu oggetto di feroce ostilità da parte degli ugonotti (i calvinisti francesi). Essi, come d’altra parte i luterani, negano la transustanziazione. Ecco che le processioni del Corpus Domini diventavano pretesti di pesanti provocazioni, profanazioni, blasfemie.
La festa liturgica affonda le sue radici nella Gallia belgica, che san Francesco definiva «amica Corporis Domini», grazie alle rivelazioni dell’agostiniana e mistica Beata Giuliana di Retìne, che nel 1208 ebbe un’estasi: vide il disco lunare risplendente di candida luce, deformato però da una linea in ombra. Si trattava della rappresentazione simbolica della Chiesa, alla quale mancava una solennità in onore della Santa Ostia. Alla monaca, nello stesso anno, apparve Cristo, che le chiese di impegnarsi affinché venisse istituita la festa del Santissimo Sacramento al fine di ravvivare la fede dei fedeli e di espiare i peccati commessi contro l’Eucaristia.
Nominata priora del convento di Mont Cornillon di Liegi, chiese consiglio ai maggiori teologi ed ecclesiastici del tempo, interpellando anche l’arcidiacono di Liegi, Jacques Pantaléon, futuro papa Urbano IV, e il Vescovo di Liegi, Roberto de Thourotte. Fu così che nel 1246 quest’ultimo convocò un concilio, ordinando, a partire dall’anno successivo, la celebrazione della festa del Corpus Domini. Con la bolla Transiturus dell’11 agosto 1264, da Orvieto, dove aveva stabilito la residenza della corte pontificia, Urbano IV estese la solennità a tutta la Chiesa.
A convincere il Pontefice nello scrivere la bolla fu il celebre Miracolo eucaristico di Bolsena, che si verificò un anno prima, quando un sacerdote boemo, in pellegrinaggio verso Roma, si fermò a celebrare la Santa Messa proprio a Bolsena, nel viterbese; nel momento preciso in cui spezzò l’Ostia consacrata, egli fu pervaso dal dubbio che essa contenesse veramente il Corpo di Cristo. Fu allora che dal Sacro Pane uscirono alcune gocce di sangue, le quali macchiarono sia il corporale di lino, attualmente conservato nel Duomo di Orvieto, sia alcune pietre dell’altare, custodite in preziose teche nella Basilica di Santa Cristina.
Da allora si sono verificati moltissimi Miracoli eucaristici riconosciuti dalla Chiesa, che possono essere visionati, uno ad uno, grazie allo straordinario sito http://www.miracolieucaristici.org/. Autore di questo splendido studio storiografico ed iconografico è il Servo di Dio Carlo Acutis, nato a Londra il 3 maggio 1991 e morto a 15 anni, il 12 ottobre 2006, a causa di una leucemia fulminante.
È sepolto nella nuda terra ad Assisi, la città di san Francesco che più di altre ha amato e nella quale tornava periodicamente per ritemprare lo spirito. «Tutti nasciamo come degli originali, ma molti muoiono come fotocopie», ha lasciato scritto fra i suoi appunti. A 12 anni aveva iniziato a comunicarsi quotidianamente e non finiva il suo giorno senza la recita del Santo Rosario e l’adorazione eucaristica, convinto com’era che quando «ci si mette di fronte al sole ci si abbronza… ma quando ci si mette dinnanzi a Gesù Eucaristia si diventa santi».
Di brillante intelligenza e di profonda fede, egli offrì le sue sofferenze e la sua vita per il Papa e per la Chiesa. I suoi sacrifici, uniti a quelli di altre nascoste anime oblative, e le preghiere intercessorie rivolte ai santi e alla Regina dei santi salveranno, per l’ennesima volta, la Chiesa dai suoi ugonotti, che oggi profanano il Corpo di Cristo con indegne liturgie e indegni altari.

Nella festa di S. Antonio da Padova

La Chiesa universale e gli Ordini Francescani celebrano la festa liturgica di s. Antonio di Padova.
Ecco l'elogio solenne contenuto nel Martyrologium Franciscanum, ediz. 1946: 

In Padova, s. Antonio di Lisbona, detto comunemente di Padova, sacerdote e confessore, celeberrimo per la santità della vita e per la predicazione, che dal Sommo Pontefice Gregorio IX per la moltitudine dei miracoli neppure un anno dopo la sua morte fu annoverato tra i santi. Il Sommo Pontefice Pio XII lo dichiarò Dottore della Chiesa Universale.

Pietro Avogadro, con aggiunte di Francesco Savanni, Madonna col Bambino tra i SS. Francesco e Antonio da Padova, XVIII sec., Chiesa di S. Carlo, Brescia




Giuseppe Manzo, S. Antonio elemosinante, 1890, collezione privata

Teofilo Patini, S. Antonio incoronato da Gesù Bambino, 1898, Parrocchia - Santuario Maria SS. della Libera, Pratola Peligna (L'Aquila)