sabato 30 aprile 2016

Immagini per meditare: scene della vita di S. Caterina da Siena negli affreschi di Alessandro Franchi e Gaetano Marinelli nell'Oratorio della Camera della Santa del Santuario della Casa di Santa Caterina, in Siena, dipinti nel 1896

La madre di S. Caterina, Monna Lapa Piacenti, vede la figlia salire le scale sospesa in aria

S. Caterina si taglia i capelli per offrirsi a Dio

ll padre, Jacopo Benincasa, sorprende S. Caterina a pregare con la colomba dello Spirito Santo sulla testa

S. Caterina dona il mantello a Gesù sotto le sembianze di un povero pellegrino

Gesù offre a S. Caterina una corona d’oro e una di spine


Nozze mistiche di S. Caterina

Maternità mistica di S. Caterina durante una notte di Natale

Fonte: Viae Siena

Problemi morali posti dall’Amoris Laetitia

Continuano le analisi e riflessioni sull’esortazione Amoris laetitiaun documento, problematico sotto diversi profili, di cui alcuni cattolici, sia pur in buona fede, attendono la definitiva interpretazione da parte del Vescovo di Roma, sebbene l’esortazione avrebbe dovuto illuminare sugli esiti dei due Sinodi, svolti nel 2014 e nel 2015, i quali, a loro volta, avrebbero dovuto chiarire le posizioni della Chiesa su un problema teologico-morale inesistente, essendo chiaramente affrontato e risolto nella Divina Rivelazione! Un documento che, come afferma il filosofo cattolico Robert Spaemann, «è il caos eretto a principio con un tratto di penna» (cfr. Spaemann: “È il caos eretto a principio con un tratto di penna”, in Chiesa e postconcilio, 29.4.2016; in Il Timone, 29.4.2016Spaemann: Amoris laetitia è in rottura con il Magistero precedente, in sinodo2015, 28.4.2016. Cfr. Claire ChretienPope’s exhortation is a ‘breach’ with Catholic Tradition: leading German philosopher, in Lifesitenews, 28.4.2016Matteo Matzuzzi, Spaemann ad alzo zero contro il Papa: “Porta la chiesa allo scisma”, in Il Foglio, 30.4.2016Antonio SocciIl filosofo amico di Ratzinger ammonisce Bergoglio: vai contro la legge di Dio e rischi di provocare un tragico scisma, in blog Lo straniero, 1.5.2016. Per uno sguardo sulle voci critiche nei confronti dell’esortazione, cfr. In rapido aumento il numero degli scrittori cattolici che criticano l’Esortazione papale, in Chiesa e postconcilio, 15.4.2016I cattolici non possono accettare gli elementi della Esortazione Apostolica che minacciano la fede e la famigliaibidemGiuseppe Fallica: Cosa dobbiamo aspettarci noi cattolici dopo l'Amoris laetitia, in ivi, 17.4.2016Corrado GnerreL’Amoris Laetitia e la dimenticanza della Fede, in Riscossa cristiana, 16.4.2016Matteo di BenedettoHaeresis Laetitiaivi, 19.4.2016don Giorgio GhioEtsi … non dareturivi, 26.4.2016, nonché in Chiesa e postconcilio, 27.4.2016); un documento, frutto di due sinodi, di cui emergono inediti retroscena (vSinodo (e post-Sinodo). C’era (e c’è) un piano per manovrarli....ivi, 28.4.2016) e che presenta evidenti elementi dissonanti con il magistero cattolico (cfr. Intelligenti paucaivi, 16.4.2016, nonché La norma della decisione ultima e personale per un’azione morale va presa dalla parola e dalla volontà di Cristo, in Riscossa cristiana, 24.4.2016. Cfr. anche La pace nella famiglia: poche parole, precise, edificantiivi, 23.4.2016).
Insomma, da quel che emerge è chiaro che si tratta di un documento che fa un uso strumentale dei richiami a S. Tommaso d’Aquino ed al magistero (cfr. Luisella ScrosatiValorizzare l’adulterio citando (male) san Tommaso, in La nuova bussola quotidiana, 11.4.2016, nonché in Chiesa e postconcilio, 16.4.2016), ponendo, in generale, serie questioni di fede (‘Amoris laetitia’ in conflict with the Catholic Faith, in Rorate caeli, 8.4.2016). Un documento grazie al quale i vescovi ed in generale il clero fa a gara per … ammettere alla Santa Comunione coloro che pur sono in stato di peccato abituale (cfr. Riccardo CascioliComunione ai risposati, preti e vescovi fanno a gara, in La nuova bussola quotidiana, 18.4.2016Sandro MagisterComunione ai divorziati risposati. Nelle Filippine e a Bergamo è già cosa fatta, in blog Settimo Cielo, 15.4.2016, nonché in Riscossa cristiana, 16.4.2016).
Nella festa di S. Caterina da Siena, vergine, patrona d’Italia, rilanciamo volentieri quest’ulteriore contributo di approfondimento sull’esortazione post-sinodale.

Crocifisso del XII sec. dal quale S. Caterina ricevette le stigmate il 1° aprile 1375, domenica delle Palme, all'epoca conservato  nella Chiesa di S. Cristiana, Pisa, oggi presso la Chiesa del Crocifisso, Santuario Cateriniano, Siena

Rutilio di Lorenzo Manetti, S. Caterina abbraccia il Crocifisso, 1620 circa


Giovanni Odazzi, S. Caterina riceve la corona di spine dal Cristo scelta dalla santa, XVIII sec., Cappella di S. Caterina, Basilica S. Sabina, Roma


Giovanni Odazzi, Estasi di S. Caterina , XVIII sec., Cappella di S. Caterina, Basilica S. Sabina, Roma

Giovanni Odazzi, S. Caterina è presentata al Cristo dalla Vergine Maria per le nozze mistiche, XVIII sec., Cappella di S. Caterina, Basilica S. Sabina, Roma



Problemi morali posti dall’Amoris Laetitia

di Tommaso Scandroglio

Leggiamo il § 305 dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia: «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa».
A questo punto il documento rinvia alla nota n. 351: «In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore” (Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 44: AAS 105 [2013], 1038)». «Ugualmente segnalo che l’Eucaristia ”non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli” (ibid., 47: 1039)».
Il paragrafo e la nota sono inserite nel capitolo VIII dedicato alle – così definite – «situazioni irregolari», cioè alla convivenze e soprattutto alle nuove unioni civili a seguito di divorzio dove il precedente matrimonio è canonicamente valido. Nel testo quindi da una parte si descrive una situazione oggettivamente disordinata (il divorziato che si è risposato civilmente) ma in cui la responsabilità soggettiva del divorziato risposato è assente oppure non è piena, e dall’altra come strumento pastorale per questa condizione particolare si indica l’accesso ai sacramenti della riconciliazione e dell’Eucarestia.
Il paragrafo 305 sembra alludere a una situazione in cui il divorziato risposato potrebbe vivere in grazia perché privo di responsabilità soggettiva della sua condizione. Potrebbe essere il caso in cui il divorziato risposato è pienamente convinto che vivere un secondo matrimonio è condizione conforme a morale. Mancando la piena avvertenza sulla materia grave, costui non sarebbe in stato di peccato mortale ergo il divorziato risposato potrebbe comunicarsi.
Tale interpretazione potrebbe essere validata dal § 302 dell’Amoris Laetitia: «non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio – 22 novembre 1981, 33: AAS 74 (1982), 121).
Tentiamo di rispondere a questa obiezione. In primis occorrerebbe verificare caso per caso se realmente la persona versa in uno stato di errore in merito alla sua condizione. Il giudizio di liceità espresso dal divorziato risposato in merito al suo stato potrebbe essere apparente.
In secondo luogo l’ignoranza invincibile deve essere sempre provata.
In terzo luogo l’ignoranza invincibile può essere colpevole: la ripetizione di scelte malvagie compiute liberamente (vizio) può condurre la persona in questa condizione di ignoranza invincibile e dunque la buona fede è un effetto negativo degli errori colpevoli compiuti nel passato dalla persona stessa. Quindi la responsabilità sussiste e non si è in grazia di Dio.
In quarto luogo – e veniamo all’aspetto più importante che si svincola dalla casuistica e si incardina su un principio insuperabile – anche ammesso che l’ignoranza invincibile sia incolpevole (tesi più teorica che reale) è la condizione che oggettivamente – al di là dell’imputabilità morale cioè del profilo soggettivo – è inconciliabile con la comunione. Ricevere Cristo esige una condizione della vita della persona che oggettivamente sia conforme alla Santità di Cristo. Sebbene la persona non ne sia cosciente, la condizione di divorziato risposato è materia grave e tale rimane. Ricorriamo ad un esempio: un barista senza sua colpa (stato di ignoranza) dà da bere del veleno ad un avventore. Chi è a conoscenza che in quel bicchiere c’è del veleno deve impedire al barista di dare da bere perché oggettivamente – al di là della consapevolezza del barista – quell’azione è dannosa per i clienti. Deve impedirlo anche se il barista non vuole sentire ragioni ed è convintissimo che ha tutto il diritto di somministrare quel bicchiere d’acqua. E dunque occorre impedire ai conviventi e ai divorziati risposati che non vivono castamente (o che vivono castamente ma che dovrebbero interrompere la loro relazione perché su di loro non gravano particolari obblighi morali) di accostarsi alla comunione perché tali condizioni sono oggettivamente lesive di Dio, della Chiesa e degli stessi divorziati risposati.
C’è un ordo (un orientamento) voluto da Dio (es. i rapporti sessuali sono leciti solo nel rapporto di coniugio) e vi sono atti che oggettivamente – cioè per l’oggetto deliberato e al di là della consapevolezza dell’illiceità professata dall’agente – sono di per sé contrastanti con questo ordo e che pongono la persona in una condizione incompatibile con questo ordo.
Ciò impone al sacerdote non solo di proibire l’accesso all’Eucarestia, ma anche di non assolvere il divorziato risposato che non intendesse cambiare la sua situazione. Per amministrare validamente l’assoluzione mancherebbero infatti due condizioni: il chiaro pentimento e la volontà di emenda. Il primo requisito mancherebbe proprio perché è impossibile pentirsi di una condizione (o di un singolo peccato) che si reputa buona.
Di conseguenza chi non si pente del proprio stato di divorziato risposato non decide nemmeno di troncare il rapporto con la seconda moglie e tentare di tornare con la legittima ed unica moglie. Oltre a questo occorrerebbe che il penitente si proponesse con risolutezza di riparare ai danni commessi al coniuge legittimo, alla eventuale prole, al convivente che ha indotto in peccato e all’intera comunità cristiana a cui ha recato scandalo.
C’è infatti da notare che la gravità della condizione del divorziato risposato non può che ridondare anche nella particolare severità e attenzione richiesta dal confessore. Tale condizione non è semplicemente la sommatoria di più peccati riguardanti il sesto comandamento e non configura solo un vizio, cioè la ripetizione di atti malvagi che vanno a costruire un habitus peccaminoso, ma rappresenta una libera scelta nel tempo di uno status contrario alla volontà divina. È cioè l’elezione ad uno stato di vita strutturalmente e formalmente incompatibile con la vita cristiana che potremmo indicare, seppur l’espressione sia fuori moda ma rimane corretta, con la qualifica di pubblico peccatore. E dunque mancando queste due condizioni – le quali dal punto di vista teologico costituiscono la materia del sacramento della Penitenza – è proibito dare l’assoluzione perché illecita e invalida.
Nel caso in cui il confessore la conferisse ugualmente perché convito della buona fede del penitente che non ha coscienza della gravità della sua condizione, commetterebbe sacrilegio. Il sacerdote invece, nel colloquio durante la confessione, dovrebbe risvegliare i moti della coscienza del penitente, svegliarlo dal suo torpore intellettivo-morale e fargli spalancare gli occhi sulla sua reale condizione spirituale. Al malato grave ignaro della sua malattia dobbiamo dire di curarsi, altrimenti morirà.
In sintesi il divorziato risposato per accedere alla comunione deve manifestare sincero pentimento e proposito fermo di non peccare più, interrompendo quindi subito l’adulterio pubblico instaurato con la seconda moglie (la convivenza è permessa solo se gravano sui conviventi particolari e gravi obblighi morali, quali ad esempio l’educazione dei figli, a patto ovviamente di vivere castamente e di non dare scandalo a terzi). Gesù, rivolgendosi proprio ad una adultera, infatti ordinò: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8, 11).

venerdì 29 aprile 2016

Il santo assassino ovvero la redenzione del beato Carino da Balsamo

Il calendario tradizionale celebra oggi la festa del domenicano ed inquisitore S. Pietro da Verona. Tutti si sarebbero aspettati – avendo un’immagine distorta ed “illuminista” della Chiesa – che il suo uccisore finisse imprigionato, tormentato sotto tortura e magari pure ucciso in modo atroce dai “crudeli” Domenicani dell’Inquisizione e da una Chiesa medievale asseritamente - secondo la volgata comune - oscurantista e perfida. Ed invece no. Al contrario. La storia dell’autore del delitto, tale Carino da Balsamo, in un certo qual modo ricorda la storia di S. Paolo – la cui conversione fu ottenuta dal sangue versato da S. Stefano – o di un Alessandro Serenelli – convertito da S. Maria Goretti.
In effetti, l’uccisore di S. Pietro, convertitosi, vestì egli stesso l’abito di terziario domenicano e morì in concetto di santità nelle Marche, venendo elevato dalla Chiesa alla gloria degli altari e venerato come Beato Carino da Balsamo, la cui festa si celebra il 28 aprile (il giorno prima di quella di S. Pietro martire). Scrive un insigne domenicano, autore di una vita del Santo celebrato oggi, che: «Carino fu perdonato e si pentì del suo tremendo delitto; convertitosi, egli chiese di potersi ricoprire dell’abito che indossava il dolce servo del Signore, e finì fratello laico in un convento domenicano delle Marche dove si dedicò al lavoro e a tale durissima penitenza d’espiazione che il popolo lo venerò dopo la morte come beato» (P. Reginaldo Frascisco O.P., San Pietro martire da Verona, ESD, Bologna, 1996, p. 124).
Per cui, quest’oggi, oltre a S. Pietro martire vogliamo ricordare pure il santo suo assassino, che possiamo ascrivere come uno dei frutti più belli ottenuti dal sangue innocente e fecondo del servo del Signore Pietro da Verona. Per notizie sul beato Carino, rinviamo al recente libretto Marco Bulgarelli, Il santo assassino. Beato Carino da Balsamo, Edizioni san Paolo, Cinisello Balsamo, 2015.

Pedro Berruguete, Orazione di S. Pietro martire, 1493-99, museo del Prado, Madrid

Pedro Berruguete, Martirio di S. Pietro martire, 1493-99, museo del Prado, Madrid

Pedro Berruguete, S. Pietro martire, 1493-99, museo del Prado, Madrid

Pedro Berruguete, Venerazione e pellegrinaggi al sepolcro di S. Pietro martire, 1493-99, museo del Prado, Madrid

Anonimo, Vergine del Rosario tra i SS. Domenico e Pietro martire, XVI sec., museo del Prado, Madrid

Juan de Borgoña, SS. Maria Maddalena, Pietro martire, Caterina da Siena e beata Margherita d'Ungheria, 1515 circa, museo del Prado, Madrid

Jacopo Negretti detto Palma il Vecchio, Martirio di S. Pietro da Verona, 1528, Museo d’Arte Sacra San Martino, Alzano Lombardo

Giovan Battista Moroni, Martirio di san Pietro da Verona, 1555-60, Castello Sforzesco, Milano


Lorenzo Lotto, Ritratto di fra Angelo Ferretti come S. Pietro martire, 1549 circa


Jeremias Mittendorff, Trittico con storie di S. Pietro da Verone: Miracolo della falsa Madonna ovvero S. Pietro rompe il giogo satanico degli eretici; Martirio di S. Pietro da Verona; Miracolo della nube, XVII sec. (1616-29), Palais des Beaux-Arts, Lille





Le reliquie del beato Carino prima di essere traslate, nel 1934, al santuario di S. Martino, Balsamo


Reliquia del beato Carino con il falcastro usato per uccidere S. Pietro, Santuario di S. Pietro da Verona, Seveso. Il falcastro viene esposto nella ricorrenza del Calendimaggio per la festa del Santuario

Il santo assassino

di Oreste Paliotti

La potenza redentrice della misericordia divina si palesa nella figura del beato Carino da Balsamo, le cui spoglie sono venerate a pochi chilometri da quelle dell’ucciso, san Pietro da Verona. Una puntata nell’hinterland milanese, teatro di questa vicenda del XIII secolo

Con i suoi oltre 75 mila abitanti, Cinisello Balsamo è il terzo comune della provincia di Milano dopo il capoluogo e Sesto San Giovanni. Il suo sviluppo, dovuto alla fortissima immigrazione iniziata negli anni '50 per la vicinanza con le grandi industrie milanesi e le fabbriche di Sesto, ha in effetti stravolto l’identità e le caratteristiche fisiche dei due borghi agricoli originari, Cinisello e Balsamo, poi accorpati in un unico comune nel 1928 non senza resistenze degli abitanti soprattutto di Balsamo. Il primo borgo è l’erede della Cinixellum al tempo in cui le legioni romane conquistarono la Gallia Transpadana, mentre il secondo, circa tre miglia più a sud-est, deriverebbe il suo nome Balsemum o Balxanum da un’antica famiglia nobiliare milanese del X secolo. Tra i palazzoni moderni ancora resistono alcune vecchie case a corte, tipiche dei primitivi insediamenti.
Non so quanti dei laboriosi abitanti di questo hinterland milanese sappiano riferire qualcosa delle lotte religiose che nel Duecento misero in subbuglio la Lombardia e la stessa Milano. Mi riferisco all’eresia dei catari (o “uomini puri”), che in alternativa alla Chiesa cattolica di quel tempo, inquinata dal potere e dalle ricchezze, professavano un messaggio di salvezza e liberazione dalla soggezione al male. Per il rigore morale che li contraddistingueva, i catari, che si consideravano la vera Chiesa di Cristo e degli apostoli, esercitavano un grande fascino su quanti erano disgustati dal clero cattolico, spesso mediocre e corrotto. Inoltre essi avevano semplificato la liturgia, ammettendo un solo sacramento: il battesimo che, impartito agli adulti in prossimità della morte, assicurava il perdono dei peccati e la salvezza eterna.
Quando il dilagare dell’eresia e l’emorragia di fedeli furono accompagnate da un fatto di sangue come l’uccisione, nel 1208, del legato pontificio Pietro di Castelnau, papa Innocenzo III reagì col tribunale dell’Inquisizione e promuovendo la crociata che avrebbe segnato l’annientamento del catarismo prima in Lombardia e poi in tutta Europa (anche se non la fine delle eresie, sempre ripullulanti, magari con nomi diversi, a causa della incoerenza evangelica dei cristiani). Grande nemico dei catari fu il podestà di Milano Oldrado da Tresseno, intimo amico dell’inquisitore per la Lombardia Pietro da Verona. Uno dei motivi di rinnovata persecuzione nei riguardi dei catari fu appunto l’uccisione efferata di quest’ultimo, uomo integerrimo stimato da papa Innocenzo IV, nato da famiglia catara ma poi entrato a far parte dell’Ordine dei Frati Predicatori (i domenicani).
A questo punto verrebbe da chiedersi: cosa c’entra Cinisello Balsamo? Centra, perché alcuni potenti partigiani dei catari, che avevano deciso la soppressione dello scomodo frate, avevano assoldato come killer un tal Carino originario proprio di Balsamo. Per Pietro, di ritorno da Como a Milano insieme a un confratello, l’agguato era stato preparato nella foresta di Barlassina. Inizialmente Carino aveva con sé un complice, venuto poi meno al suo compito all’ultimo momento. Fu quindi costretto a consumare da solo il delitto: armato di un falcastro, una specie di lunga roncola da contadino, assalì i due religiosi, colpendo più volte Pietro e ferendo l’altro. La tradizione dice che in punto di morte la sua vittima intinse un dito nel sangue e scrisse per terra: «Credo». Era il sabato in albis del 3 aprile 1252.
Carino non la fece franca: fu raggiunto e imprigionato, ma riuscì ben presto a evadere. In fuga verso il Sud senza amici e denaro, attraversò tutta l’Emilia  Romagna. Ma a Forlì, gravemente ammalato e roso dal rimorso, dovette ricoverarsi nell’ospedale di San Sebastiano, frequentato dai domenicani del vicino convento. Ormai in fin di vita, confessò il suo delitto al priore, che credette al suo pentimento e gli diede piena assoluzione. Non solo: concesse a Carino, dopo una sorprendente guarigione, di essere affiliato al convento in qualità di penitente. Del resto anche altri due famosi catari del tempo, dopo la conversione, avevano vestito l’abito di san Domenico. Nei successivi quarant’anni Carino si prestò ai servizi più umili, non sappiamo se come semplice penitente o reale fratello converso dell’Ordine. Ironia della sorte: nei suoi lavori di giardinaggio adoperava una roncola simile a quella usata per l’omicidio. Si narra che fino all’anno della morte, il 1293, condusse una vita esemplare.
Quando iniziò a prendere piede il suo culto, dalla chiesa del convento le spoglie di lui vennero traslate nel duomo di Forlì. Nell’era moderna furono in parte restituite alla nativa Balsamo, e nel 1964 qui definitivamente riunite nella chiesa parrocchiale di San Martino. A Seveso invece, non lontano da Cinisello Balsamo, sorge il santuario con le venerate reliquie di san Pietro da Verona. In una teca dell’altare si conserva il falcastro utilizzato dal suo uccisore.
La figura del beato Carino da Balsamo ricorda per certi versi quella, secoli dopo, dell’assassino di santa Maria Goretti, Alessandro Serenelli, che in seguito al perdono ricevuto da lei in punto di morte si convertì e, dopo 27 anni di carcere, visse come giardiniere e portinaio in un convento di frati cappuccini delle Marche.
Tutta la vicenda è minutamente ricostruita nel bel libro di Marco Bulgarelli Il santo assassino, edito dalla San Paolo.  Scrive nella prefazione il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano: «Il miracolo della conversione che genera comunione rende possibile che, a pochi chilometri di distanza, oggi siano venerati sia l’ucciso che il suo assassino, diventati “uno” in Colui che è il Volto stesso della misericordia».

mercoledì 27 aprile 2016

“Supérno caritátis igne, quem in Basílica Vaticána e penetrálibus Cordis Jesu olim copiose háuserat, inflammátus, et divínæ glóriæ amplificándæ únice inténtus dici vix potest, quot, per annos ámplius quadragínta, labóres suscéperit, ærumnásque pertúlerit, ut complúres Germániæ civitátes ac províncias vel ab hæréseos contagióne defénderet, vel, hæresi inféctas, cathólicæ Fídei restitúeret. … Quamóbrem, hæreticórum málleus et alter Germániæ apóstolus appellátus, plane dignus hábitus est, qui ad tutándam in Germánia religiónem divínitus eléctus putarétur” (Lect. V – II Noct.) - SANCTI PETRI CANISII CONFESSORIS ET ECCLESIÆ DOCTORIS

La storia di questo glorioso discepolo di sant’Ignazio di Loyola è intimamente legata a quella della controriforma cattolica in Germania di fronte ai novatori protestanti; ciò è così vero che Canisio fu salutato come nuovo apostolo della Germania e martello dell’eresia (e degli eretici), Malleus hæreticorum. Di fatto, incrollabile fu l’energia spiegata dal Santo per la difesa della fede durante i quaranta anni del suo apostolato, dove non risparmiò né lavori né sofferenze per il bene della Chiesa. Due volte prese parte al Concilio di Trento; tenne un numero incredibile di predicazioni e di missioni, non solo davanti ai semplici fedeli ma anche nelle diverse corti principesche; scrisse molti lavori di carattere teologico, polemico e catechetico: ciò gli valse di ricevere da Pio XI il titolo di dottore della Chiesa, che gli fu conferito – ed è in ciò che fu l’oggetto di un privilegio – al momento stesso della sua canonizzazione a San Pietro.
Scrisse, in risposta alle luterane Centurie di Magdeburgo, due eccellenti volumi che, più tardi, grazie all’intervento di san Filippo Neri, furono seguiti da quelli di Baronio sugli Annali Ecclesiastici. Il Catechismo di Canisio, adottato da san Carlo Borromeo per la sua diocesi milanese, rimase per lunghi anni il manuale ufficiale per l’insegnamento della dottrina cristiana, e la sua popolarità in Italia fu superata appena dal catechismo del Bellarmino.
San Pietro Canisio morì il 21 dicembre 1597 e Pio XI lo canonizzò nel 1925 e lo proclamò dottore della Chiesa. La sua festa fu istituita nel 1926 come doppia.
La messa è quella del Comune dei Dottori, come per la festa di san Francesco di Sales, il 29 gennaio, ma la prima colletta è propria.
La Roma cristiana ha dedicato una chiesa al nostro Santo (San Pietro Canisio agli Orti Sallustiani) nel rione Trevi annessa al Collegium Germanicum et Hungaricum. Fu consacrata nel 1949.
La Chiesa loda, in san Pietro Canisio, non solo la sapienza, ma anche la forza eroica per aver sostenuto il dogma cattolico contro le violenze e le insidie dei protestanti. A questo riguardo, Canisio può essere paragonato a san Giovanni Crisostomo, a san Giovanni Damasceno, a quegli antichi Dottori che hanno non soltanto insegnato, ma anche sofferto tanto per la fede. In effetti, le fatiche e le prove sopportate dal nostro santo apostolo per conservare alla Germania questo tesoro di fede cattolica, che san Bonifacio un tempo aveva consacrato col suo sangue, sono incredibili. Che il lauro del dottore cinga la fronte, dunque, di san Pietro Canisio; ma a questo alloro la liturgia aggiunge anche il merito, il martirio, di una vita missionaria di quasi otto lustri in un paese ostile alla fede cattolica, azione missionaria che giustifica per Canisio il glorioso soprannome di martello del Luteranesimo.
Oh quanto era autentico lo spirito dei gesuiti a quel tempo: uno spirito che è stato tradito dai membri di quel glorioso ordine e che vedrebbe addirittura chi ne farebbe parte a celebrare il quinto centenario dell’empia eresia e disobbedienza di Lutero, a riprova dell’allontanamento dalla vera fede, dell’apostasia oggi imperante e che simili iniziative non sono in alcun modo cattoliche ed ascrivibili alla Chiesa cattolica.




Dominikus Custos, litografia di S. Pietro Canisio, 1600


  

Paolo Guglielmi, da un disegno del Gagliardi, S. Pietro Canisio in contemplazione della Vergine, 1870 circa, collezione privata 


Bernard Maria Jechel, S. Pietro Canisio e S. Stanislao Kostka, 1870 circa, collezione privata



Anonimo, S. Pietro Canisio, 1699, Schilderijencollectie Rijksmuseum, L’Aja


Tomba di S. Pietro Canisio, Chiesa di S. Michele, Collegio di S. Michele, Fruburgo